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Il codice di esenzione della sindrome di Marfan è RN1320.

Il codice di esenzione dell'atassia di Friedreich è RFG040 (afferisce al gruppo "Malattie spinocerebellari").

Il codice di esenzione del linfedema ereditario è RGG020 (afferisce al gruppo "Linfedemi primari cronici").

Consulta il nostro servizio L'ESPERTO RISPONDE: clicca QUI per accedere alla sezione dedicata a linfedema e lipedema.

La miastenia grave (MG), nota anche come miastenia gravis o più semplicemente miastenia, è una rara malattia autoimmune delle giunzioni neuromuscolari, ed è principalmente caratterizzata da una generale debolezza dei muscoli volontari. Non si tratta di una patologia ereditaria, vale a dire trasmessa dai genitori ai figli, ma acquisita. La miastenia grave può insorgere a qualunque età, ma si manifesta più frequentemente tra i 20 e i 30 nelle donne e tra i 50 e i 60 anni negli uomini; in circa il 10% dei casi, la malattia si presenta al di sotto dei 10 anni. In Europa, la prevalenza della MG è stimata in un caso ogni 5.000 persone.

Il codice di esenzione della miastenia gravis è RFG101 (afferisce al gruppo "Sindromi miasteniche congenite e disimmuni").

Scarica la pubblicazione di Osservatorio Malattie Rare "MIASTENIA, UNA MALATTIA CHE NON SI VEDE", realizzata grazie al contributo non condizionante di UCB.
Scarica la "Guida sintetica ai diritti esigibili dei pazienti con miastenia gravis", Rarelab 2023, realizzata con il contributo attivo dell’Alleanza Miastenia Gravis.

La sezione Miastenia Grave è realizzata grazie al contributo non condizionante di Alexion.

Alexion, miastenia grave

Nei pazienti miastenici, per ragioni sconosciute, il sistema immunitario si attiva producendo anticorpi circolanti diretti contro i recettori muscolari, compresi il recettore dell'acetilcolina (AChR) e il recettore della tirosin chinasi muscolare (MuSK), compromettendo la normale trasmissione degli impulsi nervosi che stimolano la contrazione dei muscoli. Di conseguenza, le persone affette da MG sperimentano un’improvvisa debolezza muscolare, di grado variabile, che peggiora con le attività ripetitive, il caldo e lo stress, e migliora con il riposo. Altri sintomi comuni della malattia includono ptosi palpebrale (ossia l’abbassamento di una o di entrambe le palpebre), diplopia (visione doppia) e difficoltà nella masticazione, nella deglutizione e nell’articolazione del linguaggio. In alcuni pazienti, la patologia può aggravarsi portando alla comparsa di problematiche respiratorie, anche gravi.

L’esatta patogenesi della miastenia grave non è stata ancora chiarita, ma l’improvvisa debolezza muscolare e i disturbi che contraddistinguono la malattia possono essere scatenati da particolari condizioni, tra cui infezioni virali, ciclo mestruale, gravidanza e allattamento, stress fisici e/o psichici, interventi chirurgici e assunzione di determinati farmaci (ad esempio antibiotici e anestetici).

In Italia, per i pazienti affetti da miastenia grave sono attive le seguenti associazioni:
Associazione Italiana Miastenia e malattie immunodegenerative (AIM)
Associazione MIA Olus
Associazione Miastenia ODV
Associazione Miastenia Insieme
Associazione Miastenia Gravis APS

Consulta il nostro servizio L'ESPERTO RISPONDE: clicca QUI per accedere alla sezione dedicata alla miastenia grave.

 

Le immunodeficienze primitive sono un gruppo di più di 250 patologie nelle quali il sistema immunitario perde, totalmente o in parte, la sua funzionalità. Normalmente, il sistema immunitario protegge il corpo umano dai micro-organismi patogeni (come batteri, virus e funghi) che possono causare malattie infettive. Quando una parte delle difese immunitarie non funziona o è assente, il paziente contrae più frequentemente infezioni e impiega più tempo per guarire da queste. Se un difetto del sistema immunitario è di origine genetica, si parla di immunodeficienza primitiva (PI).

L’esatta incidenza globale delle PI non è nota perché molte di loro sono tuttora non riconosciute, un aspetto che rende difficile la raccolta sistematica delle informazioni. Spesso, per via di una sintomatologia aspecifica che complica il riconoscimento della malattia da parte dei medici, dall’insorgenza dei primi sintomi alla vera e propria diagnosi, passano, mediamente, 5,5 anni per gli adulti e 2,5 anni per i bambini. Nel caso di immunodeficienza combinata, il riconoscimento precoce della malattia è fondamentale, soprattutto durante i primi 3 mesi di vita: in queste gravi forme di immunodeficienza, il trapianto di midollo osseo o cellule staminali è l’unico trattamento caratterizzato da un alto tasso di sopravvivenza dei pazienti. 

Le immunodeficienze secondarie sono causate da vari fattori come, ad esempio, i tumori maligni, in particolare quelli a carico del sistema ematopoietico e linforeticolare. Altre cause possono essere malattie metaboliche e/o malnutrizione. Anche ustioni o infezioni gravi possono provocare un difetto nella funzionalità del sistema immunitario, indebolendo la risposta anticorpale. 

La Jeffrey Modell Foundation (JMF), un'organizzazione scientifica mondiale che si occupa di immunodeficienze, ha redatto la lista dei "Dieci campanelli di allarme", distinti tra per adulti e per bambini, che dovrebbero indurre al sospetto di PI.

LA TERAPIA SOSTITUTIVA a base di IMMUNOGLOBULINE
Nelle immunodeficienze associate a carenza anticorpale, il trattamento privilegiato è rappresentato dalla terapia sostitutiva con immunoglobuline, il cui avvio tempestivo è fondamentale per evitare l’insorgenza di danni irreversibili causati da infezioni ad organi e apparati. La terapia con immunoglobuline è utilizzata nel trattamento della ipogammaglobulinemia, associata con la leucemia linfocitica cronica (LCC) e il mieloma multiplo (MM). Questi pazienti possono trarre beneficio dalla terapia sostitutiva con le immunoglobuline in aggiunta al trattamento standard richiesto per la loro patologia primaria. La "terapia sostitutiva" con immunoglobuline è di due tipi: IVIG - terapia endovenosa (permette la somministrazione di ampi volumi di immunoglobuline) o SCIG - sottocutanea ( i volumi di immunoglobuline che possono essere somministrati sono assai inferiori).

Il codice di esenzione delle immunodeficienze primitive è RCG160 ("Immunodeficienze primarie").

La sindrome emolitico-uremica atipica (SEUa) è una malattia estremamente rara caratterizzata da anemia emolitica (prematura distruzione dei globuli rossi), trombocitopenia (basso numero di piastrine) e insufficienza renale acuta con conseguente uremia (accumulo nel sangue di varie sostanze tossiche di scarto che i reni non riescono più a filtrare e ad espellere attraverso l’urina). Nella maggior parte dei casi, la patologia è causata da mutazioni a carico dei geni che codificano per le proteine coinvolte nella via alternativa del sistema del complemento, un elemento chiave del sistema immunitario umano. Esiste anche una forma acquisita di SEUa correlata alla presenza di anticorpi anti-fattore H.

Il codice di esenzione della sindrome emolitico uremica atipica è RD0010 ("Sindrome emolitico uremica").

La sezione Sindrome Emolitico-Uremica atipica è realizzata grazie al contributo non condizionante di Alexion.

Sindrome emolitico-uremica atipica, Alexion

La sindrome emolitico-uremica atipica può insorgere a qualsiasi età e la sua manifestazione evidente è solitamente preceduta da un evento scatenante, come ad esempio un’infezione delle vie respiratorie, una gastroenterite virale o la gravidanza. L’organo maggiormente colpito dalla malattia è il rene, con un danno che si presenta con gravità variabile da paziente a paziente ma che tende spesso a peggiorare progressivamente, fino ad evolvere, in circa la metà dei casi, in malattia renale allo stadio terminale.

La SEUa è associata ad un elevato rischio di formazione di trombi in corrispondenza dei piccoli vasi sanguigni di tutto il corpo, con conseguente compromissione della normale circolazione del sangue nell’organismo. A causa di ciò, la malattia può comportare il danneggiamento di numerosi altri organi oltre ai reni, come il cuore (con cardiomiopatia o infarto del miocardio), il cervello (con complicanze neurologiche come mal di testa, visione doppia, irritabilità, sonnolenza, paralisi facciale, convulsioni, attacchi ischemici transitori e ictus), il fegato, i polmoni (con emorragia ed edema) e il tratto gastrointestinale (con colite ischemica). La pressione alta (ipertensione) è comune nei pazienti e può derivare dalla malattia renale o dalla trombosi.

La diagnosi di sindrome emolitico-uremica atipica viene sospettata in presenza di microangiopatia trombotica con interessamento renale, attraverso l’esclusione delle principali patologie che sono caratterizzate da un quadro clinico simile a quello della SEUa. La conferma diagnostica può giungere da analisi genetiche mirate, da test di funzionalità delle proteine del sistema del complemento e dalla ricerca di anticorpi anti-fattore H.

Per anni, il trattamento standard della sindrome emolitico-uremica atipica è stato incentrato sullo scambio o sull’infusione di plasma, un approccio che però non si è mai dimostrato realmente efficace, con molti pazienti che sperimentavano recidive di malattia se non sottoposti a una terapia di mantenimento a lungo termine. Oggi, il trattamento di prima linea raccomandato per la SEUa si basa sull’impiego di eculizumab, un anticorpo monoclonale che blocca l’attivazione incontrollata del sistema del complemento. Recentemente, inoltre, è stato approvato un nuovo farmaco, l’anticorpo monoclonale ravulizumab, un inibitore della proteina C5 del complemento a lunga durata d’azione. Per la gestione dell’anemia emolitica può essere necessario il ricorso a trasfusioni di sangue, mentre nei casi più gravi di malattia renale può presentarsi l’eventualità di un trattamento dialitico cronico o di un trapianto d’organo.

Fonti principali:
Orphanet
- National Organization for Rare Disorders (NORD)

La neuropatia motoria multifocale (MMN) è una rara patologia autoimmune caratterizzata dalla presenza di blocco di conduzione sui nervi motori ma non sui nervi sensori. La malattia è inoltre caratterizzata dall’elevata presenza di titoli anticorpali anti-GM1.
Chi è affetto dalla malattia soffre di un progressivo indebolimento muscolare, una sintomatologia clinica piuttosto simile alla SLA (Sclerosi Laterale Amiotrofica), con la quale può purtroppo essere confusa. Rispetto alla SLA però la funzione motoria nella MMN diminuisce molto più lentamente e soprattutto, a differenza della SLA, la MMN può essere trattata con successo.
Il codice di esenzione della neuropatia motoria multifocale è RF0181.

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Il codice di esenzione della sindrome di Williams è RN1270.

La Sindrome di Cushing (CS) è una rara condizione derivante da un eccesso di cortisolo nell’organismo.
Il cortisolo è un ormone prodotto normalmente dalle ghiandole surrenali ed è fondamentale per la vita: permette di rispondere alle situazioni di stress, come ad esempio le malattie, e ha effetti su quasi tutti i tessuti dell’organismo. Viene prodotto in picchi, più frequenti al mattino e molto ridotti di notte.
Quando l’organismo produce troppo cortisolo, a prescindere da quale ne sia la causa, siamo in presenza della Sindrome di Cushing.
Quando la sindrome di Cushing è causata da un tumore ipofisario siamo in presenza della malattia di Cushing, di fatto la causa più comune della Sindrome.
Il codice di esenzione della sindrome di Cushing è 032.255.0 (Malattie croniche).

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Quali sono i SINTOMI della Sindrome di Cushing? Scoprilo qui.

Quali sono i Centri di Riferimento per la Cushing? L'elenco completo a questo link.

Il codice di esenzione della sindrome di Guillain Barrè è RF0183 (limitatamente alle forme croniche, gravi ed invalidanti).

Il codice di esenzione della malattia di Sly è RCG140 (afferisce al gruppo "Mucopolisaccaridosi").

Il codice di esenzione della sindrome di Morquio è RCG140 (afferisce al gruppo "Mucopolisaccaridosi").

Il codice di esenzione della sindrome di Maroteaux-Lamy è RCG140 (afferisce al gruppo "Mucopolisaccaridosi").

L’atrofia muscolare spinale (SMA) è una malattia neuromuscolare rara caratterizzata dalla perdita dei motoneuroni, ovvero quei neuroni che trasportano i segnali dal sistema nervoso centrale ai muscoli, controllandone il movimento. Di conseguenza, la patologia provoca debolezza e atrofia muscolare progressiva, che interessa, in particolar modo, gli arti inferiori e i muscoli respiratori. La SMA ha un’incidenza di circa 1 paziente su 10mila nati vivi. Nel 95% dei casi, la patologia è causata da specifiche mutazioni nel gene SMN1, che codifica per la proteina SMN (Survival Motor Neuron), essenziale per la sopravvivenza e il normale funzionamento dei motoneuroni. I pazienti affetti da SMA hanno un numero variabile di copie di un secondo gene, SMN2, che codifica per una forma accorciata della proteina SMN, dotata di una funzionalità ridotta rispetto alla proteina SMN completa (quella codificata dal gene SMN1 sano). Il numero di copie del gene SMN2 è quindi alla base della grande variabilità della patologia, con forme più o meno gravi e un ventaglio sintomatico molto ampio.

Il codice di esenzione dell'atrofia muscolare spinale è RFG050 (afferisce al gruppo "Atrofie muscolari spinali").

Sulla base dell'età d'esordio della malattia e della gravità dei sintomi, sono state distinte quattro diverse varianti di atrofia muscolare spinale. I pazienti con SMA di tipo 1 (SMA1), la forma più grave di SMA, producono pochissima proteina SMN. In questo caso, la patologia esordisce prima dei 6 mesi d'età, compromette l'acquisizione delle capacità motorie, la respirazione e la deglutizione, e i bambini che ne sono affetti non sono in grado di vivere oltre i 2 anni senza supporto respiratorio. I pazienti con SMA di tipo 2 e di tipo 3 presentano, generalmente, un maggior numero di copie del gene SMN2, producono maggiori quantità di SMN e quindi presentano varianti meno severe della condizione. L'esordio della SMA2 avviene, indicativamente, tra i 6 e i 18 mesi di vita, mentre la SMA3 compare dopo i 12 mesi di vita (solitamente tra l'infanzia e l'adolescenza). La SMA di tipo 4 (SMA4), infine, esordisce in età adulta e rappresenta, in assoluto, la forma meno grave di atrofia muscolare spinale.

La diagnosi di SMA si basa sulla storia e sull'esame clinico dei pazienti, e può essere confermata da appositi test genetici. Possono essere utili l'elettromiografia e la biopsia muscolare. La diagnosi differenziale si pone con la sclerosi laterale amiotrofica (SLA), le distrofie muscolari congenite, le miopatie congenite, la sclerosi laterale primitiva, la miastenia gravis e le malattie del metabolismo dei carboidrati. La diagnosi prenatale può essere effettuata con l'analisi molecolare sugli amniociti o sui villi coriali. La consulenza genetica dovrebbe essere offerta ai pazienti e ai loro familiari.

Fino a poco tempo fa, il trattamento della SMA era esclusivamente sintomatico, basato su approcci multidisciplinari e finalizzato a migliorare la qualità di vita dei pazienti. Oggi, invece, sono state approvate tre terapie specifiche per questa malattia: l’oligonucleotide antisenso nusinersen e il farmaco orale risdiplam, progettati per agire sul gene SMN2 e permettere la produzione di una proteina SMN funzionale, e la terapia genica onasemnogene abeparvovec, concepita per fornire all’organismo una versione sana del gene SMN1.

Per i pazienti italiani con atrofia muscolare spinale sono attive le associazione Famiglie SMA e ASAMSI.

Fonte principale:
- Orphanet

Il codice di esenzione dell'albinismo è RCG040 (afferisce al gruppo "Difetti congeniti del metabolismo e del trasporto degli aminoacidi").

La malattia di Wilson è una patologia ereditaria caratterizzata dalla ridotta eliminazione epatica del rame nella bile. Tale difetto comporta un dannoso accumulo di rame nel fegato, nel sistema nervoso centrale, nella cornea (dove si può formare l’anello di Kayser-Fleischer), nei reni e nelle ossa.
Il codice di esenzione della malattia di Wilson è RC0150.

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La Sindrome da Stanchezza Cronica, o Sindrome da Fatica Cronica (CFS, acronimo di Chronic Fatigue Syndrome) è un disturbo caratterizzato dalla fatica cronica persistente per almeno 6 mesi e di una serie di sintomi piuttosto eterogenei fra loro. La sindrome colpisce prevalentemente le donne e ha un'incidenza stimata tra 0,4% e 1%, non si tratta quindi di una malattia rara.
Recenti documentazioni internazionali raccomandano di non parlare di CFS, ma di Encefalomielite Mialgica (ME), fisiopatologia sottostante alla Sindrome da Stanchezza Cronica e malattia riconosciuta dall'OMS.

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Il codice di esenzione della sindrome di Alport è RN1360.

L'angioedema ereditario (HAE) è una rara malattia ereditaria, caratterizzata dalla comparsa di gonfiori (edemi) della cute, delle mucose e degli organi interni, che possono essere anche fatali in alcuni casi. Si stima che, in tutto il mondo, l'angioedema ereditario colpisca una persona su 10.000-50.000, ma è possibile che i casi non diagnosticati siano molti di più. Spesso, infatti, la malattia rimane a lungo non diagnosticata, poiché i suoi sintomi assomigliano a quelli di malattie più frequenti, quali un’allergia o una colica intestinale e le manifestazioni, che possono essere frequenti, durano mediamente 2-5 giorni e poi scompaiono. Generalmente i sintomi compaiono nei primi due decenni di vita, tanto negli uomini che nelle donne.

Il codice di esenzione dell'angioedema ereditario è RC0190.

La sezione Angioedema Ereditario è realizzata grazie al contributo non condizionante di BioCryst.

Angioedema ereditario, BioCryst

Le zone più colpite dall’edema sono il volto e gli organi interni: l’evento in assoluto più temuto è l’edema alla laringe che può portare a morte per soffocamento. La causa di questi edemi è un difetto genetico che provoca la carenza (HAE di tipo 1) o un non funzionamento (HAE di tipo 2) di C1 esterasi-inibitore (C1-INH), una proteina che ha funzione regolatrice di due sistemi di importanza vitale per l’organismo: il sistema di contatto della coagulazione e il sistema del complemento della difesa immunitaria.

In genere la malattia viene diagnosticata quando, a seguito di manifestazioni di edema – o di sintomi dolorosi simili a coliche intestinali – si verifica una mancata risposta dell’edema ad antistaminici o a preparati cortisonici, il che conferma che non si tratta di reazioni allergiche. Inoltre gli attacchi non vengono causati da particolari cibi o sostanze mentre possono essere sufficienti a far nascere l’edema traumi anche minimi o stress. Difficile è prevedere quando ci sarà un attacco, generalmente dolorosissimo, e questo contribuisce all’impatto invalidante della malattia sulla vita di tutti i giorni. La diagnosi di HAE è difficile, soprattutto nei pazienti in cui compaiono esclusivamente attacchi gastrointestinali. In questi casi, accanto alla dimostrazione della presenza di una storia familiare, solo un esame di laboratorio può mettere in evidenza con precisione la malattia.
Per l'angioedema ereditario esistono oggi diverse possibilità terapeutiche, rese disponibile anche a domicilio dei pazienti. Clicca qui per saperne di più sulle terapie per l'angioedema ereditario.

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Guarda il video 'Angioedema ereditario. Conoscerlo per comprenderlo'.

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La sindrome di Ondine o ipoventilazione alveolare centrale congenita (CCHS) è una malattia rara, dovuta a un grave difetto del controllo centrale della respirazione e a una disfunzione del sistema nervoso autonomo.
Il codice di esenzione della sindrome di Ondine è RHG011 (afferisce al gruppo "Sindromi gravi ed invalidanti con ipoventilazione centrale congenita").

Il codice di esenzione della sclerosi sistemica è RM0120 ("Sclerosi sistemica progressiva").

La linfangioleiomiomatosi (LAM) è una malattia caratterizzata da modificazioni cistiche dei polmoni, ingrossamento dei vasi linfatici addominali e pelvici, e angiomiolipomi. Può essere isolata (LAM sporadica) o insorgere in pazienti affetti da sclerosi tuberosa (TSC). La LAM sporadica colpisce solo le donne, con una prevalenza di circa 1/1.000.000; il 40 per cento delle donne adulte affette da TSC presenta segni di LAM. La malattia causa scompenso respiratorio progressivo, con episodi di pneumotorace ricorrente ed effusioni chilose; la sopravvivenza media è di 10-20 anni.
Il codice di esenzione della linfangioleiomiomatosi è RB0060.

L’algodistrofia è una malattia rara che esordisce, nella sua principale manifestazione, con un dolore spesso regionalizzato a livello degli arti (mani, spalle oppure piedi) e resistente ai comuni antidolorifici. In alcuni casi, ma non sempre, l’esordio è conseguente ad un evento traumatico, ma la gravità del dolore e l’andamento della malattia non sono correlati alla gravità del trauma originario.
Il dolore è in genere associato ad edema e dall’esame radiologico può comparire un'osteoporosi localizzata, che in genere diminuisce con il regredire della malattia. La malattia è nota da oltre 100 anni e nel mondo anglosassone viene identificata prevalentemente con il termine di sindrome complessa da dolore regionale (CRPS) distinta in tipo 1 e tipo 2. L’algodistrofia non è inclusa nell’elenco delle malattie rare esenti.

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La sindrome di Rett (RTT) è una rara patologia neurologica dello sviluppo, che colpisce prevalentemente soggetti di sesso femminile. La malattia congenita interessa il sistema nervoso centrale, ed è una delle cause più diffuse di grave o gravissimo deficit cognitivo. Si manifesta generalmente dopo i primi 6-18 mesi di vita, con la perdita della motricità, delle capacità manuali, dell’interesse all’interazione sociale. L’incidenza della malattia tra le ragazze di 12 anni è stimata di 1 su 9.000; nella popolazione generale la stima si abbassa a 1 soggetto su 30.000. La diagnosi di RTT è spesso confusa con quella di autismo o generico ritardo dello sviluppo.
Il codice di esenzione della sindrome di Rett è RF0040.

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La distrofia muscolare di Duchenne o DMD è una patologia neuromuscolare a trasmissione recessiva legata al cromosoma X, ed è caratterizzata da una degenerazione progressiva dei muscoli scheletrici, lisci e cardiaci, che genera debolezza muscolare diffusa. Colpisce prevalentemente i maschi mentre le femmine sono di solito asintomatiche (dette portatrici sane). Si manifesta nella prima infanzia con problemi nella deambulazione che progrediscono fino alla perdita dell’autonomia. È la più grave tra le distrofie muscolari: conduce alla completa immobilità e l’aspettativa di vita, pur raddoppiata negli ultimi anni, non supera il terzo decennio. La DMD colpisce infatti in modo specifico il tessuto muscolare scheletrico, compresi i muscoli respiratori e il cuore, ed è caratterizzata da una progressiva distruzione del tessuto muscolare che viene progressivamente sostituito da tessuto fibrotico e adiposo. Attualmente, ancora non esiste una cura, ma la presa in carico, dalla dalla diagnosi alle Raccomandazioni Cliniche di trattamento, permette di raddoppiare l'aspettativa di vita.

Il codice di esenzione della distrofia muscolare di Duchenne è RFG080 (afferisce al gruppo "Distrofie muscolari").

La sezione Distrofia Muscolare di Duchenne è realizzata grazie al contributo non condizionante di PTC Therapeutics.

PTC Therapeutics

I primi sintomi della patologia si manifestano intorno ai tre anni: il bambino ha difficoltà nel correre, salire le scale, saltare, e mostra il cosiddetto “segno di Gowers”, un modo particolare di utilizzare le mani poggiate sulle cosce per alzarsi da terra o dalla posizione seduta. Con il progredire dell’età, le difficoltà motorie diventano evidenti e al momento dell’ingresso nella scuola elementare il quadro clinico è chiaro: l’andatura è oramai anomala e con frequenti cadute, la camminata avviene spesso in punta di piedi. La capacità di camminare viene mantenuta solitamente fino ai 10-14 anni, dopo di che si ha il passaggio alla sedia a rotelle che diverrà l’unico mezzo per la deambulazione. Da questo momento il bambino comincia a fare un uso intensivo dei muscoli degli arti superiori con una conseguente accelerazione della degenerazione di queste fasce muscolari. I ragazzi perdono cosi l’uso delle braccia prima dei venti anni. La Duchenne colpisce tutti i muscoli scheletrici, i muscoli respiratori (diaframma e muscoli intercostali) e il cuore che con il tempo si indeboliscono. Fin da piccoli, i pazienti Duchenne devono effettuare periodici monitoraggi; con l’avanzare dell’adolescenza la funzionalità respiratoria e quella cardiaca vengono compromesse e diventa necessario ricorrere ad apparecchi di ventilazione assistita e a farmaci per il trattamento degli scompensi cardiaci.

Fino a qualche anno fa era molto frequente che la morte sopraggiungesse entro i venti anni di età. Ad oggi non esiste ancora una cura risolutiva per la distrofia di Duchenne, ma la messa a punto di un approccio multidisciplinare, che comprende la farmacologia, la fisioterapia, la chirurgia ortopedica, la prevenzione cardiologia e l’assistenza respiratoria, ha permesso di limitare gli effetti della malattia e di migliorare le condizioni di vita. In un decennio, le aspettative di vita sono raddoppiate.

Per saperne di più sulle basi genetiche della malattia, la diagnosi e le terapie in via di sviluppo clicca qui.

Consulta il nostro servizio L'ESPERTO RISPONDE dedicato alla distrofia muscolare di Duchenne: clicca QUI per accedere alla sezione per pazienti giovani e adulti e QUI per accedere alla sezione per pazienti pediatrici.

Scarica la Guida per le famiglie dedicata alla diagnosi e all'assistenza a cura di Parent Project Onlus (Febbraio 2019).

Visita "TU e Duchenne", il portale di sensibilizzazione sulla patologia.

TU e Duchenne

Fonte principale:
- Orphanet

La malattia di Huntington (HD) è una patologia rara, di tipo ereditario e degenerativo, che causa movimenti continui e scoordinati, disturbi cognitivi e del comportamento, il cui esordio avviene intorno ai 40-50 anni. La trasmissione della malattia è ereditaria. Attualmente la HD ha una prevalenza di circa 3-7 casi per 100.000 abitanti di discendenza europea occidentale. In Italia, si stima che la malattia interessi circa 6-7.000 persone, mentre gli individui attualmente a rischio di ammalarsi sarebbero 30-40.000. Il gene responsabile della HD si trova sul cromosoma 4.

Il codice di esenzione della malattia di Huntington è RF0080 ("Corea di Huntington").

Per maggiori informazioni clicca qui.

La mucopolisaccaridosi di tipo II (MPS II), o sindrome di Hunter, è una malattia metabolica estremamente rara causata da più di 300 mutazioni diverse a carico del gene IDS, mutazioni che comportano una carenza dell'enzima noto con il nome di iduronato-2-sulfatasi (IDS). La MPS II è una malattia ereditaria a trasmissione recessiva legata al cromosoma X: per questo motivo, ad esserne affetti sono prevalentemente individui di sesso maschile. L'incidenza della patologia, assai variabile a seconda dei Paesi, è stimata in circa un caso ogni 162mila nati maschi. In linea generale, la sindrome di Hunter è una condizione caratterizzata da ritardo mentale, deterioramento fisico e disturbi dell'umore e del comportamento.

Il codice di esenzione della sindrome di Hunter è RCG140 (afferisce al gruppo "Mucopolisaccaridosi").

La mucopolisaccaridosi di tipo II appartiene alla categoria delle malattie da accumulo lisosomiale. Il deficit dell'enzima IDS, infatti, determina un accumulo nei lisosomi (piccoli organelli cellulari) di due specifici mucopolisaccaridi (o glicosaminoglicani, GAG): il dermatan-solfato (DS) e l'eparan-solfato (HS), con conseguenti danni a cervello, vie respiratorie, cuore, fegato, milza, volto, ossa e articolazioni.

Alla nascita, i bambini con MPS II sono normali e i sintomi della patologia compaiono progressivamente, di solito a partire dai 2-4 anni d'età. Nelle varianti più severe della sindrome, che sono anche le più frequenti, i segni clinici comprendono dismorfismi facciali (lingua eccessivamente grande, bocca costantemente aperta, tratti del viso grossolani), epatosplenomegalia (crescita anomala di fegato e milza), rigidità articolare, tunnel carpale, deformazioni ossee (disostosi multipla), bassa statura, disturbi del comportamento e, soprattutto, una regressione psicomotoria che comporta ritardo mentale, sordità, problemi cardiaci, difficoltà respiratorie e segni cutanei (cute a buccia d'arancia sulle scapole e sulle cosce). I pazienti possono manifestare una grave degenerazione della retina, mentre la cornea rimane tipicamente trasparente. Le forme meno gravi della sindrome, a insorgenza tardiva, sono essenzialmente caratterizzate da intelligenza normale, dismorfismi lievi e disostosi. Sono comuni, in questi casi, i problemi uditivi, il tunnel carpale e la rigidità articolare. A seconda della gravità della patologia, l’aspettativa di vita dei pazienti può variare da 10-20 anni a circa 60.

La diagnosi di MPS II si ottiene dall’esame clinico del paziente e dal dosaggio urinario di DS e HS. La conferma diagnostica si raggiunge con la misurazione dell’attività dell’enzima IDS nel siero ematico o nei fibroblasti cutanei e con il test genetico volto ad identificare le mutazioni coinvolte. La diagnosi prenatale, eseguita analizzando l’attività dell’enzima IDS nel liquido amniotico o nei villi coriali, si effettua nel caso in cui sia nota l’esistenza di fattori ereditari.

Il trattamento di una patologia multisistemica come la sindrome di Hunter implica il ricorso a terapie di supporto volte a trattare eventuali complicanze a livello cerebrale, oculare, articolare, uditivo e, soprattutto, respiratorio e cardiaco. Nel 2007 è stata approvata in Europa la terapia enzimatica sostitutiva con infusione dell'enzima ricombinante (idursulfasi). Pur non evidenziando benefici neurologici, il trattamento ha dimostrato miglioramenti nella deambulazione e nel quadro respiratorio, epatico, splenico e cardiaco. Sul fronte della ricerca, invece, si stanno conducendo studi su nuove strategie terapeutiche, che includono l'impiego in vivo della tecnica di editing genomico.

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Per i pazienti italiani con sindrome di Hunter è attiva l'Associazione Italiana Mucopolisaccaridosi e Malattie Affini (AIMPS Onlus)

Fonti principali:
- Orphanet
- González-Gutiérrez-Solana, Luis et al. “Diagnosis and follow-up of patients with Hunter syndrome in Spain: A Delphi consensus.” Medicine vol. 97,29 (2018)

La talassemia è una malattia ereditaria del sangue ed è caratterizzata da un'anemia cronica dovuta alla sintesi ridotta o assente di una delle catene polipeptidiche (alfa o beta) presenti nella molecola dell’emoglobina, proteina responsabile del trasporto di ossigeno attraverso tutto l’organismo. Il nome “talassemia” deriva dal greco “thàlassa” (mare) e “haîma” (sangue), ed è stato scelto per via della grande diffusione di questa patologia nell’area del bacino del Mediterraneo. La malattia era tipicamente presente tra le popolazioni residenti nelle aree paludose o acquitrinose, infestate per secoli dalla malaria: la ragione di ciò risiede nel fatto che, nei talassemici, l'anomalia dei globuli rossi ostacola la riproduzione del plasmodio della malaria, rendendoli più resistenti a questa malattia e consentendo, negli anni, una sorta di selezione naturale delle persone con talassemia in determinate zone d’Italia, come la Sardegna o il delta del Po.

Il codice di esenzione della talassemia è RDG010 (afferisce al gruppo “Malattie del sangue e degli organi ematopoietici”).

La sezione Talassemia è realizzata grazie al contributo non condizionante di Chiesi Global Rare Diseases.

Talassemia, Chiesi

Esistono diverse forme di talassemia: quella più diffusa nel bacino del Mediterraneo è la beta talassemia (dovuta a ridotta o totale assenza delle sintesi di catene beta dell'emoglobina). In Italia, si stima che i pazienti talassemici siano circa 7.000, con concentrazione massima in alcune regioni del Centro-Sud: la regione più colpita è la Sicilia, in cui si contano 2.500 pazienti, seguita dalla Sardegna con 1.500; i restanti 3.000 pazienti sono abbastanza uniformemente distribuiti in tutta la Penisola, con una frequenza più alta fra Puglia, Emilia Romagna, Lazio e Calabria.

La beta talassemia è una condizione di gravità molto variabile: si passa da una forma denominata talassemia minor, quasi sempre asintomatica, fino alla forma più grave, nota come talassemia major o malattia di Cooley, una condizione che comporta la dipendenza da trasfusione di sangue (talassemia trasfusione-dipendente). Inoltre, a seconda del tipo di mutazioni presenti nel gene beta globinico (ne esistono oltre 200), si distingue una forma beta0, in cui la sintesi delle catene beta dell’emoglobina è completamente assente, o una forma beta+, in cui la sintesi delle catene beta dell’emoglobina è ridotta, anche se la malattia rimane in molti casi trasfusione-dipendente. La beta talassemia si trasmette con modalità autosomica recessiva: in una coppia di genitori con mutazioni nel gene beta globinico, ogni figlio avrà il 25% di probabilità di essere sano, il 25% di probabilità di essere malato e il 50% di probabilità di essere portatore della malattia.

La diagnosi è basata sull'osservazione clinica e di solito si effettua a partire dai primi anni di vita, quando in un bambino si notino segni clinici di anemia grave, ritardo nella crescita, stanchezza e pallore. La conferma diagnostica si ottiene tramite analisi cliniche e biochimiche, sulla quantità e il tipo di catene globiniche presenti nel sangue (esame emocromocitometrico ed elettroforesi dell’emoglobina), accompagnate, poi, da test genetici. Conoscendo le mutazioni presenti nei genitori, è possibile effettuare una diagnosi prenatale mediante villocentesi.

L’unica terapia risolutiva per la beta talassemia è il trapianto di midollo osseo o di cellule staminali da donatori compatibili. Recenti studi hanno confermato che in assenza di un donatore familiare compatibile, o in età superiore ai 14 anni, i risultati di tale procedura possono non essere ottimali, accompagnandosi ad un discreto margine di rischio. Pertanto, anche in un Paese come l’Italia, in cui sono presenti numerosi pazienti, la limitata disponibilità di donatori compatibili, che si stima non superi il 30% dei casi, si preferisce ricorrere alla terapia palliativa basata su ripetute trasfusioni di sangue (ogni 15-20 giorni). In genere, il trattamento standard basato su trasfusioni viene avviato in tenera età, portato avanti per tutta la vita, e associato all’impiego di numerosi altri farmaci di supporto, tra cui, prima di tutto, i cosiddetti “agenti chelanti”. Questi ultimi sono necessari per evitare le numerose complicanze trasfusionali dovute all’accumulo di ferro, in particolare negli organi altamente irrorati, come fegato, cuore e ghiandole endocrine. Per la beta talassemia è stata approvata anche una terapia genica, attualmente non disponibile in Europa. Sono inoltre in corso sperimentazioni cliniche su una ulteriore terapia genica sperimentale per la beta-talassemia e l'anemia falciforme.

In Italia, le persone affette da talassemia possono contare su United Onlus, la Federazione Italiana delle Talassemie, Drepanocitosi ed Emoglobinopatie Rare, che riunisce circa 40 associazioni di pazienti, sulla Fondazione Italiana “Leonardo Giambrone” per la Guarigione dalla Thalassemia, su ThalassAzione, sull'associazione Piera Cutino Onlus e su molte altre associazioni di rappresentanza a livello locale.

Fonti principali:
- Orphanet
- Fondazione Telethon

La fibrosi cistica è una malattia genetica ereditaria che colpisce 1 neonato su 2.500–2.700. E' dunque una malattia genetica che può essere definita rara e viene trasmessa con modalità autosomica recessiva. A causare la malattia è un difetto della proteina CFTR (Cystic Fibrosis Transmembrane Conductance Regulator), la cui funzione è di regolare gli scambi idroelettrolitici. L'alterazione della proteina comporta un'anomalia del trasporto di sali e determina, principalmente, la produzione di secrezioni "disidratate": il sudore è molto ricco in sodio e cloro, il muco è denso e vischioso e tende ad ostruire i dotti nei quali viene a trovarsi. Ad essere colpiti dagli effetti della malattia sono soprattutto l'apparato respiratorio, le vie aeree, il pancreas, il fegato, l'intestino e l'apparato riproduttivo (soprattutto nei maschi, a causa dell’ostruzione dei dotti spermatici). La fibrosi cistica, detta anche mucoviscidosi, è forse la più frequente tra le malattie rare: circa il 4% della popolazione ne è portatore sano e si registrano circa 200 nuovi casi all’anno.

Il codice di esenzione della fibrosi cistica è 018 (Malattie croniche).

Del gene che codifica per la proteina CFTR si conoscono circa 2.000 differenti mutazioni, che sono state suddivise in 5 gruppi principali sulla base del tipo di alterazione del DNA che caratterizza la mutazione. Le mutazioni di classe I arrestano la sintesi della proteina, mentre quelle di classe II (tra cui la comune mutazione F508del) sintetizzano una proteina CFTR non correttamente conformata, che viene presto rimossa. Le mutazioni di classe III, IV e V consentono la sintesi di una proteina alterata che, in qualche modo, riesce a raggiungere la sua sede di azione, oppure (come nel caso di alcune mutazioni di classe Va) consentono la sintesi di una piccola quota di proteina normale. A differenti mutazioni corrispondono diversi fenotipi di malattia: ci sono quindi malati gravi per i quali l'unica speranza è il trapianto di polmoni o di fegato, persone che manifestano la malattia molto tardivamente e in forma lieve e, infine, casi completamente asintomatici.

Anche se, ancora oggi, per la fibrosi cistica non esiste una cura unica e definitiva, a disposizione dei pazienti ci sono diverse opzioni terapeutiche, tra le quali i farmaci modulatori della proteina CFTR. Tali farmaci hanno modificato significativamente la percezione della malattia, che da patologia letale è diventata una malattia con la quale si può diventare adulti.

Considerando l’incidenza della malattia (1 caso ogni 2.500–2.700), si deduce che questa sia sufficientemente bassa da far rientrare la fibrosi cistica tra le malattie rare. Tuttavia, nel nostro Paese la fibrosi cistica non è inclusa nell’elenco delle patologie rare esenti per un motivo del tutto particolare. Questa malattia, che a differenza di molte altre patologie non è poi così ‘sconosciuta’ nel nostro Paese, è stata oggetto, nel 1993, di una legge (n.548) chiamata "Disposizioni per la prevenzione e la cura della fibrosi cistica", che pone particolare attenzione non solo alla cura e alla tutela dei malati, ma anche alla diagnosi, arrivando a contemplare quella prenatale. In particolare, questa legge definisce la fibrosi cistica un malattia "ad alto interesse sociale" e, perciò, ha dato mandato alle Regioni di indicare ai propri servizi sanitari i criteri per adottare strategie di diagnosi precoce per tutti i neonati, affinché ciascuna Regione istituisca un proprio centro di riferimento.

Hai delle domande sulla fibrosi cistica? Consulta il nostro servizio L'ESPERTO RISPONDE: clicca QUI per accedere alla sezione dedicata alla fibrosi cistica.

Fonte principale:
- Orphanet

La sindrome dell’X fragile, o sindrome di Martin-Bell, è una malattia genetica causata dalla mutazione del gene FMR1 sul cromosoma X. Questa sindrome è la causa più frequente del ritardo mentale ereditario. Si accompagna normalmente a un lieve dimorfismo, disturbi del comportamento e macrorchidismo nei maschi. L'incidenza della patologia è di circa 1 su 1250 soggetti di sesso maschile, e di 1 su 2500 di sesso femminile. Le donne portatrici sane di sindrome dell’X fragile sono circa 1 su 259.
Il codice di esenzione della sindrome dell'X fragile è RN1330 ("Sindrome del cromosoma X fragile").

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La sclerosi laterale amiotrofica (SLA) è una malattia neurodegenerativa che porta ad una degenerazione dei motoneuroni e causa una paralisi totale. Attualmente non esiste cura e l'esito è infausto. L'incidenza è di circa 1-3 casi ogni 100.000 abitanti all’anno. In Italia si stimano almeno 3.500 malati e 1.000 nuovi casi ogni anno. La prevalenza, cioè il numero di casi presenti sulla popolazione, è in aumento: questo grazie alle cure che permettono di prolungare la vita del malato. Per maggiori informazioni clicca qui.

Il codice di esenzione della sclerosi laterale amiotrofica è RF0100.

Il codice di esenzione della sindrome di Prader-Willi è RN1310.

Il codice di esenzione della malattia di Kennedy è RFG050 (afferisce al gruppo "Atrofie muscolari spinali").

Il codice di esenzione dell'acromegalia è 001 (Malattie croniche).

La sindrome da chilomicronemia familiare (FCS), o deficit di lipoproteina lipasi (LPLD), è una malattia ereditaria molto rara, dovuta a mutazioni nel gene LDL, a causa della quale i pazienti non riescono a metabolizzare i globuli di grasso presenti nel sangue. Questo problema provoca episodi di dolore addominale, xantomatosi cutanea eruttiva, epatosplenomegalia (aumento di volume di fegato e milza) e infiammazione del pancreas (pancreatite), una condizione estremamente dolorosa e grave, potenzialmente mortale. La terapia è essenzialmente dietetica. Nel 2015, per la FCS è stata approvata in Europa la prima terapia genica al mondo. Il farmaco è stato ritirato dal mercato nel 2017, per motivi economici.

Il termine sindrome da chilomicronemia familiare (FCS) è quello attualmente utilizzato per definire una malattia che, in passato, è stata chiamata in molti modi (chilomicronemia, iperchilomicronemia, ecc.). La patologia è nota anche con il nome di deficit di lipoproteina lipasi (LPLD), che definisce la carenza enzimatica all'origine della condizione, oppure con il nome di iperlipoproteinemia familiare di tipo I-A, per distinguerla dalle altre 3 varianti note:
- iperlipoproteinemia familiare di tipo I-B, dovuta a mutazioni nel gene APOC2 e a conseguente deficit di apolipoproteina C-II (apoC-II);
- iperlipoproteinemia familiare di tipo I-C, causata dallo sviluppo di anticorpi inibitori della lipoproteina lipasi;
- iperlipoproteinemia familiare di tipo I-D, scatenata da mutazioni nel gene GPIHBP1.

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Il codice di esenzione della malattia di von Willebrand è RDG020 (afferisce al gruppo "Difetti ereditari della coagulazione").

La neuropatia ottica ereditaria di Leber (LHON) è una malattia neurodegenerativa mitocondriale del nervo ottico che causa l'improvvisa perdita bilaterale della vista.
Chiamata anche atrofia ottica di Leber, questa patologia rara e degenerativa colpisce un tipo particolare di cellule della retina, le cellule ganglionari. Si manifesta di norma tra i 15 e i 30 anni e colpisce molto più frequentemente i maschi.

Il codice di esenzione della neuropatia ottica ereditaria di Leber è RF0300 ("Atrofia ottica di Leber").

La sezione Neuropatia Ottica Ereditaria di Leber è realizzata grazie al contributo non condizionante di Chiesi Global Rare Diseases.

Neuropatia ottica ereditaria di Leber, Chiesi

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I segni e i sintomi dell'ipofosfatasia, malattia ereditaria che colpisce lo sviluppo delle ossa e dei denti variano ampiamente e possono comparire in qualunque momento, da prima della nascita fino all'età adulta. Le forme più gravi della malattia tendono a verificarsi prima della nascita e nella prima infanzia. L'ipofosfatasia indebolisce e ammorbidisce le ossa, causando anomalie scheletriche simili a un altro disturbo osseo dell'infanzia, il rachitismo. I neonati affetti nascono con arti corti, un torace dalla forma anomala e le ossa del cranio molli. Ulteriori complicazioni nell'infanzia includono una scarsa alimentazione e un mancato aumento di peso, problemi respiratori e alti livelli di calcio nel sangue (ipercalcemia), che possono portare a vomito e problemi renali ricorrenti. Queste complicazioni sono in alcuni casi pericolose per la vita.
Il codice di esenzione dell'ipofosfatasia è RC0160.

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Il codice di esenzione dell'osteogenesi imperfetta è RNG060 (afferisce al gruppo "Osteodistrofie congenite isolate o in forma sindromica").

La fenilchetonuria (PKU) è un raro difetto metabolico ereditario a trasmissione autosomica recessiva, ed è dovuto a mutazioni nel gene che codifica per un enzima epatico, la fenilalanina idrossilasi (PAH), necessario per il metabolismo della fenilalanina (Phe), un aminoacido essenziale presente nella maggior parte degli alimenti contenenti proteine. A causa della carenza di PAH, si verifica un aumento della concentrazione di fenilalanina nel flusso sanguigno (iperfenilalaninemia o HPA), con effetti tossici per il cervello che finiscono per compromettere il normale sviluppo del sistema nervoso centrale. La PKU interessa circa 50.000 persone in tutto il mondo, anche se la prevalenza della malattia è piuttosto variabile. In Europa, ad esempio, la prevalenza media è di circa 1 paziente ogni 10.000 neonati, con un tasso più alto in Paesi come l'Irlanda e la Turchia, e uno molto basso in Finlandia.

Il codice di esenzione della fenilchetonuria è RCG040 (afferisce al gruppo "Difetti congeniti del metabolismo e del trasporto degli aminoacidi").

La sezione Fenilchetonuria è realizzata grazie al contributo non condizionante di BioMarin e di PIAM.

fenilchetonuria, Biomarin fenilchetonuria, PIAM

La fenilchetonuria è una delle patologie che vengono rilevate tramite screening neonatale. In un neonato che risulti positivo alla Phe, la diagnosi di PKU, ossia di deficit di PAH, viene posta escludendo altre possibili cause di iperfenilalaninemia, come HPA lieve, che può non richiedere trattamento, forme di HPA legate ai difetti della pterina, disfunzioni epatiche o elevata assunzione di proteine.

La PKU è caratterizzata da disabilità intellettiva, microcefalia, deficit motori, rash eczematoso, disturbi dello spettro autistico, epilessia, ritardo dello sviluppo, deficit di accrescimento, comportamenti aberranti e sintomi psichiatrici. Se non adeguatamente trattata, la patologia comporta un grave e irreversibile ritardo mentale, oltre a importanti disabilità cognitive.

Il trattamento si basa prevalentemente su un rigoroso regime alimentare a basso contenuto di proteine (e quindi di Phe), che i pazienti devono seguire per tutta la vita, e una supplementazione proteica (miscele aminoacidiche prive di fenilalanina, alimenti a fini medici speciali). Alcuni pazienti rispondono bene alla terapia codiuvante con tetraidrobiopterina (BH4), un cofattore essenziale della fenilalanina idrossilasi. Recentemente si è resa disponibile, per i pazienti di età maggiore di 16 anni e con controllo metabolico non ottimale, la terapia di sostituzione enzimatica. In futuro potrebbero rendersi disponibili terapie a RNA e la terapia genica.

Fonti principali:
- Orphanet
- van Wegberg et al. "The complete European guidelines on phenylketonuria: diagnosis and treatment" Orphanet Journal of Rare Diseases (2017)

Il codice di esenzione della polineuropatia demielinizzante infiammatoria cronica è RF0180.

L'emoglobinuria parossistica notturna (EPN) è una rara malattia acquisita delle cellule staminali ematopoietiche ed è caratterizzata da tre manifestazioni cliniche principali: anemia emolitica, causata dalla prematura distruzione dei globuli rossi; frequenti eventi trombotici, dovuti alla formazione di piccoli coaguli all’interno dei vasi sanguigni, con conseguente riduzione del flusso ematico verso organi e tessuti; insufficienza del midollo osseo. La EPN è una patologia cronica contraddistinta da crisi emolitiche che possono essere scatenate da molteplici fattori, come infezioni, vaccinazioni, interventi chirurgici o trattamenti con alcuni antibiotici. La malattia colpisce uomini e donne in egual misura, con sintomi di gravità ampiamente variabile, e può esordire a tutte le età, sebbene compaia prevalentemente nei giovani adulti. La prevalenza globale della EPN è stimata in circa 1-9 casi ogni 100.000 persone.

Il codice di esenzione dell'emoglobinuria parossistica notturna è RD0020.

La sezione Emoglobinuria Parossistica Notturna è realizzata grazie al contributo non condizionante di Sobi.

L’esatto meccanismo patologico alla base dell’emoglobinuria parossistica notturna non è ancora del tutto chiaro, ma si ritiene che la patologia insorga all’interno di un generale contesto di insufficienza del midollo osseo di origine autoimmune. Il midollo osseo è un tessuto spugnoso deputato alla produzione delle cellule staminali ematopoietiche, le quali, maturando, danno origine alle diverse cellule del sangue (globuli rossi, globuli bianchi, piastrine). La EPN è dovuta a una mutazione somatica acquisita del gene PIGA che colpisce una o più cellule staminali ematopoietiche, rendendole difettose: queste cellule, poi, si moltiplicano a scapito di quelle sane. A causa di questo processo, nei pazienti con EPN si verifica la produzione di cellule del sangue altrettanto difettose: i globuli rossi, in particolare, si rivelano essere particolarmente suscettibili ad una distruzione prematura (emolisi) causata da un attacco anomalo da parte del sistema immunitario del complemento.

Nei pazienti con EPN l’anemia emolitica può manifestarsi con pallore, affaticamento, battito cardiaco accelerato, mal di testa, dolore toracico e difficoltà di respirazione durante l'attività fisica. L’emolisi cronica, inoltre, determina la perdita di emoglobina attraverso le urine (emoglobinuria), fenomeno che può provocare, soprattutto di notte o al mattino, la produzione di una caratteristica urina scura. In alcuni casi, all’emoglobinuria può associarsi l’insufficienza renale acuta o cronica. La EPN può anche determinare ripetuti episodi di trombosi che interessano soprattutto le vene epatiche, addominali, cerebrali e della cute, e che possono essere potenzialmente pericolosi per la vita. Inoltre, i pazienti con EPN presentano un quadro sottostante di insufficienza del midollo osseo che, nei casi più gravi, può comportare una generale carenza di globuli rossi, globuli bianchi e piastrine (pancitopenia). In alcune persone, infine, l’emoglobinuria parossistica notturna si accompagna ad un’altra patologia del midollo osseo, l’anemia aplastica acquisita.

La diagnosi di EPN si basa sull'osservazione clinica, in particolare sul riscontro di anemia emolitica eventualmente associata a trombosi e/o citopenia nel sangue periferico. Il principale test diagnostico per la patologia è rappresentato dalla citometria a flusso, un esame in grado di identificare le cellule del sangue che presentano il tipico difetto causato dalla patologia (ossia una carenza di proteine ancorate al GPI sulla superficie cellulare). I test genetici non sono affidabili per l’identificazione della EPN, in quanto le mutazioni alla base della malattia risultano essere disomogenee e non ricorrenti.

Fino a pochi fa, il trattamento della EPN era soprattutto sintomatico e principalmente basato su trasfusioni (per la gestione dell’anemia) e anticoagulanti (per il controllo della trombosi); poi, nel 2007, è stato approvato l’anticorpo monoclonale eculizumab, che ha dimostrato di poter ridurre l’emolisi, l’insorgenza di trombosi e il rischio di insufficienza renale, migliorando la sopravvivenza e la qualità di vita dei pazienti. Di recente, per la patologia sono stati approvati due nuovi farmaci, ravulizumab e pegcetacoplan, mentre altre molecole sono attualmente in via di sperimentazione. Ad oggi, l’unica terapia risolutiva per la EPN è rappresentata dal trapianto di midollo osseo, opzione che tuttavia, a causa delle possibili complicanze, è indicata soltanto per pazienti molto gravi.

In Italia, per le persone affette da emoglobinuria parossistica notturna è attiva l’associazione AIEPN.

Fonti principali:
- National Organization for Rare Disorders (NORD)
- Orphanet
- Bravo-Perez C, Guarnera L, Williams ND, Visconte V “Paroxysmal Nocturnal Hemoglobinuria: Biology and Treatment.” Medicina (2023)

L'epidermolisi bollosa (EB) è una malattia genetica ereditaria, rara e invalidante, che provoca bolle e lesioni in corrispondenza della pelle e delle mucose interne, sintomi che possono verificarsi a causa della più lieve frizione o persino spontaneamente. La patologia è nota anche come “sindrome dei bambini farfalla”, facendo riferimento alla fragilità dei pazienti, accomunata a quella proverbiale delle ali di una farfalla. A seconda delle forme, l'epidermolisi bollosa può trasmettersi con modalità autosomica dominante (un genitore malato ha il 50% di probabilità di trasmettere la patologia ai propri figli) o autosomica recessiva (in una coppia di genitori portatori sani di EB, un figlio ha una probabilità del 25% di nascere malato). A livello mondiale, l’epidermolisi bollosa colpisce 1 bambino ogni 17.000 nati, ovvero circa 500mila persone, a fronte di un dato italiano di 1 paziente ogni 82.000 nati, per un totale di circa 1.500 persone con EB previste sul territorio nazionale.

Il codice di esenzione dell'epidermolisi bollosa è RN0570 ("Epidermolisi bollosa ereditaria").

La sezione Epidermolisi Bollosa è realizzata grazie al contributo non condizionante di Chiesi Global Rare Diseases.

epidermolisi bollosa, Chiesi

L'epidermolisi bollosa si manifesta in diverse forme di gravità variabile: la malattia, infatti, non colpisce solo la pelle ma può riguardare anche le mucose interne, comprese quelle di occhi e ano. Quando, ad esempio, interessa la bocca e la gola, mangiare e deglutire diventa difficile e doloroso. Le tipologie principali di EB sono tre: simplex, distrofica e giunzionale. In oltre la metà dei casi, l'epidermolisi bollosa insorge nella forma simplex: in genere è la variante meno grave, perché le formazione di bolle è spesso ristretta a mani e piedi. La forma distrofica è dovuta al danneggiamento o all'assenza delle fibrille di ancoraggio, sorta di 'uncini' di collagene presenti nelle giunzioni dermo-epidermiche. In questo caso, la formazione di bolle è generalizzata e costante e lascia cicatrici. La forma giunzionale, infine, si manifesta in circa l’1% dei casi e può essere letale fin dalla prima infanzia.

La diagnosi si basa sull’osservazione clinica, seguita dall’analisi istologica, effettuata su biopsia cutanea, e dai test genetici di conferma. In coppie di genitori in cui sia stato identificato il difetto genetico alla base della malattia, è possibile la diagnosi prenatale in gravidanza.

La presa in carico del paziente consiste nell'evitare la comparsa delle bolle, tramite una meticolosa protezione della cute e l'adozione di stili di vita appropriati, che limitino i traumi, e nel prevenire le infezioni secondarie mediante un'attenta cura delle ferite. I pazienti con forme di EB associate ad elevato rischio di complicazioni extracutanee richiedono un attento monitoraggio e l'adozione di strategie volte ad impedire che i tessuti colpiti siano gravemente compromessi. Attualmente, per l'epidermolisi bollosa non esistono cure risolutive, anche se sono in via di studio diversi trattamenti, compresa la terapia genica.

Per i pazienti italiani con epidermolisi bollosa sono attive le associazioni DEBRA Italia ETS, Fondazione REB ETS, Le ali di Camilla APS ETS e DEBRA Family ODV.

Fonti principali:
Orphanet
- Fondazione Telethon
- Debra Italia ETS

Le amiloidosi rappresentano un grande gruppo di malattie caratterizzate dall'accumulo patologico, in sede extracellulare, di materiale proteico insolubile, denominato amiloide o sostanza amiloide. Si tratta, in genere, di malattie multisistemiche che compromettono la funzionalità di vari organi vitali, in modo particolare di reni, cuore, apparato gastrointestinale, fegato, cute, nervi periferici e occhi. Attualmente, si conoscono circa 30 tipologie di amiloidosi, ereditarie o meno, classificate in base ai segni clinici e alle caratteristiche biochimiche della sostanza amiloide coinvolta.

Il codice di esenzione dell'amiloidosi è RCG130 ("Amiloidosi sistemiche").

La sezione Amiloidosi è realizzata grazie al contributo non condizionante di Alnylam.

Alnylam

Alcune delle forme più frequenti di amiloidosi sono:
- amiloidosi AA (amiloidosi infiammatoria o secondaria): è causata da un'infezione di lunga durata o da una malattia infiammatoria (ad esempio artrite reumatoide, osteomielite o febbre mediterranea familiare) ed è caratterizzata un’eccessiva produzione della proteina amiloide sierica A (SAA). Di solito la patologia esordisce colpendo i reni ma possono essere coinvolti anche altri organi, come il fegato e la milza.
- amiloidosi AL (amiloidosi da immunoglobuline o da catene leggere): si verifica quando le plasmacellule producono un’eccessiva quantità di catene leggere, un particolare frammento delle immunoglobuline. La patologia può causare danni a carico di numerosi organi e tessuti, come intestino, muscoli, articolazioni, nervi, pelle, cuore, fegato, milza e reni.
- amiloidosi ATTR (amiloidosi da transtiretina): è dovuta ad un dannoso accumulo organico della proteina transtiretina (TTR). La malattia può avere un’origine genetica (amiloidosi ereditaria da transtiretina) oppure può essere correlata all’età (amiloidosi senile o da transtiretina wild-type). Gli organi maggiormente colpiti sono il cuore e il sistema nervoso autonomo e periferico.

In Italia, per i pazienti affetti da amiloidosi ereditaria è attiva fAMY Onlus (Associazione Italiana Amiloidosi Familiare).

Consulta il nostro servizio L'ESPERTO RISPONDE: clicca QUI per accedere alla sezione dedicata all'amiloidosi.

Scarica il Quaderno “AmyTour, pazienti e medici dialogano sull'amiloidosi, realizzato da Osservatorio Malattie Rare in collaborazione con fAMY Onlus-Associazione Italiana Amiloidosi Familiare.

Scarica la guida “Guida ai diritti esigibili dei pazienti con amiloidosi cardiaca”, edita da Rarelab, con il patrocinio di Conacuore ODV - Coordinamento Nazionale Associazioni del CuorefAMY - Associazione Italiana Amiloidosi Familiare OnlusFondazione Italiana per il Cuore e con il contributo non condizionante di Pfizer.

Il termine porfiria definisce un eterogeneo gruppo di malattie metaboliche rare dovute ad un deficit di uno degli enzimi della biosintesi dell'eme (o gruppo eme), un complesso chimico membro di una famiglia di composti chiamati porfirine. Tali deficit provocano un accumulo dannoso di porfirine, e di loro precursori, nel fegato e nel midollo osseo. Le porfirie vengono essenzialmente classificate in epatiche o eritropoietiche, a seconda della locazione principale dell'anomalia metabolica sottostante. Si tratta di condizioni che sono caratterizzate da sintomi neurologici (attacchi neuroviscerali), da lesioni cutanee dovute a fotosensibilità o dalla combinazione di questi due tipi di manifestazioni.

Il codice di esenzione della porfiria è RCG110 (afferisce al gruppo "Difetti congeniti del metabolismo delle porfirine e dell'eme").

La sezione Porfiria è realizzata grazie al contributo non condizionante di Alnylam.

Alnylam

Consulta il nostro servizio L'ESPERTO RISPONDE: clicca QUI per accedere alla sezione dedicata alla porfiria.

La trombocitopenia immune (ITP), precedentemente chiamata porpora trombocitopenica idiopatica o immune, o anche piastrinopenia immune, rappresenta una rara forma di malattia autoimmune della coagulazione. È caratterizzata da una carenza di piastrine nel sangue (piastrinopenia o trombocitopenia) in assenza di altre patologie associate. L'entità dei sintomi emorragici varia sensibilmente da soggetto a soggetto: si può passare da sanguinamenti muco-cutanei con porpora a gravi emorragie gastrointestinali o cerebrali, più rare ma potenzialmente fatali. In circa un terzo dei casi, la malattia si sviluppa in maniera asintomatica.

Il codice di esenzione della trombocitopenia immune è RDG031 (afferisce al gruppo “Piastrinopatie autoimmuni primarie croniche”).

Nella ITP, tra i sintomi maggiormente riconoscibili figura la comparsa di petecchie e di ecchimosi a livello cutaneo, insieme a sanguinamenti dal naso (epistassi) o dalle gengive (gengivorragie). Sono frequenti anche bolle emorragiche in corrispondenza delle mucose, sanguinamenti dell’apparato gastro-intestinale e genito-urinario (presenza di sangue nelle urine) e, nelle donne, emorragie più abbondanti nel corso delle mestruazioni. In alcuni casi, vi può essere la concomitante presenza di anemia sideropenica secondaria, che può essere accompagnata da debolezza o astenia.

Per quanto riguarda la diagnosi, l’esame di laboratorio di riferimento è l’emocromo che, oltre a fornire il numero delle piastrine, rende conto anche del volume piastrinico medio, che in molti casi può risultare aumentato. Di solito, nei pazienti, i test di coagulazione (PT e aPTT) risultano nella norma. La diagnosi di trombocitopenia immune rimane sostanzialmente clinica e, insieme all’emocromo, prevede l’esame obiettivo del paziente, la raccolta delle informazioni anamnestiche e la valutazione di uno striscio di sangue periferico, per escludere altre possibili cause di trombocitopenia, specie quelle di tipo infettivo o da esposizione a farmaci o sostanze tossiche.

La terapia di prima linea per i pazienti con nuova diagnosi di ITP si basa essenzialmente sulla somministrazione di corticosteroidi (idrocortisone o prednisone), da assumere per un periodo massimo di circa 15 giorni e poi, a scalare, per 4-6 settimane. Ai pazienti pediatrici con emorragie gravi, o a quelli con conteggio piastrinico inferiore a 10-20mila unità per microlitro, insieme ai corticosteroidi è possibile somministrare immunoglobuline per via endovenosa. Negli ultimi anni, come terapia di seconda linea vengono utilizzati gli agonisti del recettore della trombopoietina (TPO-mimetici) e rituximab, un anticorpo monoclonale che svolge un’azione immunosoppressiva. In ultima istanza, e ad almeno 12 mesi dalla diagnosi, si può ricorrere alla splenectomia (rimozione della milza), che offre una solida possibilità di remissione.

In Italia, per i pazienti affetti da ITP è attiva AIPIT Onlus (Associazione Italiana Porpora Immune Trombocitopenica). Per maggiori informazioni è possibile visitare sia il sito web che la pagina Facebook dell'associazione.

Fonti principali:
- Federico A "Physicians' Guide to Rare Diseases - Guida alle Malattie Rare" (Edizione italiana - 1999)
- AA. VV. "Nuovo Roversi - Diagnostica e Terapia" (X edizione - 2006)

Il codice di esenzione della neurofibromatosi è RBG010.

Le istiocitosi sono un gruppo eterogeneo di disordini caratterizzati dall’accumulo e/o proliferazione di fagociti mononucleati di origine midollare (una delle popolazioni cellulari del sistema immunitario). Se ne distinguono due famiglie principali: l'istiocitosi a cellule di Langerhans, che deriva dalle cellule dendritiche, e la linfoistiocitosi emofagocitica, che deriva dalle cellule fagocitiche.
Il codice di esenzione dell'istiocitosi a cellule di Langerhans è RCG150 (afferisce al gruppo "Istiocitosi croniche").

Per saperne di più sull'istiocitosi a cellule di Langerhans clicca qui.

La purpura fulminans è un disturbo raro e gravissimo del sistema emostatico, associato ad elevata morbilità e mortalità. La patologia è caratterizzata da tipiche lesioni cutanee di un colore rosso-violaceo tendente al blu scuro, con forma irregolare, confine infiammatorio e necrosi centrale, accompagnate da severa coagulopatia sistemica e insufficienza multi-organo. La forma più grave di purpura fulminans è ad esordio neonatale, generalmente causata da un deficit congenito della proteina C. In altri casi, ad insorgenza più tardiva, la malattia è conseguente a infezioni o disturbi infiammatori (purpura fulminans acquisita) o correlata a terapie anticoagulanti con antagonisti della vitamina K.

Per maggiori informazioni sulla malattia clicca qui.

La mucopolisaccaridosi di tipo III (MPS III), nota anche come sindrome di Sanfilippo, è un grave disordine ereditario caratterizzato da un anormale accumulo organico di eparan solfato (HS), molecola che appartiene alla classe dei glicosaminoglicani (GAG). La patologia si suddivide in 4 diverse varianti (A, B, C o D), ognuna delle quali è causata da uno specifico difetto genetico ed è contraddistinta dal deficit di uno degli enzimi che sono necessari alla degradazione dell'eparan solfato.
Il codice di esenzione della MPS III è RCG140 (afferisce al gruppo "Mucopolisaccaridosi").

La macrodattilia è una rara malformazione congenita in cui una o più dita, del piede o della mano, presentano dimensioni più grandi del normale. La malattia può associarsi ad altre patologie, può far parte di un più ampio quadro sindromico oppure può manifestarsi in maniera isolata. In quest'ultimo caso si parla di macrodattilia di tipo I, condizione che è caratterizzata da due tipiche manifestazioni cliniche: la forma statica (in cui le dita colpite sono più grandi fin dalla nascita e crescono proporzionalmente alle altre) o la forma progressiva (in cui le dita coinvolte continuano a ingrandirsi più delle altre).

Il codice di esenzione della macrodattilia è 051 (Soggetti nati con condizioni di gravi deficit fisici, sensoriali e neuropsichici – Malattie croniche) oppure, in alcuni casi, 001 (Acromegalia e gigantismo – Malattie croniche). 
Dal 2017 è entrato in vigore il codice di esenzione RNG093: SINDROMI MALFORMATIVE CONGENITE GRAVI ED INVALIDANTI CARATTERIZZATE DA UN ACCRESCIMENTO PRECOCE ECCESSIVO. Secondo quanto esplicitato dal Ministero della Salute la condizione MACRODATTILIA PIK3CA correlata è da ritenersi inclusa nel gruppo.

In Italia, per i pazienti affetti da macrodattilia o da altre sindromi da iperaccrescimento è attiva l'Associazione Italiana Macrodattilia e PROS.

La malattia polmonare da micobatteri non tubercolari (NTM-LD), nota anche come malattia polmonare NTM, è una rara e grave infezione batterica a trasmissione ambientale (difficilmente la malattia si trasmette per contatto interumano), la cui insorgenza è riconducibile alla presenza di specie micobatteriche diverse rispetto a quelle che causano la tubercolosi. Nello specifico, gli organismi coinvolti sono i cosiddetti micobatteri non tubercolari (NonTuberculous Mycobacteria, NTM), ampiamente riscontrabili nell’ambiente naturale a livello del suolo e dell’acqua, alcuni dei quali sono considerati come specie opportunistiche sia di vari animali che dell’uomo stesso. I micobatteri non tubercolari possono essere classificati in due gruppi: a crescita lenta e a crescita veloce. Al primo insieme appartengono organismi come il Mycobacterium avium complex (MAC), il M. chimaera e il M. kansasii, mentre del secondo fanno parte il M. abscessus, il M. bolletii e il M. massiliense. Ognuno di questi è responsabile dell’insorgenza di patologie polmonari con sintomatologia e prognosi variabili, spesso refrattarie al trattamento.

Non sempre i vari casi di NTM-LD vengono segnalati alle autorità sanitarie: è perciò difficile disporre di dati epidemiologici ben precisi, anche se i risultati di un recente studio americano affermano che la prevalenza di questo tipo di malattia, nel recente periodo, è aumentata dell’8% circa, ogni anno, solo negli Stati Uniti. Conseguentemente, anche il tasso di mortalità legato alla patologia ha subito un incremento del 40%.

I pazienti affetti da NTM-LD sperimentano una sintomatologia piuttosto vaga che comprende febbre, calo di peso, tosse, astenia (stanchezza psico-fisica generalizzata), disturbi gastrointestinali, sudorazione notturna e presenza di sangue nell'espettorato, la cui gestione può richiedere frequenti e prolungati ricoveri ospedalieri.
Tra i pazienti a maggior rischio di contrarre l’infezione ci sono gli individui al di sopra dei 50 anni, quelli con infezione da HIV, quelli affetti da fibrosi cistica o da patologie polmonari quali la broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) e quelli sottoposti a terapie immunosoppressive.

La corretta identificazione dell’agente infettivo è il punto di partenza di una buona diagnosi e passa necessariamente attraverso un esame colturale. In seconda battuta va considerata una buona osservazione clinica dei sintomi. Le radiografie toraciche sono importanti ma possono produrre quadri per certi versi sovrapponibili a quelli dei pazienti affetti da tubercolosi, quali lesioni polmonari cavitarie e nodulari o bronchiectasie (malformazioni croniche dei bronchi).

La terapia rappresenta un nodo critico: buona parte dei micobatteri non tubercolari è resistente a un gran numero di antibiotici. Tutto ciò allunga e complica il percorso terapeutico, aumentandone i costi e incidendo notevolmente sulla qualità di vita del paziente. I più comuni antibiotici per il trattamento dell’infezione da MAC comprendono etambutolo, claritromicina, azitromicina, rifabutina, rifampicina e anche antibiotici non specificamente approvati per la NTM-LD, quali ciprofloxacina, clofazimina e amikacina. Considerate le peculiarità dei micobatteri NTM, i regimi terapeutici spesso prevedono da 2 a 4 farmaci somministrati per periodi fino a 18-24 mesi (anche se i soggetti affetti da HIV possono essere costretti a terapie che durano per tutta la vita). Anche dopo il raggiungimento della conversione dell’esame colturale, ossia l'avvenuta eradicazione dell'infezione, i cicli di antibiotici possono continuare per un periodo di circa 12 mesi.

Consulta il nostro servizio L'ESPERTO RISPONDE dedicato alla malattia polmonare da micobatteri non tubercolari: clicca QUI per accedere alla sezione per pazienti del Centro-Nord d'Italia e QUI per accedere alla sezione per pazienti del Centro-Sud.

Per i pazienti italiani con malattia polmonare NTM è attiva l'associazione AMANTUM.

Sul portale www.mntfatto.it, medici e professionisti della salute possono reperire informazioni e aggiornamenti sulla malattia polmonare da micobatteri non tubercolari. QUI è possibile scaricare una breve scheda illustrativa sulla patologia tratta dal portale.

Fonti principali:
- Griffith DE, Aksamit T, Brown-Elliott BA et al. "An Official ATS/IDSA Statement: Diagnosis, Treatment, and Prevention of Nontuberculous Mycobacterial Diseases." Am J Respir Crit Care Med (2007)
- Winthrop KL, McNelley E, Kendall B, et al. "Pulmonary Nontuberculous Mycobacterial Disease Prevalence and Clinical Features." Am J Respir Crit Care Med (2010)
- Van der Werf MJ, Ködmön C, Katalin´c- Jankovi´c V, et al. "Inventory study of non-tuberculous mycobacteria in the European Union." BMC Infectious Diseases (2014)

I rachitismi ipofosfatemici, contraddistinti dalla presenza di ridotti livelli plasmatici di fosforo, rappresentano le forme più frequenti di rachitismo genetico. Si tratta di patologie rare e severe, in particolare per quanto riguarda la prognosi staturale, che richiedono una complessa gestione multidisciplinare coordinata dal pediatra. Le manifestazioni principali del rachitismo ipofosfatemico comprendono alterazioni scheletriche, deformità a carico degli arti inferiori, dolori ossei e tendinei, ritardo nella crescita e ascessi dentali.

Il codice di esenzione del rachitismo ipofosfatemico vitamina D resistente è RC0170. Inoltre, il codice di esenzione della sindrome di Dent (una forma di rachitismo ipofosfatemico) è RJG010 (afferisce al gruppo “Tubulopatie primitive”), mentre il codice del rachitismo vitamina D dipendente di tipo I è RCG094 (afferisce al gruppo “Difetti congeniti del metabolismo e del trasporto della vitamina D”).

La sezione Rachitismo Ipofosfatemico è realizzata grazie al contributo non condizionante di Kyowa Kirin.

Rachitismo ipofosfatemico, Kyowa Kirin

Il rachitismo è una patologia caratterizzata da una ridotta mineralizzazione del tessuto osseo in accrescimento, con conseguente accumulo di matrice ossea non mineralizzata, detta tessuto osteoide. È una condizione tipica dell’età evolutiva, in quanto si presenta prima della saldatura delle epifisi delle ossa lunghe e colpisce soprattutto le ossa a più rapido accrescimento, come il cranio, le coste, i polsi, le ginocchia e le caviglie. Il rachitismo carenziale, dovuto a un deficit di vitamina D, rappresenta la causa più frequente di rachitismo; tuttavia, esistono forme più rare trasmesse geneticamente, che negli ultimi anni sono state meglio caratterizzate: i rachitismi ipofosfatemici.

Il fattore di crescita fibroblastico 23 (fibroblast growth factor 23, FGF23) è una proteina che svolge un ruolo centrale nella patogenesi dei rachitismi ipofosfatemici: livelli elevati di FGF23 determinano infatti l’ipofosfatemia che porta all’instaurarsi delle lesioni rachitiche. Queste patologie possono manifestarsi in varie forme: il rachitismo ipofosfatemico legato all'X, dovuto a mutazione inattivante del gene PHEX (la più frequente causa di rachitismo genetico, con un’incidenza di 1 caso su 20.000), la forma autosomica dominante dovuta a mutazione attivante del gene FGF23, e le forme autosomiche recessive (tipo 1 e tipo 2) dovute rispettivamente a mutazione dei geni DMP1 e ENPP1. Esiste inoltre una forma di rachitismo ipofosfatemico ereditario con ipercalciuria, un disordine autosomico recessivo caratterizzato da una mutazione del gene SLC34A3 in cui la fosfaturia consegue a un difetto primitivo renale, per cui i livelli di FGF23 sono ridotti o ai limiti bassi della norma.

I primi segni e sintomi solitamente iniziano a comparire durante il primo o il secondo anno di vita: tipiche sono le alterazioni scheletriche caratterizzate da ossa deboli, sottili e incurvate (rachitismo). Non rare anche le fratture e un anomalo allungamento osseo a livello dell'inserzione muscolare; possono inoltre essere presenti crampi muscolari, andatura dondolante associata ad anomalie dell'articolazione dell'anca, dolore alle ginocchia, ginocchia valghe o vare, sviluppo ridotto (soprattutto delle gambe) e sviluppo anomalo del cranio o delle coste (pectus excavatum). Frequenti sono anche le anomalie dentali quali eruzione tardiva dei denti, anomalie dello smalto e tendenza allo sviluppo di ascessi spontanei: sono perciò molto importanti periodici controlli odontostomatologici. L'aspettativa di vita dei pazienti è normale. Nell'adulto, il rachitismo ipofosfatemico evolve in osteomalacia, una grave patologia che comporta una riduzione della densità ossea, con conseguenti fragilità e deformità scheletriche. I pazienti sono quindi esposti al rischio di fratture e a processi degenerativi a carico delle articolazioni.

La diagnosi del rachitismo ipofosfatemico viene posta sulla base delle indagini effettuate nel sangue (ipofosfatemia, elevata fosfatasi alcalina, bassi o normali livelli sierici di vitamina D, normali livelli di paratormone) e nelle urine (iperfosfaturia), oltre che sulla base dei referti radiografici. Le indagini radiologiche, infatti, sono in grado di evidenziare un'insufficiente mineralizzazione ossea a livello della cartilagine dell'epifisi (estremità di un osso lungo interamente cartilaginea), di accrescimento e ossea.

Il trattamento consiste nell'assunzione per via orale di sali di fosfato inorganico e metaboliti della vitamina D, di solito sotto forma di calcitriolo, fino al completamento della fase di crescita. I pazienti devono essere attentamente monitorati durante il trattamento per prevenire l'ipercalciuria e la nefrocalcinosi, possibili complicanze secondarie alla terapia. Per il rachitismo ipofosfatemico legato all'X è stato approvato, sia in Europa che negli Stati Uniti, l'anticorpo monoclonale burosumab, il primo farmaco che agisce sulla causa della malattia, affrontando l'attività in eccesso di FGF23. In caso di crescita ossea anomala, invece, il trattamento è di tipo chirurgico.

Consulta il nostro servizio L'ESPERTO RISPONDE: clicca QUI per accedere alla sezione dedicata al rachitismo ipofosfatemico.

CONSULTA LA GUIDA AI CENTRI DI RIFERIMENTO ITALIANI PER IL RACHITISMO IPOFOSFATEMICO.

In Italia, per i pazienti affetti da rachitismo ipofosfatemico sono attive le associazioni AIFOSF (Associazione Italiana dei Pazienti con Disordini Rari del Metabolismo del Fosfato) e AISMME (Associazione Italiana Sostegno Malattie Metaboliche Ereditarie).

Fonti principali:
- Carpenter TO et al. "A clinician's guide to X‐linked hypophosphatemia" Journal of Bone and Mineral Research (2011)
- Vierucci F, Saggese G, Simi P "I rachitismi ipofosfatemici" Prospettive in Pediatria (2012)

La Sindrome di Angelman è una sindrome genetica, descritta la prima volta nel 1965 dal pediatra inglese Harry Angelman, causata dall’assenza di una porzione del cromosoma 15 (porzione contrassegnata come 15q11-q13). La malattia si osserva solo nelle persone in cui la mancanza riguarda il cromosoma 15 di origine materna. A causa di un complesso meccanismo biologico chiamato imprinting, infatti, i geni contenuti in questa porzione del cromosoma 15 sono funzionanti solo nel cromosoma materno, e sono "spenti "in quello paterno.
Il codice di esenzione per la Sindrome di Angelman è RN1300.

Manifestazioni iniziali - I bambini alla nascita possono presentare con frequenza problemi di alimentazione con difficoltà di suzione o rigurgito, alcuni di essi soffrono di infezioni ricorrenti delle alte vie respiratorie. La scoliosi e l’obesità possono rappresentare un problema nell’età adulta. Il ritardo dello sviluppo psicomotorio è già evidente intorno ai 6 mesi di vita, ma le caratteristiche peculiari della Sindrome di Angelman non si manifestano prima del primo anno di vita e possono trascorrere parecchi anni prima che una corretta diagnosi clinica possa essere definita.
Sintomi - La Sindrome di Angelman è caratterizzata da ritardo grave dello sviluppo psicomotorio, linguaggio gravemente compromesso o assente, deficit dell’equilibrio dinamico e movimenti scoordinati (atassia) con tremori agli arti, comportamento tipico caratterizzato da contegno generalmente felice e facilità nella relazione, iperattività motoria, ipereccitabilità con ridotto span attentivo, rari accessi di riso immotivato. Queste caratteristiche sono comuni a tutte le persone affette. Altri tratti frequenti, presenti nell’80% dei casi, sono la microcefalia, che si rende evidente dopo i 2 anni di vita e le crisi epilettiche che insorgono generalmente entro i 3 anni di vita.

I pazienti con Sindrome di Angelman possono essere suddivisi in 5 specifiche classi eziologiche a cui corrispondono meccanismi biologici e rischi di ricorrenza differenti:
1) delezione della regione SA/SPW sulla copia del cromosoma 15 (regione 15q11-q13) ereditato dalla madre;
2) disomia uniparentale paterna;
3) difetto del centro dell’imprinting (IC);
4) mutazione del gene UBE3A;
5) meccanismi genetici non ancora identificati.
Gli individui con delezioni del cromosoma 15q11-q13 hanno un quadro clinico più severo e sono più inclini a sviluppare una grave epilessia. L’esatta incidenza della Sindrome di Angelman è tuttora incerta. I dati relativi alla prevalenza della malattia non sono noti con esattezza, infatti una recente revisione indica una stima pari ad 1 caso su 10.000 - 40.000 nati.

Terapie - Non esiste attualmente una cura per la patologia. I principali sforzi terapeutici mirano alla riabilitazione psicomotoria, alla ricerca, alla stimolazione di una modalità di comunicazione alternativa al classico linguaggio verbale e alla terapia delle crisi epilettiche. L'acido valproico (sodio valproato), le benzodiazepine e l'etosuccimide, in varie combinazioni, sono piuttosto efficaci nel trattamento dei vari tipi di crisi epilettiche. Il piracetam può aiutare a ridurre il mioclono distale. Carbamazepina e vigabatrin possono aggravare l'assenza e le crisi miocloniche (spasmi) e dovrebbero essere evitati.

L’Organizzazione Sindrome di Angelman (OR.S.A.)  è nata con l’obiettivo di creare un punto di riferimento per tutte le famiglie con un figlio colpito dalla Sindrome di Angelman. Aggregazione, coesione, ricerca, presenza locale, qualità della vita, sono alcuni dei principi e valori di riferimento che l’associazione porta avanti da oltre 20 anni. L’associazione ha individuato una serie di centri di riferimento per la Sindrome di Angelman, consultabili a questo link.

La malattia di Dupuytren è una patologia rara del tessuto connettivo e colpisce quasi esclusivamente la mano. Generalmente, la condizione inizia a manifestarsi con la formazione di noduli sottocutanei che appaiono nella zona della fascia palmare, portando poi alla comparsa di un cordone fibroso al di sopra dei tendini. Evolvendo, la malattia determina la flessione permanente di alcune dita verso il palmo della mano (contrattura articolare). Questo disturbo progressivamente invalidante si verifica soprattutto nei maschi di età compresa tra 40 e 60 anni. Le cause esatte restano tuttora sconosciute, ma tra i fattori di rischio è incluso il fumo, la predisposizione genetica e la presenza di altre patologie (come diabete, epilessia e disfunzioni tiroidee).

La mucopolisaccaridosi di tipo I (MPS I) è una malattia rara multisistemica e progressiva causata dalla carenza dell’enzima alfa-L-iduronidasi, che provoca l’accumulo graduale di glicosaminoglicani (GAG) in tutti gli organi e tessuti. Tale accumulo conduce a manifestazioni cliniche multisistemiche di gravità variabile. Storicamente si riconoscono tre sindromi principali che rappresentano l’intero spettro della malattia: Hurler (fenotipo clinico più grave), Hurler-Scheie (fenotipo clinico intermedio) e Scheie (fenotipo clinico meno grave). Queste distinzioni sono state poste sulla base dell’età di comparsa dei primi sintomi, della rapidità di progressione della patologia e della sintomatologia preminente. È bene però tenere presente che esiste un’estrema eterogeneità in termini di severità e sintomatologia all’interno di ogni fenotipo clinico ed anche sovrapposizione tra i diversi  fenotipi. La malattia deve quindi essere considerata un continuum che consiste in un ampio spettro di fenotipi clinici eterogenei; ogni paziente è unico in termini di età di esordio dei sintomi, progressione della patologia e comorbidità ed i test di laboratorio, anche se utili per la conferma diagnostica, non sono predittivi della severità della patologia.

Il codice di esenzione della MPS I è RCG140 (afferisce al gruppo "Mucopolisaccaridosi").

La sezione Mucopolisaccaridosi I è realizzata grazie al contributo non condizionante di Sanofi.

mucopolisaccaridosi, Sanofi

La combinazione della variabilità fenotipica della MPS I e la scarsa conoscenza della patologia può spesso portare a ritardi diagnostici. Anche se i pazienti e le famiglie di solito si rivolgono inizialmente ai pediatri ed ai medici di medicina generale, alcune manifestazioni frequentemente necessitano di consulti specialistici. Segni e sintomi che potrebbero portare al sospetto clinico di Mucopolisaccaridosi I sono: ernia inguinale e/o ombelica, lerigidità articolare, sindrome del tunnel carpale, infezioni recidivanti dell’orecchio medio e/o delle alte vie aeree, mano ad artiglio/dita a scatto, displasia dell’anca, valvulopatia, opacità corneale.

La conferma diagnostica è semplice: un esame delle urine può identificare un caso di MPS, in quanto i GAG vengono escreti in eccesso nelle urine dei pazienti MPS. La diagnosi definitiva si ottiene mediante l’analisi dell’attività enzimatica nei leucociti.

Fonte principale:
- Orphanet

L’acidosi tubulare renale distale (dRTA), o acidosi tubulare renale di tipo 1, è una malattia ereditaria rara e cronica che rappresenta il 10% circa di tutte le tubulopatie (patologie dei tubuli renali). La dRTA è dovuta ad una ridotta escrezione urinaria di acido da parte dei tubuli distali dei reni, ed è perciò caratterizzata da una diffusa acidosi metabolica ipercloremica (accumulo di acidi nell'organismo associato ad un aumento dei livelli ematici di cloro) unita ad un aumento dei livelli di calcio nelle urine (ipercalciuria) e, spesso, ad un abbassamento dei livelli di potassio nel sangue (ipokaliemia). In rari casi, la dRTA non viene trasmessa geneticamente ma insorge in seguito ad altre malattie (soprattutto la sindrome di Sjogren), a trapianto di reni o a trattamento prolungato con alcuni farmaci (come amfotericina B, ifosfamide, litio): in queste forme acquisite, la dRTA può associarsi a ipokaliemia, iperkaliemia o normokaliemia.

Il codice di esenzione dell'acidosi tubulare renale distale è RJG010 (afferisce al gruppo "Tubulopatie primitive").

La sezione Acidosi Tubulare Renale distale è realizzata grazie al contributo non condizionante di SPA (Società Prodotti Antibiotici).

acidosi tubulare renale distale, Società Prodotti Antibiotici

L’acidosi tubulare renale distale è causata da mutazioni a carico dei geni SLC4A1, ATP6V1B1 o ATP6V0A4, e può trasmettersi per via autosomica dominante (AD) o autosomica recessiva (AR). La malattia può insorgere a tutte le età: le forme AD vengono più frequentemente diagnosticate in adulti e adolescenti, mentre le forme AR in bambini e neonati. I pazienti con dRTA possono essere asintomatici o mostrare segni di debolezza, poliuria (produzione abbondante di urina associata ad un aumento della frequenza della minzione) e polidipsia (stato di sete intensa che porta ad ingerire notevoli quantità di liquidi) dovuti all'ipokaliemia. Nei bambini più piccoli si possono osservare episodi di disidratazione, vomito o febbre, e la patologia può essere causa di un ritardo nella crescita o di rachitismo. Nel tempo, l'accumulo di sali di calcio in corrispondenza dei reni (nefrocalcinosi) può dar luogo a calcinosi ricorrenti e il danno strutturale dei tubuli renali e può progredire fino alla malattia renale cronica. In alcuni pazienti, generalmente positivi a mutazioni nei geni ATP6V1B1 o ATP6V0A4, la dRTA può accompagnarsi anche a sordità. Infine, nei casi più gravi, l'ipokaliemia e le alterazioni elettrolitiche dovute alla malattia possono provocare aritmie cardiache e paralisi, fino a condurre ad esiti fatali.

La mancanza di sintomi specifici rende difficile diagnosticare l'acidosi tubulare renale distale prima della comparsa di problemi evidenti ai reni. La figura del nefrologo pediatra riveste un ruolo di primo piano per l'identificazione della malattia nei bambini. La dRTA deve essere sospettata nei pazienti con acidosi metabolica associata a gap anionico urinario positivo. I test di approfondimento prevedono la determinazione del pH serico e urinario (quest’ultimo rimane superiore a 5,5 durante l’acidosi sistemica), l'esame dell’osmolalità e il dosaggio degli elettroliti, della creatinina urinaria e dell’azotemia. La diagnosi può essere confermata dall'analisi genetica.

L’acidosi tubulare renale distale è una malattia cronica che prevede un trattamento da seguire per tutta la vita. La terapia è sintomatica e, nella maggior parte dei casi, prevede la correzione del pH e dell’equilibrio elettrolitico attraverso somministrazione di alcalinizzanti, eventualmente associati a potassio citrato.

Fonti principali:
Orphanet
- Cao A, Dallapiccola B, Notarangelo LD. "Malattie genetiche. Molecole e geni. Diagnosi, prevenzione e terapia" (ed. Piccin-Nuova Libraria - 2004)
- Genetic and Rare Diseases Information Center (GARD)

La malattia correlata a GNAO1 (chiamata anche semplicemente GNAO1) è una grave patologia genetica ultra-rara generalmente caratterizzata da un esordio pediatrico precoce (già dai primi giorni di vita) e da sintomi molto variabili, che vanno dall’epilessia ai disturbi del movimento, fino al ritardo psicomotorio. Si tratta di una malattia le cui basi genetiche sono state descritte solo di recente, nel 2013, quando in alcuni pazienti sono stati identificati diversi tipi di mutazione a carico del gene GNAO1 (G Protein Subunit Alpha O1), da cui la condizione prende il nome. Questo gene codifica per una specifica subunità della proteina G, un’importante molecola coinvolta nella trasmissione del segnale tra le cellule del sistema nervoso.

La malattia correlata a GNAO1 è stata inizialmente descritta come una grave encefalopatia epilettica infantile, definizione che però sta progressivamente cambiando poiché è stato osservato che la patologia può anche manifestarsi con forme lievi di epilessia o non essere affatto associata a tale disturbo. Si tratta, quindi, di una malattia molto complessa che presenta una vasta variabilità clinica: tra i sintomi comuni è possibile includere ritardo psicomotorio, ipotonia (diminuzione del tono muscolare) e movimenti di tipo coreico (movimenti involontari del corpo, spesso rapidi e disordinati). La tipologia e la severità dei sintomi possono essere molto diverse a seconda dei casi e variare persino tra pazienti che hanno lo stesso tipo di mutazione.

La malattia correlata a GNAO1 è una condizione attualmente poco conosciuta, che non ha ancora una denominazione ufficiale. Molto poco si sa anche della sua epidemiologia: ad oggi sono noti solo un centinaio di casi in tutto il mondo, di cui alcuni in Italia, ma probabilmente si tratta di un'ampia sottostima dovuta alle attuali difficoltà diagnostiche.

In Italia, i pazienti con mutazioni nel gene GNAO1 possono contare sull'associazione Famiglie GNAO1. In America, invece, è attiva la Bow Foundation.

Fonti principali:
- Bow Foundation
- Nakamura K, Kodera H, Akita T, Shiina M, Kato M, Hoshino H, et al. “De novo mutations in GNAO1, encoding a Galphao subunit of heterotrimeric G proteins, cause epileptic encephalopathy” The American Journal of Human Genetics (2013)
- Feng H, Sjögren B, Karaj B, et al. “Movement disorder in GNAO1 encephalopathy associated with gain-of-function mutations” Neurology (2017)
- Saitsu H, Fukai R, Ben-Zeev B, et al. “Phenotypic spectrum of GNAO1 variants: epileptic encephalopathy to involuntary movements with severe developmental delay” European Journal of Human Genetics (2016)
- Danti FR, Galosi S, Romani M, et al. “GNAO1 encephalopathy” Neurology: Genetics (2017)

La porpora trombotica trombocitopenica acquisita (aTTP) è una patologia autoimmune della coagulazione del sangue, descritta per la prima volta nel 1924 dal dr. Eli Moschcowitz. Per “porpora” si intende un sanguinamento a livello del tessuto sottocutaneo, il quale provoca piccole macchie rosse della pelle, uno dei sintomi della malattia. “Trombotica” si riferisce ai piccoli coaguli che si formano spontaneamente all'interno dei vasi sanguigni, mentre “trombocitopenica” significa che la conta piastrinica è bassa, perché le piastrine vengono utilizzate per formare i coaguli di sangue. “Acquisita”, infine, significa che la condizione non è presente fin dalla nascita, ma si manifesta più avanti nel corso della vita.

Il codice di esenzione della porpora trombotica trombocitopenica è RGG010 (afferisce al gruppo "Microangiopatie trombotiche").

Le piastrine sono una delle componenti più importanti del sangue: quando si verifica un sanguinamento si aggregano e formano dei coaguli per sigillare la lesione e prevenire ulteriori emorragie. Una proteina chiamata fattore di von Willebrand aiuta le piastrine a formare i coaguli, e l'attività di questa proteina è regolata a sua volta da un enzima chiamato ADAMTS13. La aTTP si verifica quando il sistema immunitario impedisce a questo enzima di funzionare correttamente, alterando il processo di coagulazione del sangue. A causa di ciò, si formano piccoli trombi diffusi in tutto il corpo che, ostruendo i vasi sanguigni, possono bloccare il flusso del sangue verso organi come cervello, cuore o reni, con conseguenze gravi e potenzialmente fatali, come insufficienza renale, ictus o infarto.

Esistono due forme di porpora trombotica trombocitopenica: la forma ereditaria colpisce circa il 5% dei pazienti, mentre il restante 95% è affetto dalla forma acquisita, più comune. La aTTP è comunque una malattia ultra-rara, con un'incidenza di 1-6 casi su un milione all'anno. Colpisce maggiormente le donne rispetto agli uomini, nella proporzione di 3:1, e i pazienti, in genere, sono giovani: l'età media alla diagnosi è di circa 40 anni. Si tratta di una malattia caratterizzata da manifestazione acute che devono essere gestite con un intervento tempestivo: l'attuale tasso di mortalità è di circa il 20% nonostante il trattamento standard.

Ogni paziente con aTTP è diverso e può manifestare una vasta gamma di sintomi. Inizialmente, molti pazienti possono accusare disturbi generali come febbre o malessere. I sintomi causati dalla formazione di microtrombi comprendono mal di testa, confusione, disturbi della vista, dolore toracico, affaticamento, ittero (ingiallimento della cute e delle sclere degli occhi), urine scure e disturbi della funzione renale. Possono presentarsi, inoltre, sanguinamenti dalle gengive o dal naso, lividi viola sulla pelle (porpora), macchie rosse o viola chiamate petecchie e, nei casi gravi, convulsioni o coma. Nel corso della vita, gli episodi di porpora trombotica trombocitopenica possono essere singoli oppure ripetuti: circa il 20% dei pazienti sperimenta un nuovo episodio entro un anno dal primo, ma un nuovo attacco può verificarsi anche dopo anni dall’evento precedente. In Italia, nel 2014, sono stati riportati 227 episodi di malattia.

La diagnosi di aTTP si basa sull’osservazione clinica e fisica dei pazienti e sugli esami del sangue. La conferma diagnostica può giungere da test che valutano il livello di attività dell'enzima ADAMTS13 o la presenza dei suoi anticorpi inibitori.

Gli episodi acuti di aTTP possono essere trattati con il cosiddetto plasma-exchange, una tecnica trasfusionale che consiste nella sostituzione del plasma del paziente con quello di donatori. A questa procedura si possono associare trattamenti con farmaci corticosteroidei o immunosoppressori, e in alcuni casi si può intervenire con l'asportazione della milza. Nel 2018, è stato approvato in Europa il nano-anticorpo caplacizumab, il primo farmaco specificamente indicato per la aTTP, in grado di ridurre la mortalità e migliorare la prognosi dei pazienti.

In Italia è attiva l'Associazione Nazionale Porpora Trombotica Trombocitopenica (ANPTT) Onlus.

Fonti principali:
- Fondazione Telethon
- U.S. National Institutes of Health
- Understanding TTP

La leucodistrofia metacromatica (MLD) è una grave patologia neurodegenerativa, rara e progressiva, appartenente al gruppo delle malattie da accumulo lisosomiale. La MLD è causata da mutazioni a carico del gene ASA (noto anche come ARSA), che codifica per l’enzima arisolfatasi A, deputato al metabolismo di sostanze chiamate solfatidi. In rari casi, la patologia è dovuta a mutazioni nel gene PSAP, responsabile della sintesi di diverse proteine, le saposine: tra queste la saposina B, che funge da attivatore dell’enzima ASA. Il difetto genetico all’origine della malattia determina un deficit di arisolfatasi A e un conseguente accumulo di solfatidi nell’organismo, in particolare presso la guaina mielinica che avvolge e protegge le cellule nervose.

Il codice di esenzione della leucodistrofia metacromatica è RFG010 (afferisce al gruppo "Leucodistrofie").

Si distinguono tre principali forme cliniche di leucodistrofia metacromatica: tardo-infantile (con insorgenza tra i 6 mesi e i 2 anni), giovanile (a sua volta suddivisa in giovanile precoce, con insorgenza tra i 4 e i 6 anni, e giovanile tardiva, con insorgenza tra i 6 e i 12 anni) e adulta (con insorgenza dopo i 12 anni). Tutte le forme di MLD comportano un progressivo deterioramento delle funzioni motorie e neurocognitive, con diversa gravità a seconda dell’età di insorgenza della malattia: le varianti infantile e giovanile sono le più severe. I sintomi della leucodistrofia metacromatica includono convulsioni, difficoltà a parlare e camminare, disturbi del comportamento e alterazioni della personalità.

Ad oggi non esiste una vera e propria cura per la MLD. In casi selezionati viene proposto un trapianto di midollo osseo o di cellule staminali da cordone ombelicale, che può stabilizzare le funzioni neurocognitive. Dal 2020 è disponibile in Europa la prima terapia genica per la patologia, indicata per i bambini affetti da MLD in forma tardo-infantile o giovanile-precoce.

Consulta il nostro servizio L'ESPERTO RISPONDE: clicca QUI per accedere alla sezione dedicata alla leucodistrofia metacromatica.

Fonti principali:
- Sevin C, Aubourg P, Cartier N “Enzyme, cell and gene-based therapies for metachromatic leukodystrophy” J Inherit Metab Dis (2007)
- Gieselmann V, Krageloh-Mann I “Metachromatic leukodystrophy. An update” Neuropediatrics (2010)
- Telethon
- National Organization for Rare Disorders (NORD)

Le amiloidosi sono un gruppo ben definito di patologie caratterizzate dall’accumulo dannoso di sostanza amiloide all’interno dell’organismo. Questa particolare sostanza si presenta sotto forma di piccole fibrille ed è composta da proteine che, per cause diverse, si sviluppano in maniera anomala. Esistono diverse forme di amiloidosi, ognuna delle quali è dovuta ad una specifica proteina difettosa: si tratta di patologie multisistemiche, che colpiscono numerosi organi e tessuti. Tuttavia, insieme ai nervi, uno degli organi principalmente coinvolti è il cuore. Per questo motivo, il termine generico “amiloidosi cardiaca” viene utilizzato per definire la patologia cardiaca associata alle amiloidosi.

Amiloidosi cardiaca: documento di consensoAmiloidosi Cardiaca, conoscerla per diagnosticarla in tempo e gestirla al meglio” è un documento di consenso tra le associazioni di pazienti il cui obiettivo è quello di affrontare le problematiche vissute dalle persone affette da amiloidosi cardiaca e di proporre soluzioni per migliorare la loro vita. Il testo porta la firma di fAMY (Associazione Italiana Amiloidosi Familiare Onlus), Conacuore (Coordinamento Nazionale Associazioni del Cuore), Fondazione Italiana per il Cuore e Uniamo FIMR Onlus (Federazione Italiana Malattie Rare). I promotori del progetto si augurano che il documento di consenso possa essere condiviso e sottoscritto anche da altre associazioni di pazienti che si occupano di amiloidosi o, più in generale, di malattie cardiache o patologie rare. Per manifestare il proprio interesse, è possibile inviare una e-mail all'indirizzo Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo..

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Il deficit di alfa-1-antitripsina (AATD) è una patologia ereditaria causata dalla mutazione del gene SERPINA1, responsabile della produzione della proteina AAT (alfa-1-antitripsina), un inibitore delle proteasi dotato di effetti anti-infiammatori su diversi tipi di cellule. Il deficit di AAT è associato al rischio di sviluppo di patologie epatiche, disturbi respiratori (come enfisema polmonare, asma, bronchiectasie e broncopneumopatia cronica ostruttiva) e, più raramente, panniculite (infiammazione del tessuto adiposo sottocutaneo).

Il codice di esenzione del deficit di alfa-1-antitripsina è RC0200.

La sezione Deficit di Alfa-1-Antitripsina è realizzata con il contributo non condizionante di Grifols.

deficit di alfa-1-antitripsina, Grifols

L'alfa-mannosidosi è una malattia da accumulo lisosomiale che appartiene, più precisamente, al sottogruppo delle oligosaccaridosi. Si tratta di una patologia ereditaria, a trasmissione autosomica recessiva, dovuta a mutazione del gene MAN2B1. Questo specifico difetto genetico provoca una carenza dell’enzima alfa-mannosidasi lisosomiale, con un deposito dannoso e progressivo di oligosaccaridi (zuccheri) nelle cellule di tutto l’organismo. Le manifestazioni dell’alfa-mannosidosi variano da paziente a paziente, ma la malattia è essenzialmente caratterizzata da immunodeficienza (che si manifesta con infezioni ricorrenti, specialmente nella prima decade di vita), anomalie scheletriche (disostosi multipla, scoliosi e deformazione dello sterno), dismorfismi facciali (testa grande con fronte prominente, sopracciglia arrotondate, sella nasale piatta, macroglossia, denti distanziati e prognatismo), sordità neurosensoriale e deficit graduale delle funzioni mentali (con possibile sviluppo di psicosi e allucinazioni) e del linguaggio. I disturbi motori correlati comprendono debolezza muscolare, anomalie osteo-articolari e atassia. Ulteriori sintomi includono idrocefalia, epatosplenomegalia e problemi oculari, renali e cardiaci. L’alfa-mannosidosi colpisce circa un neonato ogni 500.000.

Il codice di esenzione dell’alfa-mannosidosi è RCG091 (afferisce al gruppo “Oligosaccaridosi”)

La sezione Alfa-mannosidosi è realizzata con il contributo non condizionante di Chiesi Global Rare Diseases.

alfa-mannosidosi, Chiesi

Sulla base della gravità della patologia, si distinguono tre forme principali di alfa-mannosidosi:
- tipo 1 (forma lieve): insorge generalmente dopo i 10 anni di età e progredisce lentamente. Di solito si manifesta con debolezza muscolare (miopatia) e non comporta anomalie scheletriche;
- tipo 2 (forma moderata): colpisce la maggior parte dei pazienti ed esordisce prima dei 10 anni di età. Presenta miopatia e problemi scheletrici quali ridotta densità ossea (osteopenia), ispessimento delle ossa nella parte superiore del cranio, deformazioni a carico di vertebre, gambe e ginocchia e deterioramento osteo-articolare;
- tipo 3 (forma grave): si manifesta nei primissimi anni di vita del bambino e, in aggiunta alle anomalie scheletriche, può comportare disturbi neurologici e deterioramento mentale rapidamente progressivo. In genere conduce a morte prematura per coinvolgimento o infezione del sistema nervoso centrale.

La diagnosi di alfa-mannosidosi si effettua tramite il dosaggio dell'alfa-mannosidasi lisosomiale e può essere confermata dai test genetici. L'aumento della secrezione urinaria di oligosaccaridi ricchi in mannosio può indicare la presenza della malattia. La diagnosi neonatale è possibile, e può essere effettuata tramite test biochimici o genetici.

Il trattamento dell’alfa-mannosidosi è essenzialmente diretto a contrastare i sintomi della malattia e a prevenire le complicanze associate. Fondamentali sono anche gli interventi di supporto, come quello educativo, per promuovere lo sviluppo delle capacità sociali, o quello fisioterapico, per migliorare le funzioni somatiche. Per l’alfa-mannosidosi è oggi disponibile una terapia enzimatica sostitutiva, indicata per le forme di malattia lievi o moderate in cui non vi sia esclusiva manifestazione neurologica.

Fonti principali:
- Genetic and Rare Diseases Information Center (GARD)
- Orphanet

La cistinosi nefropatica è una specifica forma di cistinosi, una rara malattia metabolica ereditaria, a trasmissione autosomica recessiva, causata da mutazioni nel gene CTNS, il quale codifica per una proteina, la cistinosina, deputata al trasporto dell’aminoacido cistina. A causa del difetto genetico alla base della patologia, la cistina si accumula nei lisosomi, danneggiando progressivamente le cellule dell’organismo e compromettendo la funzionalità dei reni e di diversi altri organi. Esistono due diverse tipologie di cistinosi nefropatica: la cistinosi nefropatica infantile, che si verifica in circa il 95% dei casi di cistinosi e che rappresenta la forma più grave e diffusa della malattia, e la cistinosi nefropatica giovanile, che si presenta in meno del 5% dei casi di cistinosi.

Il codice di esenzione della cistinosi è RCG040 (afferisce al gruppo “Difetti congeniti del metabolismo e del trasporto degli aminoacidi”).

La sezione Cistinosi Nefropatica è realizzata grazie al contributo non condizionante di Chiesi Global Rare Diseases.

cistinosi nefropatica, Chiesi

Nella cistinosi nefropatica infantile i primi segni clinici della malattia compaiono in genere dopo i tre mesi di vita, con sintomi che sono assimilabili a quelli della sindrome di Toni-Debré-Fanconi (eccessiva escrezione urinaria, ritardo dello sviluppo staturo-ponderale e alterazioni idroelettrolitiche conseguenti ad anomalie del processo di riassorbimento tubulare prossimale renale). I depositi di cistina nei vari organi causano ipertiroidismo, diabete insulino-dipendente, epatosplenomegalia (ingrossamento del volume di fegato e milza) con ipertensione portale, coinvolgimento muscolare e cerebrale. L’accumulo precoce di cristalli di cistina in corrispondenza della cornea è un segno distintivo della malattia e causa lacrimazione e fotofobia. In assenza di un trattamento specifico, quasi tutti i pazienti con cistinosi nefropatica infantile sviluppano una malattia renale allo stadio terminale entro i 10-12 anni di età.

Nella cistinosi nefropatica giovanile, i primi segni della malattia si manifestano generalmente intorno ai 6-8 anni di età, con tubulopatia prossimale lieve e/o proteinuria (eccessiva presenza di proteine nell’urina) associata a sindrome nefrosica. I sintomi extrarenali sono meno gravi rispetto a quelli tipici della forma infantile della malattia. Anche nella cistinosi nefropatica giovanile è presente un interessamento oculare caratterizzato da lacrimazione e fotofobia. In assenza di un trattamento specifico, l'insufficienza renale può manifestarsi in età adolescenziale o adulta.

Fonti principali:
- Orphanet
- Ariceta G., Giordano V., Santos F., Effects of long-term cysteamine treatment in patients with cystinosis. Pediatr Nephrol 34, 571–578 (2019).

Con il termine malattia di Niemann-Pick (NP) si fa riferimento a un gruppo di disturbi metabolici ereditari in cui si verifica un eccessivo e dannoso accumulo di lipidi (grassi) a carico di diversi organi, in particolare di cervello, milza, fegato, polmoni e midollo osseo. I sintomi neurologici della malattia di Niemann-Pick possono includere atassia (mancanza di controllo muscolare durante movimenti volontari come la deambulazione), perdita di tono muscolare, spasticità (muscoli rigidi e difficoltà di movimento) degenerazione cerebrale e problemi di articolazione del linguaggio. Altre manifestazioni della patologia possono comprendere epatosplenomegalia (ingrossamento di fegato e milza), difficoltà di alimentazione e deglutizione, paralisi oculare e problemi di apprendimento. La malattia di Niemann-Pick viene classificata in tre forme principali: tipo A, tipo B (entrambe definite anche come deficit di sfingomielinasi acida, ASMD) e tipo C.

Il codice di esenzione della malattia di Niemann-Pick è RCG080 (afferisce al gruppo “Difetti da accumulo di lipidi”)

La sezione Malattia di Niemann-Pick è realizzata grazie al contributo non condizionante di Sanofi.

Malattia di Niemann-Pick, Sanofi

Le malattie di Niemann-Pick di tipo A (NPA) e di tipo B (NPB) sono entrambe causate da mutazioni nel gene SMPD1. Questo difetto genetico è alla base della carenza di un enzima, la sfingomielinasi acida (ASM), necessario per il metabolismo di un lipide chiamato sfingomielina. Per questo motivo, le due forme della patologia sono conosciute anche con il nome di deficit di sfingomielinasi acida (ASMD). Se l'ASM è assente o non funziona correttamente, la sfingomielina si accumula in maniera dannosa all'interno delle cellule causando il malfunzionamento di diversi organi, principalmente fegato, milza e cervello.
La malattia di Niemann-Pick di tipo A (NPA) si manifesta nella prima infanzia ed è la forma più severa (nei pazienti, la produzione di ASM risulta essere meno dell'1% del normale). La NPA, infatti, comporta una grave compromissione cerebrale che conduce a morte precoce, di solito intorno ai 2-4 anni di età. Sintomi addizionali includono epatosplenomegalia, debolezza e linfonodi ingrossati.
La malattia di Niemann-Pick di tipo B (NPB) compare in età pre-adolescenziale, con sintomi che comprendono atassia e neuropatia periferica. La patologia può provocare epatosplenomegalia e problemi respiratori, con conseguente rischio di malattie cardiache. Generalmente, i pazienti non mostrano coinvolgimento cerebrale e possono sopravvivere fino all'età adulta, sebbene con possibili complicazioni di salute.
Vi sono prove crescenti che NPA e NPB rappresentino, in realtà, i due estremi opposti di un continuum clinico: molti pazienti, infatti, manifestano forme intermedie di patologia che vengono definite come malattia di Niemann-Pick di tipo A/B (NPA/B), in cui i sintomi variano ampiamente, da persona a persona, sia per età d’insorgenza che per complessità e gravità.

La malattia di Niemann-Pick di tipo C (NPC) ha caratteristiche differenti dalle forme A e B e non rientra, perciò, nella definizione di deficit di sfingomielinasi acida (ASMD). La condizione è causata da mutazioni nel gene NPC1 (in circa il 95% dei casi) o nel gene NPC2 (nel restante 5% dei casi) e determina una compromissione del metabolismo cellulare del colesterolo e di altri lipidi, con il conseguente accumulo dannoso di queste sostanze in corrispondenza di fegato, milza e cervello. La patologia, inoltre, provoca una riduzione secondaria dell'attività dell’enzima ASM. La NPC è caratterizzata da segni clinici variabili che possono insorgere a partire dai primi mesi di vita fino all’età adulta, e che comprendono ittero neonatale o colestasi prolungata, splenomegalia ed epatomegalia, oltre a sintomi neurologici progressivi, spesso gravi, tra cui deterioramento cognitivo, atassia cerebellare, oftalmoplegia verticale sopranucleare (incapacità di muovere gli occhi in senso verticale), disfagia, distonia e crisi epilettiche. Generalmente, più tardiva è l’insorgenza dei sintomi neurologici, più lenta è la progressione della malattia. Nella maggior parte dei casi, i pazienti con NPC non riescono a raggiungere i 20 anni di vita. La patologia viene classificata in due forme principali: malattia di Niemann-Pick di tipo C1 (NPC1), causata da mutazioni nel gene NPC1, e malattia di Niemann-Pick di tipo C2 (NPC2), dovuta a mutazioni nel gene NPC2. La malattia di Niemann-Pick di tipo D, causata da mutazioni nel gene NPC1, viene oggi considerata come una forma di NPC1.

Fonti principali:
- Orphanet
- Genetic and Rare Diseases Information Center (GARD)
- Online Mendelian Inheritance in Man (OMIM)
- National Niemann-Pick Disease Foundation
- Icahn School of Medicine at Mount Sinai

Il deficit di piruvato chinasi (PKD) è una rara malattia ereditaria, a trasmissione autosomica recessiva, essenzialmente caratterizzata da anemia emolitica, ossia da una prematura distruzione dei globuli rossi. La patologia è causata da mutazioni nel gene PKLR che provocano una carenza di piruvato chinasi (PK), un enzima che partecipa al processo di glicolisi, aiutando le cellule a trasformare il glucosio in adenosina trifosfato (ATP) per produrre energia. A causa della PKD, quindi, i globuli rossi soffrono di una mancanza di energia che li conduce a una morte prematura. La prevalenza generale della patologia è stimata in 1-9 casi ogni 100.000 persone.

Il codice di esenzione del deficit di piruvato chinasi è RDG010 (afferisce al gruppo "Malattie del sangue e degli organi ematopoietici").

Il deficit di piruvato chinasi può manifestarsi in diverse età e con gravità variabile da paziente a paziente. La conseguenza principale della patologia è l’anemia emolitica, una condizione cronica che dura per tutta la vita e che può causare sintomi come pallore, affaticamento, debolezza, stordimento, vertigini, mal di testa, difficoltà respiratorie e problematiche cardiache. Nei casi più severi, soprattutto nei neonati, l’anemia può avere anche esito fatale. Frequente è la comparsa di ittero (ingiallimento della pelle e degli occhi, dovuto a un’eccessiva concentrazione ematica di bilirubina non coniugata), calcoli biliari e splenomegalia (aumento di volume nella milza). I pazienti adolescenti e adulti possono manifestare fragilità ossea, con conseguente aumento del rischio di fratture. Più raramente, la PKD può comportare complicanze che includono l’ipertensione arteriosa polmonare (elevata pressione sanguigna nelle arteriole polmonari) e l’emopoiesi extramidollare (produzione di cellule ematiche al di fuori del midollo osseo).

La diagnosi di PKD si basa sull’osservazione del quadro clinico e su specifiche analisi di laboratorio (tra cui la misurazione dell’attività enzimatica di PK). La conferma diagnostica viene solitamente effettuata tramite test genetico.

Il trattamento di prima scelta per la PKD è rappresentato dalle trasfusioni di sangue e, nei casi più gravi, dalla rimozione chirurgica della milza (splenectomia). Il trapianto di cellule staminali ematopoietiche può curare la patologia ma, per via dei rischi legati all’intervento, viene preso in considerazione in un ristretto numero di pazienti. Eventuali terapie di supporto includono la supplementazione di acido folico (per aumentare la produzione di globuli rossi) e di vitamina D e calcio (per contrastare la fragilità ossea). In caso di calcoli biliari può essere necessario ricorrere alla rimozione della cistifellea.

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Fonti principali:
- Orphanet
- National Organization for Rare Disorders (NORD)

La pseudo-ostruzione intestinale cronica (CIPO) è una malattia rara essenzialmente caratterizzata da episodi acuti e sintomi cronici di occlusione dell’intestino senza che sia presente un’effettiva ostruzione meccanica dell’organo. La patologia è causata da anomalie dell’apparato neuromuscolare enterico e può coinvolgere qualsiasi segmento del tratto gastrointestinale, con manifestazioni cliniche che comprendono dolore e distensione addominale, nausea, vomito, diarrea, costipazione, malassorbimento, perdita di peso e ritardo della crescita. Di solito, l’esordio della CIPO è piuttosto subdolo, con sintomi gastrointestinali generici che poi peggiorano significativamente durante gli attacchi acuti della malattia. Con il tempo, la maggior parte dei pazienti va incontro a un progressivo aggravamento della sintomatologia. La CIPO rappresenta la più grave forma in assoluto di dismotilità gastrointestinale, con conseguenze debilitanti e potenzialmente fatali.

La sezione Pseudo-Ostruzione Intestinale Cronica è realizzata grazie al contributo non condizionante di Alfasigma.

Pseudo-ostruzione intestinale cronica, Alfasigma

Generalmente, si distinguono tre diverse tipologie di pseudo-ostruzione intestinale cronica: primaria (quando la patologia si presenta da sola); acquisita (quando la malattia è secondaria ad altri disturbi muscolari, neurologici, metabolici ed endocrini, a neoplasie o ad infezioni virali, oppure quando insorge in conseguenza di interventi chirurgici, trattamenti farmacologici o esposizione a sostanze nocive); idiopatica (quando la causa scatenante non viene identificata). Dal punto di vista patogenetico, la CIPO viene classificata in tre forme: neuropatica (quando è coinvolto il sistema nervoso enterico), miopatica (quando è implicata la muscolatura liscia) e mesenchimopatica (quando sono colpite le cellule interstiziali di Cajal). La patologia può manifestarsi a tutte le età ma colpisce più spesso i bambini (la forma acquisita della malattia è più frequente negli adulti). Sebbene la maggior parte dei pazienti non presenti una chiara storia familiare di CIPO, alcuni casi associati a specifiche mutazioni genetiche suggeriscono una possibile ereditarietà della malattia.

La diagnosi di CIPO si basa sull’osservazione clinica del paziente e sull’esecuzione di test di imaging (radiografie e TAC) e funzionali (scintigrafia del transito gastro-intestinale). Esami particolarmente importanti per l’identificazione della patologia sono la manometria gastrointestinale e, soprattutto, la biopsia a tutto spessore del tratto intestinale interessato.

Attualmente non esiste una terapia per la CIPO che sia in grado di modificare l’andamento della malattia o di ridurre la frequenza degli episodi occlusivi. Le attuali opzioni terapeutiche mirano principalmente a migliorare il transito gastrointestinale (farmaci procinetici e antispastici), a prevenire la malnutrizione (interventi dietetici, nutrizione enterale e parenterale) e a contrastare le complicanze associate, come il dolore addominale (antidolorifici) o l’eccessiva proliferazione batterica intestinale (antibiotici). L’efficacia generale del trattamento chirurgico della CIPO è controversa; nei pazienti affetti da malattia molto grave e refrattaria viene valutata la possibilità di ricorrere al trapianto dell’intestino. Al momento, purtroppo, il trattamento della CIPO e i risultati a lungo termine sono spesso insoddisfacenti.

Per i pazienti italiani affetti da CIPO sono attive le associazioni GIPSI (Gruppo Italiano Pseudo-ostruzione Intestinale) e Uniti per la PIPO ETS.

Fonti principali:
- Orphanet
- Genetic and Rare Diseases Information Center (GARD)
- Zhu, Chang-Zhen et al. Latest developments in chronic intestinal pseudo-obstruction. World journal of clinical cases vol. 8,23 (2020): 5852-5865.

Le vasculiti sono un gruppo ampio ed eterogeneo di rare malattie multifattoriali caratterizzate da un'infiammazione dei vasi sanguigni. Questo processo di infiammazione danneggia la parete interna dei vasi interessati e può provocare la formazione di coaguli sanguigni (trombosi) o lo sviluppo di restringimenti e ostruzioni vascolari che limitano l’afflusso di sangue ossigenato ad organi e tessuti. Le vasculiti possono esordire a tutte le età, interessando vene e arterie di qualsiasi tipo e dimensione e coinvolgendo singoli o molteplici organi e tessuti.

La sezione Vasculiti è realizzata grazie al contributo non condizionante di CSL Vifor.

Vasculiti, CSL Vifor

La gamma e la gravità delle manifestazioni associate alle vasculiti sono estremamente variabili. Queste patologie possono presentarsi sia con una sintomatologia generica (febbre, mal di testa, perdita di peso e di appetito, dolori muscolari, articolari e addominali, diarrea, ipertensione e debolezza generalizzata), sia con segni clinici specifici che dipendono dal tipo di vasi e dagli organi coinvolti. Le vasculiti, ad esempio, possono colpire la pelle (lesioni cutanee, porpora), i reni (presenza di sangue nelle urine, insufficienza d’organo), l’apparato respiratorio (asma, tosse, dispnea, infiammazione delle membrane polmonari) e gli occhi (infiammazione oculare, visione offuscata e, in casi molto gravi, perdita della vista).

Tradizionalmente, le vasculiti sono classificate in tre gruppi principali sulla base della dimensione dei vasi sanguigni coinvolti:
- vasculiti con interessamento prevalente dei grandi vasi, come l’arterite a cellule giganti e l’arterite di Takayasu;
- vasculiti con interessamento prevalente dei vasi medi, come la poliarterite nodosa, la malattia di Kawasaki e la malattia di Buerger;
- vasculiti con interessamento prevalente dei piccoli vasi, come le vasculiti associate ad ANCA (che comprendono la granulomatosi con poliangioite [ex granulomatosi di Wegener], la granulomatosi eosinofilica con poliangioite [o sindrome di Churg-Strauss] e la poliangioite microscopica), o come le vasculiti mediate da immunocomplessi (che includono l’angioite cutanea leucocitoclastica, la vasculite crioglobulinemica, la vasculite da immunoglobuline A [o porpora di Henoch-Schonlein] e la vasculite orticarioide ipocomplementemica [o sindrome di McDuffie]).
In alcune forme di vasculite, come la malattia di Behcet e la sindrome di Cogan, la dimensione e la tipologia dei vasi coinvolti possono variare considerevolmente da paziente a paziente.

Fonti principali:
- Orphanet
- National Organization for Rare Disorders (NORD)
- Jennette JC, Falk RJ, Bacon PA, et al. “2012 Revised International Chapel Hill Consensus Conference Nomenclature of Vasculitides” Arthritis & Rheumatism (2013)

Le sindromi da febbri periodiche sono un gruppo di malattie autoinfiammatorie caratterizzate da episodi ricorrenti di febbre, improvvisi e senza causa apparente, solitamente accompagnati da segni di infiammazione sistemica, per lo più a carico di articolazioni, occhi e pelle, che si verificano in assenza di un’infezione identificabile o di produzione di autoanticorpi. Nella maggior parte dei casi, le sindromi da febbri periodiche sono di origine genetica e insorgono in età infantile con manifestazioni di gravità estremamente variabile: in alcuni casi, queste patologie possono persino arrivare a mettere a repentaglio la sopravvivenza del paziente.

All’interno dell’ampio gruppo delle sindromi da febbri periodiche, alcune delle forme più comuni e meglio caratterizzate sono:
- la febbre mediterranea familiare (FMF), che si manifesta con attacchi di febbre e sierosite (infiammazione delle membrane sierose), dolore addominale e toracico, vomito, costipazione, diarrea nei bambini e artrite (infiammazione articolare). In alcuni casi la patologia coinvolge anche la pelle, provocando rash cutaneo;
- la sindrome PFAPA, una malattia pediatrica contraddistinta da episodi febbrili associati a sintomi a carico della testa e del collo. L'origine esatta della patologia è tuttora sconosciuta;
- le sindromi periodiche associate alla criopirina (CAPS), note anche come criopirinopatie, in cui la febbre si accompagna a orticaria, dolore addominale e toracico, sintomi muscoloscheletrici, mal di testa, congiuntivite e, nei casi più gravi, sordità. Le patologie che rientrano nel gruppo delle CAPS sono l’orticaria familiare da freddo, la sindrome CINCA (denominata anche sindrome NOMID) e la sindrome di Muckle-Wells;
- il deficit di mevalonato chinasi (MKD), una malattia caratterizzata da episodi infiammatori associati a febbre, dolori addominali e articolari, diarrea, vomito, gonfiore dei linfonodi del collo, eruzioni cutanee e cefalea. Nei pazienti che presentano un quadro clinico più grave (aciduria mevalonica) è possibile osservare anche un interessamento neurologico, oculare e dello sviluppo;
- la sindrome periodica associata al recettore 1 del fattore di necrosi tumorale (TRAPS), che si manifesta con attacchi di febbre elevata e raffreddore, accompagnati da dolore addominale diffuso, nausea, vomito, ostruzione intestinale e dolori muscolari a livello del tronco o degli arti.

Fonti principali:
- Orphanet
- Ospedale Pediatrico Bambino Gesù
- Sag E, Bilginer Y, Ozen S. “Autoinflammatory Diseases with Periodic Fevers.” Curr Rheumatol Rep (2017)
- Lachmann HJ. "Periodic fever syndromes." Best Pract Res Clin Rheumatol (2017)

La psoriasi pustolosa generalizzata (GPP) è una grave malattia infiammatoria della pelle ed è principalmente caratterizzata da episodiche eruzioni cutanee eritematose associate alla diffusa formazione di pustole sterili in varie parti del corpo: questi attacchi, che possono manifestarsi con o senza infiammazione sistemica e accompagnarsi a febbre, brividi, mal di testa, battito cardiaco accelerato, perdita di appetito, nausea e debolezza muscolare, si risolvono generalmente nel giro di giorni o settimane ma tendono a ripresentarsi nel corso del tempo (riacutizzazioni). La GPP può comparire a qualsiasi età ma nella maggior parte dei casi esordisce in persone adulte.

La sezione Psoriasi Pustolosa Generalizzata è realizzata grazie al contributo non condizionante di Boehringer Ingelheim.

Psoriasi pustolosa generalizzata, Boehringer Ingelheim

La psoriasi pustolosa generalizzata può essere classificata in tre forme principali: GPP acuta (o variante von Zumbusch), psoriasi pustolosa della gravidanza (già indicata erroneamente come impetigine erpetiforme) e psoriasi pustolosa infantile/giovanile. I meccanismi patologici alla base della GPP non sono ancora del tutto chiari ma in molti casi la malattia è determinata da mutazioni nel gene IL36RN che compromettono la funzionalità della proteina IL-36Ra, il cui ruolo è quello di sopprimere la risposta pro-infiammatoria innescata dalle interleuchine IL-36alfa, IL-36beta e IL-36gamma. In diversi gruppi di pazienti sono state identificate altre alterazioni genetiche, come quelle a carico dei geni CARD14 e AP1S3.

La psoriasi pustolosa generalizzata è una malattia recidivante e remittente con un decorso clinico ampiamente variabile: la gravità dei sintomi può essere assai diversa anche in ogni singolo episodio di riacutizzazione sperimentato dallo stesso paziente. Sebbene in molti casi siano idiopatici, ossia di origine sconosciuta, gli attacchi di GPP possono essere scatenati da fattori interni ed esterni, tra cui infezioni, gravidanza, sospensione della terapia con corticosteroidi o avvio del trattamento con determinati farmaci. La patologia può comportare una serie di complicazioni (come infezioni batteriche secondarie, necrosi tubulare renale, danno epatico e insufficienza cardiorespiratoria) che, se non trattate, possono mettere a rischio la vita dei pazienti, soprattutto quelli in età più avanzata.

La diagnosi di GPP si basa sull’osservazione clinica e sull’esecuzione di determinati esami di laboratorio (i pazienti spesso presentano elevati livelli della proteina C-reattiva, anomalie della funzionalità epatica e leucocitosi neutrofila, ossia un’eccessiva concentrazione di neutrofili nel sangue). In alcuni casi l’analisi genetica può essere d’aiuto per la conferma diagnostica.

La terapia sistemica per la GPP include l’impiego di retinoidi orali (acitretina), ciclosporina, metotrexato o agenti biologici mirati. Alcuni farmaci topici (come corticosteroidi, calcipotriene e tacrolimus) possono essere utili in aggiunta alla terapia sistemica o come trattamento di prima linea per forme di malattia lievi o localizzate. La somministrazione di corticosteroidi orali può essere presa in considerazione se non sono possibili altre opzioni terapeutiche ma questi farmaci dovrebbero essere usati con cautela e sospesi gradualmente, perché una rapida interruzione della terapia può indurre una riacutizzazione della malattia. A volte, per il trattamento delle lesioni cutanee viene utilizzata la fototerapia con raggi ultravioletti e farmaci psoraleni. In alcuni casi di GPP refrattaria alle terapie farmacologiche è stata impiegata con successo l’aferesi di granulociti e monociti.

CONSULTA LA GUIDA AI CENTRI ITALIANI CON ESPERIENZA NELLA GESTIONE DELLA PSORIASI PUSTOLOSA GENERALIZZATA.

In Italia, per i pazienti affetti da GPP è attiva l'Associazione Psoriasici Italiani Amici della Fondazione Corazza (APIAFCO).

Fonti principali:
- Gooderham MJ, Van Voorhees, Lebwohl MG "An update on generalized pustular psoriasis." Expert Review of Clinical Immunology (2019)
- Orphanet
- Genetic and Rare Diseases Information Center (GARD)

La sindrome di Alagille (ALGS) è una rara malattia multisistemica di origine genetica. La patologia è caratterizzata da un’ampia serie di manifestazioni cliniche, che posso coinvolgere il fegato (colestasi cronica da paucità dei dotti biliari interlobulari), il cuore (atresia o stenosi delle arterie polmonari, difetti del setto atriale e/o ventricolare, tetralogia di Fallot, ecc.), lo scheletro (vertebre a farfalla), l’occhio (embriotoxon posteriore, anomalia di Axenfeld, retinite pigmentosa, difetti della pupilla o del disco ottico), la fisionomia facciale (fronte prominente, occhi infossati, rime palpebrali oblique rivolte verso l'alto, ipertelorismo, sella nasale appiattita e mento appuntito), i reni (displasia renale, acidosi tubulare renale, ecc.) e l’apparato endocrino (ipotiroidismo). La colestasi cronica, in particolare, può associarsi a prurito, iperbilirubinemia coniugata, epatosplenomegalia (ingrossamento di fegato e milza), ipercolesterolemia, ipertrigliceridemia e coagulopatia, e può anche determinare una grave insufficienza epatica.

Il codice di esenzione della sindrome di Alagille è RN1350.

La sezione Sindrome di Alagille è realizzata grazie al contributo non condizionante di Mirum Pharmaceuticals.

Sindrome di Alagille, Mirum

Nella stragrande maggioranza dei pazienti la sindrome di Alagille è causata da mutazioni nel gene JAG1 (malattia di tipo 1), mentre sono molto più rari i casi dovuti a mutazione del gene NOTCH2 (malattia di tipo 2). La patologia si trasmette con modalità autosomica dominante ma in molti pazienti è correlata a mutazioni genetiche spontanee (de novo), ossia non ereditate dai genitori. Le manifestazioni cliniche della sindrome di Alagille variano ampiamente da paziente a paziente, sia per tipologia che per severità: nei casi più gravi, soprattutto in presenza di problematiche cardiache e insufficienza epatica, la malattia può avere anche esito fatale (il tasso di mortalità stimato arriva fino al 10% dei pazienti). La prevalenza della sindrome di Alagille oscilla da un caso ogni 30.000 a un caso ogni 100.000 persone.

La diagnosi di ALGS si basa essenzialmente sull’osservazione del quadro clinico e sull'esito della biopsia epatica, che evidenzia colestasi e paucità dei dotti biliari interlobulari. Molto importante è il processo di diagnosi differenziale, che consente di escludere altre malattie, come ad esempio l'atresia biliare, la fibrosi epatica congenita e la colestasi intraepatica familiare progressiva, che presentano una sintomatologia simile a quella della sindrome di Alagille. La conferma diagnostica può giungere dall’esito di test molecolari per la ricerca di mutazioni patologiche nei geni JAG1 e NOTCH2.

Il trattamento della ALGS è mirato alla gestione delle specifiche manifestazioni cliniche presenti nei pazienti e include una dieta ricca di carboidrati, di trigliceridi a catena media e di integratori vitaminici. Il prurito colestatico può essere ridotto con acido ursodesossicolico, colestiramina o rifampin; inoltre, per il controllo di questo sintomo è stato recentemente approvato in Europa il farmaco maralixibat. In pazienti con malattia refrattaria o insufficienza epatica può essere necessario il ricorso al trapianto di fegato.

Fonti principali:
- Spinner NB, Gilbert MA, Loomes KM, et al. "Alagille Syndrome." GeneReviews (19 maggio 2000 - Aggiornato il 12 dicembre 2019)
- Diaz-Frias J, Kondamudi NP "Alagille Syndrome." StatPearls (Aggiornato il 12 agosto 2023)
- Orphanet

Il termine colestasi intraepatica familiare progressiva (PFIC) comprende un gruppo di rare malattie genetiche che compromettono la formazione della bile, un fluido giallo-verde che viene prodotto dal fegato e che facilita la digestione dei grassi e lo smaltimento di prodotti di scarto dei processi cellulari. Tutte le forme di PFIC sono perciò caratterizzate da una riduzione o un arresto del flusso della bile dal fegato all’intestino (colestasi), fenomeno che causa lo sviluppo di prurito, ittero e malattia epatica progressiva, oltre a comportare un maggior rischio di insorgenza di carcinoma epatocellulare. La colestasi intraepatica familiare progressiva insorge prevalentemente durante l’infanzia ed è in grado di danneggiare il fegato in modo talmente grave da rendere spesso necessario il trapianto d’organo prima dell’età adulta. Altre manifestazioni extraepatiche della patologia includono problemi nutrizionali, disturbi intestinali, ritardo della crescita, rachitismo, bassa statura, sordità neurosensoriale e pancreatite.

Il codice di esenzione della colestasi intraepatica familiare progressiva è RIG010.

La sezione Colestasi Intraepatica Familiare Progressiva è realizzata grazie al contributo non condizionante di Mirum Pharmaceuticals.

colestasi intraepatica familiare progressiva, Mirum

Attualmente si conoscono più di 10 diverse forme di colestasi intraepatica familiare progressiva, ma quelle più diffuse e meglio caratterizzate sono tre:
- PFIC1 (deficit di FIC1 o malattia di Byler): è dovuta a mutazioni nel gene ATP8B1, che codifica per la proteina FIC1. La malattia insorge generalmente nei primi mesi di vita, con colestasi, aumento della concentrazione degli acidi biliari sierici e prurito severo. Inoltre, dato che la proteina FIC1 viene espressa a livello di vari organi, la sua alterazione provoca anche conseguenze extraepatiche, come predisposizione allo sviluppo di malattie respiratorie, perdita dell’udito, pancreatite e diarrea. I valori di GTT (gamma-glutamil transpeptidasi, un indice ematico di malattia epatica) risultano essere nella norma.
- PFIC2 (deficit di BSEP, precedentemente nota come sindrome di Byler): è causata da mutazioni nel gene ABCB11, che codifica per la proteina BSEP. La patologia, di solito, si manifesta in maniera più grave e precoce rispetto alla PFIC1, con sintomi quali colestasi, ittero, colelitiasi (calcoli biliari) ed epatomegalia (ingrossamento del fegato). Pur comportando gravi danni al fegato e un elevato rischio di carcinoma epatocellulare, la PFIC2 non è generalmente associata a manifestazioni extraepatiche. I valori di GTT appaiono nella norma.
- PFIC3 (deficit di MDR3): è dovuta a mutazioni nel gene ABCB4, che codifica per MDR3, glicoproteina di membrana con funzione di pompa. Il difetto genetico alla base della patologia provoca un’alterazione della secrezione dei fosfolipidi biliari. La PFIC3 può esordire tra l'infanzia e l'inizio della vita adulta e di solito evolve verso la cirrosi biliare secondaria. I valori di GGT risultano essere elevati.

La diagnosi di colestasi intraepatica familiare progressiva si basa sull’osservazione clinica, sulla colangiografia e sugli esami ecografici e istologici del fegato, nonché su test specifici utili ad escludere altre cause di colestasi infantile. Le indagini genetiche sono importanti per la conferma diagnostica ma non sempre risolutive, poiché molti dei geni recentemente associati alle diverse forme di PFIC non sono ancora inclusi nei pannelli di analisi.

La tradizionale terapia farmacologica per la PFIC si basa sull’acido ursodesossicolico (UDCA): il farmaco è utilizzato per favorire la secrezione della bile, prevenire i danni al fegato e migliorare il sintomo del prurito, ma in molti casi la sua efficacia è limitata. In alcuni pazienti, in particolare quelli affetti da PFIC1 o PFIC2, l’intervento chirurgico di diversione biliare può temporaneamente alleviare il prurito e rallentare la progressione della malattia, ma l’unica opzione terapeutica risolutiva per la colestasi intraepatica familiare progressiva è rappresentata dal trapianto di fegato. L’ultima novità nel trattamento della PFIC è rappresentata dall’avvento degli inibitori del trasporto ileale degli acidi biliari, farmaci come odevixibat (già approvato anche in Italia) o maralixibat, che negli studi clinici hanno dimostrato di poter ridurre i livelli sierici di acidi biliari e la gravità del prurito.

Per i pazienti italiani con colestasi intraepatica familiare progressiva è attiva l'associazione PFIC Italia Network.

Fonti principali:
- Orphanet
- Bull LN, Thompson RJ. “Progressive Familial Intrahepatic Cholestasis.” Clin Liver Dis (2018)
- Davit-Spraul A, Gonzales E, Baussan C et al. “Progressive familial intrahepatic cholestasis.” Orphanet J Rare Dis (2009)
- Mehl A, Bohorquez H, Serrano MS, Galliano G, Reichman TW. “Liver transplantation and the management of progressive familial intrahepatic cholestasis in children.” World J Transplant (2016)

Il termine glomerulopatia da C3 (C3G) è stato coniato nel 2013 per definire un insieme di patologie renali rare causate da un’anomala attivazione del sistema immunitario del complemento e caratterizzate da un graduale accumulo della proteina C3 a livello dei glomeruli, le piccole strutture dei reni deputate alla filtrazione del sangue. La conseguenza principale della C3G consiste quindi in una progressiva compromissione della funzione renale che, nei casi più gravi, può sfociare in un’insufficienza d’organo e condurre alla necessità di un trattamento dialitico o di un trapianto di reni. La prevalenza globale della patologia è stimata in circa 2-3 casi ogni milione di persone.

La glomerulopatia da C3 è attualmente classificata in due diverse forme, la malattia da depositi densi (DDD) e la glomerulonefrite da C3 (C3GN): entrambe le condizioni presentano segni e sintomi simili, che includono presenza di sangue e globuli bianchi nelle urine, eccessiva concentrazione urinaria di proteine (proteinuria), gonfiore (edema) agli arti inferiori o in altre parti del corpo, ipertensione e diminuzione della vigilanza. Nelle persone affette da DDD si verifica frequentemente un accumulo di C3 e di altre proteine anche a livello degli occhi, con la conseguente formazione di drusen in corrispondenza della membrana di Bruch. Le cause esatte della C3G non sono ancora del tutto chiare ma in alcuni pazienti è stata documentata la presenza di autoanticorpi diretti contro i fattori H o B del sistema del complemento o di mutazioni in vari geni coinvolti nello stesso sistema.

La diagnosi di C3G viene posta mediante biopsia renale in persone con sospetta glomerulonefrite e viene stabilita sulla base del riscontro istopatologico dell’accumulo di C3 nel tessuto renale, in assenza, o quasi, di depositi di immunoglobuline. Le indagini di microscopia elettronica sono necessarie per distinguere la DDD dalla C3GN.

Attualmente non esistono terapie specificamente approvate per la glomerulopatia da C3 e il trattamento della patologia è fondamentalmente basato sulla gestione delle varie manifestazioni, come l’ipertensione, la proteinuria e la dislipidemia (anormale concentrazione di colesterolo e trigliceridi nel sangue). Per la malattia sono in sperimentazione diversi farmaci, tra cui gli inibitori del sistema del complemento.

Fonti principali:
- National Organization for Rare Disorders (NORD)
- Orphanet
- Pickering MC, D'Agati VD, Nester CM, et al. “C3 glomerulopathy: consensus report.” Kidney Int. (2013)
- Smith RJH, Appel GB, Blom AM, et al. “C3 glomerulopathy - understanding a rare complement-driven renal disease.” Nat Rev Nephrol. (2019)

La cheratite neurotrofica (NK), o cheratopatia neurotrofica, è una rara malattia degenerativa della cornea, lo strato esterno trasparente che riveste e protegge la parte anteriore dell'occhio. La patologia è caratterizzata dalla riduzione o dalla totale perdita della sensibilità corneale ed è dovuta a una compromissione del nervo trigemino, che fornisce il supporto trofico (nutritivo) alla cornea e aiuta a mantenerne l’integrità e la funzionalità, anche attraverso la stimolazione dei riflessi della lacrimazione e dell’ammiccamento. Se non adeguatamente trattata, la cheratite neurotrofica comporta un danno corneale progressivo che può condurre alla perdita della vista.

La sezione Cheratite Neurotrofica è realizzata grazie al contributo non condizionante di Dompé farmaceutici S.p.A.

Cheratite neurotrofica, Dompé

La cheratite neurotrofica (NK) esordisce quasi sempre in età adulta e spesso in maniera asintomatica. I primi segni clinici della patologia sono generalmente rappresentati da arrossamento e secchezza oculare, visione offuscata, diminuzione dell’acuità visiva ed estrema sensibilità alla luce (fotofobia). Nelle fasi iniziali della malattia i pazienti manifestano un deterioramento dell’epitelio corneale, lo strato più esterno della cornea, con possibile sviluppo di lesioni, e conseguenti cicatrizzazioni, in grado di alterare la forma e la curvatura della cornea e di determinare difetti visivi come un astigmatismo irregolare. Con il progredire della patologia si verifica un danneggiamento dello stroma, il principale strato interno della cornea, che può esitare in vere e proprie perforazioni corneali, a loro volta in grado di esporre l’occhio al rischio di infezioni e altre gravi complicanze e di condurre alla perdita permanente della vista.

Le cause alla base della cheratite neurotrofica sono molteplici: le più frequenti includono infezioni virali (ad esempio herpes simplex o herpes zoster), interventi chirurgici che coinvolgono l’occhio o il nervo trigemino, uso cronico o eccessivo di determinati farmaci (ad esempio timololo, betaxololo e sulfacetamide), impiego a lungo termine di lenti a contatto, ustioni chimiche o fisiche della cornea. La NK può essere anche associata ad altre condizioni, tra cui distrofie corneali, malattie sistemiche (come sclerosi multipla e diabete mellito) o tumori cranici che compromettono la funzionalità del nervo trigemino. Nei rari casi in cui si manifesta nei bambini, la cheratite neurotrofica è quasi sempre correlata a patologie congenite, come le sindromi di Goldenhar-Gorlin o di Mobius.

La diagnosi di NK è essenzialmente basata sul riscontro di una riduzione della sensibilità corneale, rilevabile mediante l’utilizzo di un estesiometro, associata ad alterazioni dell'epitelio, evidenziabili attraverso colorazione vitale della cornea e della congiuntiva. Si raccomanda, inoltre, l’osservazione dei tessuti oculari tramite lampada a fessura e l'esame del fondo dell'occhio. Sono utili anche il test di Schirmer, per la valutazione della secchezza oculare, e l’esame del tempo di rottura del film lacrimale. La morfologia dei nervi corneali viene analizzata mediante microscopia confocale in vivo, mentre gli esami microbiologici sono necessari per escludere la presenza di infezioni virali. La risonanza magnetica, infine, consente di accertare eventuali danni al nervo trigemino o di individuare condizioni, come masse tumorali, in grado di comprometterne la funzionalità.

Il trattamento della cheratite neurotrofica si basa sullo stadio di evoluzione della patologia: nelle fasi iniziali si utilizzano lacrime artificiali e pomate lubrificanti, per prevenire i danni all’epitelio corneale, mentre in presenza di lesioni epiteliali persistenti è raccomandato anche l'uso di lenti a contatto sclerali e di colliri antibiotici. Quando questi trattamenti non riescono ad arrestare la progressione della malattia può essere necessario procedere con un intervento chirurgico, solitamente rappresentato da una tarsorrafia parziale o totale. Nei casi più gravi è previsto il ricorso al trapianto di membrana amniotica sulla superficie della cornea.

Fonti principali:
- Orphanet
- National Organization for Rare Disorders (NORD)
- Versura P, Giannaccare G, Pellegrini M, Sebastiani S, Campos EC. "Neurotrophic keratitis: current challenges and future prospects." Eye Brain (2018)

Il termine sindrome ipereosinofila (HES) definisce un gruppo di malattie rare caratterizzate da una persistente ipereosinofilia, ossia da un’elevata concentrazione sanguigna di eosinofili, una specifica tipologia di globuli bianchi che normalmente riveste un ruolo di primo nella risposta del corpo umano ad allergie e infezioni parassitarie. Se presenti in livelli eccessivamente alti, gli eosinofili possono infiltrarsi nei tessuti dell’organismo, provocando infiammazione e danni a numerosi organi che, nei casi più gravi, possono avere conseguenze anche fatali.

Sponsor dell'iniziativa è GSK. GSK non ha avuto alcun ruolo nella review dei contenuti, redatti autonomamente ed integralmente da Rarelab Srl e dai propri collaboratori, che se ne assumono l'esclusiva responsabilità.

Sindrome ipereosinofila, GSK

Alla base della sindrome ipereosinofila vi può essere un interessamento delle cellule mieloidi (HES primaria) a causa di un’alterazione cromosomica che dà origine al riarrangiamento di geni come PDGFRA e FIP1L1, oppure lo sviluppo di una popolazione clonale di linfociti T in grado di indurre un’eccessiva produzione di interleuchina-5 (HES linfocitica). La malattia può anche insorgere a seguito di un’infezione parassitaria o di una reazione allergica, oppure può essere secondaria ad altre condizioni (tra cui patologie autoimmuni o linfoma di Hodgkin). In alcuni pazienti è stata riscontrata una forma di sindrome ipereosinofila con ricorrenza familiare, probabilmente dovuta a una mutazione genetica ereditaria non ancora individuata (HES familiare). Nonostante i progressi recentemente compiuti nella comprensione della patogenesi della HES, in circa il 75% dei casi l’origine esatta della malattia resta ancora oggi sconosciuta (HES idiopatica).

Le manifestazioni cliniche della sindrome ipereosinofila sono ampiamente variabili e dipendono dagli organi eventualmente coinvolti, come la cute (orticaria, eczema, angioedema, papule pruriginose, noduli, eritrodermia), i polmoni (tosse, dispnea e affanno), il sistema nervoso centrale e periferico, l’apparato digerente (nausea, vomito, dolore addominale, diarrea, asciti) o il cuore (miocardite, trombosi intraventricolare, fibrosi endomiocardica, ispessimento e distruzione delle valvole cardiache). I pazienti possono presentare anche generici sintomi di malessere, come affaticamento, febbre e dolori muscolari.

La diagnosi di HES si basa sul riscontro di un’ipereosinofilia persistente e marcata (conta eosinofilica superiore a 1.500 unità per microlitro di sangue) e/o di un danno d’organo mediato dagli eosinofili. Una volta soddisfatti questi criteri si procede con una serie di analisi volte a determinare la possibile causa della malattia.

Il trattamento della sindrome ipereosinofila viene stabilito in relazione alla gravità della malattia e all'eventuale identificazione di specifiche varianti patogenetiche. Nei pazienti positivi al gene di fusione PDGFRA-FIP1L1, ad esempio, la terapia d’elezione si basa sull’impiego del farmaco imatinib. Negli altri pazienti l’approccio terapeutico iniziale è solitamente rappresentato dai corticosteroidi: in caso di resistenza o intolleranza al trattamento, possibili alternative includono l’uso di idrossicarbamide, interferone-alfa e imatinib. Per la HES è stato recentemente approvato anche in Italia il farmaco mepolizumab, un anticorpo monoclonale anti-interleuchina-5.

Fonti principali:
- Orphanet
- Shomali W, Gotlib J “World Health Organization-defined eosinophilic disorders: 2019 update on diagnosis, risk stratification, and management.” Am J Hematol (2019)

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