La terapia domiciliare è preferibile per molti motivi: la miglior qualità di vita dei pazienti e delle famiglie, la compliance totale, la sostanziale assenza di eventi avversi e il risparmio economico

Roma – La “home therapy” deve essere considerata un diritto: su questo principio si sono trovati d'accordo pazienti, medici e Istituzioni. Per le persone affette da malattie da accumulo lisosomiale (LSD) come la Fabry, la Gaucher, la Pompe e le mucopolisaccaridosi, la terapia enzimatica sostitutiva (ERT) è un’opzione terapeutica che può essere somministrata a domicilio: un servizio che però non è disponibile su tutto il territorio nazionale, a causa delle diverse scelte da parte delle Regioni.

L'impegno a lavorare insieme perché questo diritto sia riconosciuto si è concretizzato lo scorso 24 ottobre, con la sigla di un “Patto d’Intesa” tra le associazioni e l’Intergruppo Parlamentare Malattie Rare, alla presenza dei rappresentanti del Tavolo Interregionale per le Malattie Rare e dei referenti regionali. L'occasione è stata il convegno scientifico “Home Therapy per una migliore qualità della vita”, organizzato a Roma della senatrice Paola Binetti.

Già da tempo, tuttavia, la letteratura medica aveva descritto alcuni casi di successo: uno dei primi studi sulla terapia domiciliare in Italia (R. Parini et al., British Journal of Nursing, 2010), ha riportato i risultati di due sondaggi a livello nazionale sullo stato della terapia enzimatica sostitutiva per le malattie da accumulo lisosomiale. Otto anni fa, i pazienti affetti da LSD che assumevano l'ERT erano il 57,7%, e la terapia era somministrata quasi esclusivamente nelle strutture ospedaliere: il 60,7% negli ospedali locali, il 34,8% nel centri di riferimento regionali e il 2,6% a domicilio. Inoltre, solo il 55% dei pazienti era disposto a ricevere l'ERT a casa, mentre il 33% era contrario.

Tre anni più tardi, un altro studio (F. Ceravolo et al., Italian Journal of Pediatrics, 2013), ha descritto l'esperienza pilota di tre bambini con mucopolisaccaridosi di tipo II, o sindrome di Hunter, passati alla home therapy. I dati hanno indicato un deciso miglioramento nella qualità di vita, nonché un importante risparmio per le famiglie, dovuto al fatto che i genitori non dovevano più recarsi in ospedale ogni settimana per la terapia dei figli, né erano costretti a perdere giornate lavorative.

Altri due contributi si sono aggiunti nel 2016, con la presentazione di due poster (R. Parini et al.; S. Sestito et al.), in occasione del 14° Simposio Internazionale sulle Mucopolisaccaridosi, svoltosi a Bonn. Il primo riportava la positiva esperienza di 7 pazienti con MPS I in terapia domiciliare: nessun evento avverso, grandi benefici in termini di indipendenza e una migliore gestione della propria vita privata. Nel secondo lavoro, i 20 pazienti esaminati erano affetti da MPS II, ma la conclusione è stata la stessa: una compliance alla terapia quasi perfetta (99,5%) e una migliore qualità di vita, sia per i pazienti che per le loro famiglie.

L'ultimo studio sulle infusioni a domicilio (D. Concolino et al., Molecular Genetics and Metabolism Reports, 2017), è dello scorso anno: cambia la patologia – la malattia di Fabry – ma non i vantaggi. Aumenta però, decisamente, il numero dei pazienti osservati: 85, in 11 Regioni italiane. E i dati parlano chiaro: la compliance è del 100% e gli eventi avversi sono assenti (lo 0,093%). Ancora una volta, la conclusione dei clinici non lascia adito a dubbi: le infusioni domiciliari sono fattibili e sicure, contribuiscono a migliorare sia la compliance al trattamento che gli esiti clinici, e hanno un impatto positivo sulla qualità di vita dei pazienti.

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