La malattia o demenza di Alzheimer, che prende nome dal neurologo tedesco Alois Alzheimer che ne descrisse i sintomi nel 1907 per la prima volta, colpisce circa il 5% della popolazione sopra i 60 anni e si manifesta inizialmente con una progressiva amnesia, prima sulle piccole cose, fino ad arrivare a non riconoscere nemmeno i familiari e ad avere bisogno di aiuto anche per le attività quotidiane più semplici. L’Alzheimer è uno stato provocato da una alterazione delle funzioni cerebrali, che comporta una serie di difficoltà per il paziente nel condurre le normali attività, in quanto colpisce sia la memoria che le funzioni cognitive, e questi si ripercuote sulla capacità di parlare e di pensare. Inoltre può essere causa di stati di confusione, cambiamenti di umore e disorientamento spazio-temporale.
Il codice di esenzione della malattia di Alzheimer è 029 (Malattie croniche).

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Il 21 settembre ricorre la Giornata Mondiale della malattia

ROMA – Sono 25 milioni le persone al mondo colpite dalla malattia di Alzheimer, la più comune forma di demenza, che conta 1 milione di casi solo nel nostro Paese. La Società Italiana di Neurologia (SIN), in occasione della Giornata Mondiale dell’Alzheimer che si celebra mercoledì 21 settembre, fa il punto sulle strategie preventive in fase di sperimentazione per questa patologia.

L’Alzheimer è una patologia nota da tantissimi anni, la ricerca scientifica ne ha individuati i meccanismi ma fino ad oggi una terapia veramente efficace non era stata trovata. Ora la situazione sembra cambiare in meglio. Uno studio pubblicato sull’ultimo numero di Nature ha mostrato l’efficacia sull’uomo di un farmaco, aducanumab un anticorpo monoclonale di Biogen, capace di agire sulle placche amiloidi, gli accumuli di proteine nel cervello che si ritiene siano la causa della malattia. In sostanza in farmaco insegnerebbe al sistema immunitario a riconoscere le placche e ad attaccarle. La sperimentazione per ora è stata condotto solo su 165 persone, metà delle quali ha ricevuto una infusione settimanale, mentre gli altri hanno avuto un placebo. Si tratta dunque ancora di numeri piccoli che dovranno essere confermati da studi di fase III: Biogen ne ha già annunciati due che sono in fase di arruolamento.

Abbiategrasso - Aumentare la conoscenza della malattia come strumento per ridurre l’emarginazione e il pregiudizio sociale nei confronti delle persone con demenza e dei loro familiari, in modo da permettere loro di partecipare alla vita attiva della comunità e migliorare la loro qualità di vita.
È questo l’obiettivo del progetto pilota “Dementia Friendly Community” presentato oggi presso la Sala Consiliare del Castello Visconteo di Abbiategrasso, città scelta per diventare la prima comunità amica delle persone con demenza in Italia.

Tutelare la dignità del malato inguaribile e dei suoi familiari, rispondendo a necessità non solo mediche, ma anche di relazione, solidarietà e inclusione: è questo l’obiettivo delle cure palliative. Una necessità che non riguarda soltanto i malati oncologici, ma anche chi è colpito da una malattia degenerativa come l’Alzheimer, che attacca progressivamente le cellule cerebrali provocando quell’insieme di sintomi che va sotto il nome di “demenza”. Il declino progressivo e globale delle funzioni cognitive e il deterioramento della personalità e della vita di relazione, infatti, creano necessità non esclusivamente sanitarie e impongono un ruolo chiave alla famiglia nell’assistenza quotidiana.

Nella malattia di Alzheimer (AD), placche di proteina beta-amiloide si accumulano nel cervello, danneggiando progressivamente le connessioni neuronali. Un team di ricercatori statunitensi della University of California San Diego School of Medicine e dell'Harvard Medical School, ha scoperto come l'attività di un particolare enzima, denominato protein-chinasi C alfa (PKC-alfa), risulti essere fortemente connessa al processo neurodegenerativo che caratterizza la patologia. I risultati dello studio, pubblicati di recente sulla rivista Science Signaling, sembrano indicare in questo enzima un nuovo potenziale obiettivo terapeutico per l'AD.

I pazienti affetti da malattia di Alzheimer potrebbero aver un rischio maggiore di sviluppare il diabete di tipo 2 a causa di alterazioni del pathway dell’insulina nell'ipotalamo. A suggerirlo è uno studio statunitense sul modello animale, pubblicato di recente sulla rivista Alzheimer's and Dementia.

Prosegue lo studio di fase II/III condotto su AZD3293, un farmaco sperimentale che blocca la beta secretasi (BACE), un enzima che si ritiene sia coinvolto nell’eziopatogenesi della malattia Alzheimer.

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