A rivelarlo è una nuova indagine condotta in Italia: coinvolto un campione di 1500 persone tra medici, farmacisti e pazienti
L’Italia è un Paese che invecchia e questa, in fondo, non è una novità: l’età media della popolazione si sta alzando progressivamente e il tasso dei nuovi nati è ai minimi storici. Siamo la nazione dell’area europea a più alta incidenza per popolazione anziana e ci collochiamo ai vertici anche nelle classifiche mondiali. Tutto ciò, ovviamente, ha un impatto anche nell’ambito della salute e in campo socio-economico: ad oggi, i malati cronici stimati in Italia ammontano a oltre 24 milioni, con una spesa annua calcolata intorno a 67 miliardi, e si tratta di cifre destinate a crescere ancora, in relazione ai trend demografici.
In questo contesto, nel 2016, la Conferenza Stato-Regioni ha approvato il “Piano Nazionale della Cronicità”, per garantire un’adeguata assistenza del paziente affetto da patologia cronica in Italia. Oggi, a tre anni di distanza, un’indagine promossa da fablab, e realizzata in collaborazione con Focus Management, ci fornisce una fotografia particolareggiata dell’attuale gestione della cronicità in Italia.
Fablab, un’unità strategica della società CompuGroup Medical Italia (CGM), specializzata nella Medical Information Technology, ha esaminato le risposte ottenute da circa 1500 persone, equamente ripartite tra medici, farmacisti e pazienti. Il campione, per quanto riguarda il personale sanitario, è stato tratto dagli oltre 13mila medici di base e dalle 8mila farmacie che fruiscono, nel loro lavoro, dei software gestionali e dei servizi mirati di informazione professionale e scientifica di CGM. Per quel che riguarda i pazienti, invece, il canale di riferimento è stato Medicitalia, il principale portale nazionale di consulti, frequentato annualmente da 34 milioni di persone.
L’obiettivo di questo interessante lavoro è stato quello di raccogliere informazioni che possano essere utili a promuovere una sinergia tra gli attori coinvolti nel settore medico delle malattie croniche, per poter così migliorare la qualità di vita dei pazienti. A tale scopo, sono state messe a confronto le valutazioni di pazienti, farmacisti e medici, con particolare riferimento ad alcuni aspetti fondamentali dell’assistenza: il nodo critico dell’aderenza terapeutica, il rapporto fiduciario tra i pazienti e i diversi operatori sanitari, le percezioni sull’efficacia dei farmaci, la tipologia di servizi supplementari primariamente auspicati.
I risultati ottenuti non possono non indurre a qualche riflessione. Una prima triste conclusione, infatti, è quella che evidenzia il crescente scetticismo della popolazione nei confronti degli operatori sanitari, atteggiamento particolarmente evidente nei pazienti e decisamente meno percepito dagli operatori sanitari stessi. E questo non è il solo punto di discordia tra malati e professionisti della salute, perché se i primi si sentono molto virtuosi e aderenti alle terapie prescritte, i secondi - soprattutto nelle figure dei Medici di Medicina Generale (MMG) e dei farmacisti - hanno un’idea del tutto diversa.
Tali discrepanze anticipano, in qualche modo, uno dei punti più dolenti dell’indagine, cioè quello della sfiducia che i malati cronici manifestano proprio nei confronti degli MMG, superati sia dai farmacisti che dai medici specialisti: un aspetto piuttosto preoccupante se si considera che gli stessi MMG sono visti, dall’insieme dei professionisti della salute, come il perno potenziale del sistema di gestione della cronicità.
Emerge invece, da questa valutazione, la posizione chiave del farmacista, piuttosto in linea con le valutazioni complessive e i livelli di fiducia dei pazienti, fatto che rilancia la priorità della “farmacia dei servizi” nel sistema di assistenza. I pazienti evidenziano anche un basso livello di fidelizzazione verso le case farmaceutiche: i livelli di fiducia sul singolo medicinale sono sistematicamente superiori a quelli per il brand e il 69% dei pazienti non conosce neppure il nome del produttore del medicinale prescritto.
Infine, uno scalino evidente tra chi soffre di malattie croniche e chi le cura è stato riscontrato anche nel tipo di assistenza richiesta, concretizzabile in una diffusa domanda, da parte dei pazienti, di maggiori e più efficaci “servizi di supporto a distanza” piuttosto che di assistenza o di consegna dei farmaci a domicilio, come invece suggerito in via prioritaria dagli operatori sanitari.
Quest’ultimo punto non ha un significato di poco conto perché si potrebbe configurare come il perno di un movimento di aggiornamento della figura del Medico di Medicina Generale: senza dubbio, il contesto sociale all’interno del quale le nuove generazioni di medici affrontano la professione è mutato rispetto al passato, e ciò ha prodotto un cambiamento nel modo di esercitare questo prezioso ruolo, e sono proprio i pazienti a poter offrire concreti punti di riferimento per orientare questo percorso. Infatti, nell’indagine di fablab, tra i servizi a distanza richiesti dai malati spicca su tutti la possibilità di “chattare direttamente per domande sulla gestione della patologia” e, a seguire, il “monitoraggio a distanza della terapia”, la “consulenza sulla gestione degli effetti collaterali” e la disponibilità di “materiali informativi”. Richieste che surclassano prepotentemente la necessità di avere “il medico a casa”, come capitava in passato, e che sembrano figlie di una nuova era, quella dell’informatica.
“Sono tutti aspetti che coinvolgono in prima linea il mondo della sanità digitale”, conferma Piero Conte, general manager di fablab. “Il paziente tende all’autogestione e si attende, da chi lo assiste, anzitutto un supporto di informazione, monitoraggio, possibilità di interazione e consulto a portata di smartphone”. Le moderne tecnologie informatiche, in effetti, oltre a facilitare il lavoro degli operatori e delle strutture sanitarie, istituiscono canali che consentono oggi un’interazione costante ed esclusiva con le categorie coinvolte, col potenziale che ciò rappresenta per l’informazione medica, per l’auspicata sinergia tra i professionisti della salute e i pazienti, per i potenziali di risparmio (in termini di tempo e denaro) a favore dell’operatore sanitario e del Servizio Sanitario Nazionale e, infine, anche per l’avvenire della ricerca socio-sanitaria.
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