A dimostrarlo uno studio italiano coordinato dal dott. Vincenzo Sforza, oncologo dell’Università “Luigi Vanvitelli” di Napoli

Secondo gli ultimi dati forniti da AIRTUM nel Rapporto Tumori 2016, il cancro del colon-retto si colloca al terzo posto per frequenza tra gli uomini e al secondo tra le donne. Il dato è ancora più significativo se si va a vedere la fascia di popolazione tra 50 e 69 anni e quella over 70, a conferma del fatto che questo tipo di tumore caratterizza sostanzialmente il paziente anziano.

Nonostante negli ultimi anni la prognosi legata al cancro del colon-retto sia migliorata, i dati sulla mortalità, specie nelle forme che più facilmente provocano metastasi o sono refrattarie al trattamento, non sono ancora rassicuranti. Quasi un paziente su cinque si presenta alla diagnosi con una malattia in fase avanzata, e più di uno su tre andrà incontro a metastasi anche durante il percorso terapeutico, il che rende necessario predisporre scenari diversi a seconda del tipo di malattia e della sua stessa stadiazione.

Mentre esistono trattamenti di prima e di seconda linea che includono il ricorso a chemioterapia adiuvante a base di oxaliplatino in combinazione con 5-fluorouracile/acido folinico, capecitabina o irinotecan, e farmaci biologici come bevacizumab e cetuximab, le opzioni si restringono notevolmente quando la malattia inizia a metastatizzare e, soprattutto, diviene resistente alla chemioterapia. Tuttavia, le indagini molecolari condotte al fine di studiare le mutazioni del gene KRAS hanno permesso di fare un passo avanti nella definizione di una popolazione di pazienti resistenti al trattamento. Parallelamente, l’introduzione di regorafenib ha prodotto un lieve miglioramento della sopravvivenza.

In aggiunta a ciò, come dimostrato da un gruppo di ricerca italiano coordinato dal dott. Vincenzo Sforza, oncologo in forza al dipartimento di Internistica Clinica e Sperimentale “F. Magrassi” dell’Università degli Sudi della Campania “Luigi Vanvitelli” di Napoli, un nuovo fronte terapeutico potrebbe migliorare ulteriormente le prospettive dei pazienti affetti da cancro del colon-retto refrattario al trattamento. Nell’articolo apparso sulla rivista scientifica ESMO Open, che descrive i risultati ottenuti dai ricercatori italiani, si fa riferimento a TAS-102, una fluoropirimidina orale di nuova formulazione che ha già mostrato risultati promettenti in termini di miglioramento della sopravvivenza globale (OS) e della sopravvivenza libera da malattia (PFS) nello studio di Fase III RECOURSE, che ha coinvolto ben 800 pazienti. Il farmaco, noto con il nome commerciale di Lonsurf®, è stato sviluppato dalla giapponese Taiho Pharmaceutical, la quale ha stretto un accordo di commercializzazione per l’Europa con Servier. Il farmaco ha ricevuto l'approvazione europea nella primavera del 2016 e in Italia è attualmente collocato in classe C, cioè a carico del cittadino.

TAS-102 è un farmaco antitumorale prodotto dalla combinazione di trifluorotimidina (FTD) e di un inibitore della timidina fosforilasi tipiracil cloridrato (TPI), necessario per inibire la degradazione di FTD. Infatti, seppur TAS-102 sia un farmaco nucleosidico che agisce a livello del DNA, la sua modalità di assunzione per via orale favorisce la degradazione della FTD. La TPI contrasta proprio questo effetto, migliorando l'azione e la resa della terapia. Nello studio RECOURSE, TAS-102 ha dimostrato un miglioramento della OS da 5,3 a 7,1 mesi e della PFS da 1,7 a 2,0 mesi, senza effetti avversi particolarmente significativi e con un buon profilo di sicurezza.

Se questi dati appaiono di certo esaltanti per l’universo medico, in termini più pratici è necessario identificare i pazienti che più di tutti potranno beneficiare del trattamento con questo nuovo composto, mantenendo così un’indicazione specifica per perseguire risultati ancora più significativi. Lavorando in questa direzione, i ricercatori italiani hanno tentato di identificare eventuali biomarcatori o fattori in grado di predire l’efficacia di TAS-102 in pazienti affetti da cancro al colon-retto refrattario al trattamento. A tale scopo, hanno selezionato 43 pazienti già sottoposti a diversi cicli di chemioterapia e hanno somministrato loro la terapia a base di TAS-102 in un Programma d'uso compassionevole del farmaco. L’89% dei pazienti era stato sottoposto a più di 3 cicli di trattamento e il 70% dei pazienti aveva già ricevuto un trattamento a base di regorafenib.

Ciò che è stato possibile osservare è che quasi un paziente su 3 ha prodotto una risposta al trattamento con TAS-102. In particolare, i tassi di risposta migliori sono stati ottenuti nei pazienti che avevano già ricevuto un trattamento a base di regorafenib (OS mediana: 5,8 e PFS mediana: 2,8 mesi). Tuttavia, le risposte sono state soddisfacenti anche nei pazienti mai trattati con regorafenib (OS mediana: 10,3; PFS mediana: 2,8 mesi). Gli eventi avversi registrati sono stati, sostanzialmente, neutropenia e anemia di grado 3-4, stanchezza e nausea, confermando il buon profilo di sicurezza del farmaco. Mediamente, la OS riportata dall’intera popolazione oggetto di studio è stata di 6,6 mesi e la PFS di 2,8 mesi, in linea con i risultati dello studio RECOURSE. Ciò che di nuovo aggiunge lo studio italiano è che un beneficio clinico precedentemente ottenuto dal trattamento con regorafenib può essere un robusto indicatore di successo della terapia con TAS-102. Infatti, TAS-102 è in grado di produrre una risposta positiva in pazienti precedentemente sottoposti a più cicli di trattamento ma, al contempo, una risposta moderatamente buona a regorafenib può costituire un segnale incoraggiante riguardo all’esito del regime terapeutico con TAS-102. Si tratta di un risultato di grande rilevanza, perché oltre a fornire un’opportunità di cura ad una categoria di malati ad alto rischio, suggerisce una buona compatibilità tra due farmaci relativamente nuovi e impiegati contro le forme più resistenti del tumore.

Lo studio RECOURSE ha ottenuto molti consensi in Giappone, dove l’incidenza di cancro al colon-retto è alta, ma i concreti risultati registrati anche su pazienti caucasici fanno ben sperare di riuscire ad allungare la sopravvivenza di pazienti che, dopo più di cinque cicli di terapia, vedono sempre più ridotta la loro aspettativa di vita.

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