La parola al Professor Maurizio Moggio Responsabile dell’Unità Operativa Malattie Neuromuscolari e Rare della Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico di Milano

La malattia di Pompe, o Glicogenosi II (GSD II), è una malattia neuromuscolare multisistemica e progressiva. Rientra nel capitolo delle malattie metaboliche ereditarie, in particolare fa parte delle glicogenosi che costituiscono un gruppo di anomalie del metabolismo dei carboidrati. È stata definita per la prima volta nel 1932 dal patologo olandese Joannes C. Pompe il quale descrisse alcuni pazienti con un massivo accumulo di glicogeno in molti tessuti, in particolare nel muscolo scheletrico e cardiaco.

“L'incidenza della malattia – spiega Moggio - è di circa 1 su 140.000 per la forma infantile e 1 su 60.000 per la forma dell’adulto. E 'stato riportato in quasi tutti i gruppi etnici. Ha un modello di eredità autosomica recessiva. La malattia è legata ad una deficienza dell'enzima lisosomiale maltasi acida (alfa 1-4 glucosidasi) (GAA), responsabile della degradazione del glicogeno in glucosio. Il deficit dell’enzima conduce ad un accumulo di glicogeno all’interno dei lisosomi e nel citoplasma con conseguente danno e sofferenza delle fibre muscolari. L’interessamento del muscolo scheletrico è soprattutto prossimale e si esprime con progressiva debolezza, difficoltà nella deambulazione e anomalie della postura, difficoltà a svolgere le attività fisiche quotidiane, algie ed ipotonia. A livello dei muscoli respiratori si ha invece una riduzione progressiva dei flussi e volumi polmonari che esita in un quadro di insufficienza respiratoria di tipo restrittivo. L’interessamento del cuore si presenta con cardiomiopatia dilatativa associata frequentemente a disturbi del ritmo. Vengono distinti 3 fenotipi clinici principali in base ad età di insorgenza, velocità di progressione e grado di coinvolgimento organo-tissutale: forma infantile, giovanile o del adulto.”

“La Malattia di Pompe ad insorgenza infantile è la forma più aggressiva e, sino a prima della terapia con enzima ricombinante (ERT), ad esito fatale. Si manifesta di norma entro i primi 6 mesi di vita con ipostenia muscolare grave e progressiva, cardiomegalia, epatomegalia e macroglossia. I neonati con la Malattia di Pompe appaiono ipotonici e non sono in grado di sollevare il capo, sedersi, girarsi sul fianco, trascinarsi, e manifestano progressive difficoltà di respirazione, suzione e deglutizione, il tutto con andamento rapidamente progressivo. L’exitus – continua Moggio - di solito avviene per insufficienza cardio respiratoria entro i primi 2 anni d’età. Lo sviluppo mentale non sembra essere influenzato dalla malattia."

“La forma giovanile si presenta clinicamente come una miopatia che esordisce durante la tarda infanzia o prima giovinezza – spiega ancora l’esperto - Il graduale indebolimento muscolare e i problemi respiratori sono i sintomi principali. Le tappe dello sviluppo motorio sono a volte ritardate. La debolezza agli arti inferiori, per lo più prossimale, costituisce spesso il sintomo d’esordio e provoca instabilità nell’andatura. I pazienti possono manifestare dolori muscolari, frequenti cadute e difficoltà a competere con i coetanei nello svolgimento delle attività fisiche. Nella forma giovanile viene spesso compromessa anche la muscolatura respiratoria. Con il progressivo indebolimento del diaframma la respirazione diventa più difficile, soprattutto durante il sonno, e ne conseguono mal di testa mattutini e sonnolenza diurna. Cuore, lingua e fegato non vengono generalmente interessati. La malattia progredisce in modo relativamente lento e la causa della morte solitamente è l’insufficienza respiratoria.La forma del adulto esordisce invece  solitamente dopo i 20 anni di età, più spesso tra i 30 e i 50 anni, con quadro clinico molto variabile che può comprendere una lenta miopatia progressiva, oppure una prevalenza di sintomi respiratori oppure il solo rialzo degli enzimi muscolari CK. L’ipostenia, più prossimale che distale, colpisce prevalentemente i muscoli del dorso e del cingoli pelvico e scapolare. I soggetti affetti manifestano facile affaticabilità e dispnea dopo aver svolto attività fisica. Circa un terzo dei pazienti presenta anche una compromissione della funzionalità respiratoria con sintomi consistenti in cefalea notturna o al risveglio, sonnolenza, ortopnea e dispnea da sforzo. I test di funzionalità respiratoria mostrano un’insufficienza respiratoria di tipo restrittivo, che spesso richiede il ricorso a ventilazione assistita. È descritta la presenza di alterazioni cardiache (per esempio aritmie), mentre cardiomegalia ed epatomegalia risultano assenti."


DIAGNOSI


"Il sospetto di malattia di Pompe si basa sul quadro clinico-strumentale, sul quadro morfologico alla biopsia muscolare e sulla dimostrazione della ridotta attività enzimatica mediante test biochimico. La conferma diagnostica richiede la caratterizzazione genetica mediante studio di sequenza del gene codificante l’enzima alfa glucosidasi acida (GAA). Di recente è stata introdotta la possibilità di fare diagnosi di Malattia di Pompe su goccia di sangue essiccata su filtri di carta bibula (Dried Blood Spot / DBS). Questa tecnica apre la strada all’implementazione dello screening neonatale e alla diagnosi di Malattia di Pompe in pazienti paucisintomatici. Una diagnosi tempestiva è infatti di fondamentale importanza, considerata la gravità della patologia sopratutto nella sua forma neonatale, per la possibilità di una terapia in grado di modificarne profondamente la storia naturale. Altrettanto importante è comunque iniziare la terapia in modo tempestivo anche nei pazienti adulti."

"La malattia di Pompe - conclude Moggio -  compromette la funzionalità di diversi apparati e il suo trattamento richiede quindi un intervento multidisciplinare. Il team dovrebbe includere diversi specialisti, in particolare cardiologo, pneumologo, neurologo specialista neuromuscolare, intensivista, ortopedico, fisioterapista, logopedista otorinolaringoiatra, consulente genetico e dietista metabolico. Fino a poco più di 10 anni fa non esistevano terapie “salvavita” per i soggetti affetti da glicogenosi tipo II e, pertanto, i soggetti affetti dalla forma infantile neonatale andavano incontro ad exitus entro i due anni di età come conseguenza della grave insufficienza cardiaca e respiratoria. Per quanto riguarda gli individui affetti dalla forme giovanile e adulta l’unico presidio terapeutico possibile era costituito, oltre che dalla terapia sintomatica delle complicanze a carico del sistema respiratorio e cardiaco, dall’utilizzo di una dieta ad alto tenore di proteine, con eventuale supplemento di aminoacidi.
Dal 2006 è disponibile in Italia la terapia enzimatica sostitutiva con alglucosidasi-alfa (GAA ricombinante). L’enzima sostitutivo è la forma ricombinante dell’enzima naturale che viene prodotto biotecnologicamente e somministrato per via endovenosa una volta ogni due settimane al dosaggio di 20 mg/kg. La terapia riduce significativamente la cardiomiopatia e migliora le funzioni motorie e respiratorie.
Numerosi studi a livello internazionale hanno dimostrato i vantaggi della terapia enzimatica sostitutiva con GAA ricombinante nel prolungare in modo significativo la sopravvivenza nei casi gravi neonatali. Risultati molto incoraggianti si hanno anche nel trattamento delle forme ad esordio giovane adulto. Ovviamente, sarà solo una attenta osservazione dell’andamento clinico dei pazienti trattati che potrà stabilire con certezza l’efficacia della terapia. "

Seguici sui Social

Iscriviti alla Newsletter

Iscriviti alla Newsletter per ricevere Informazioni, News e Appuntamenti di Osservatorio Malattie Rare.

Sportello Legale OMaR

Tumori pediatrici: dove curarli

Tutti i diritti dei talassemici

Le nostre pubblicazioni

Malattie rare e sibling

30 giorni sanità

Speciale Testo Unico Malattie Rare

Guida alle esenzioni per le malattie rare

Partner Scientifici

Media Partner


Questo sito utilizza cookies per il suo funzionamento. Maggiori informazioni