All'atto dell'approvazione da parte di enti regolatori come l'EMA o la FDA di un nuovo farmaco da impiegare contro una malattia rara, sono molteplici gli aspetti da considerare scrupolosamente ma il primo che salta all'attenzione è legato all'efficacia del farmaco in questione nell'aumentare i tempi di sopravvivenza. Molte malattie rare si traducono in un vero e proprio conto alla rovescia per i soggetti malati e, nonostante l'infinita riserva di energia con la quale tanti le affrontano, tutti sono ben consci dei limiti temporali che la malattia stabilisce e tutti sperano ardentemente che ogni molecola in sperimentazione si concretizzi in una terapia capace di regalare più anni, mesi o giorni da vivere.
In aggiunta a ciò, esistono terapie sperimentali molto costose che per essere applicate devono garantire il raggiungimento di obiettivi minimi quali l'estensione degli intervalli di sopravvivenza o il miglioramento della qualità di vita dei soggetti.

Già a partire dagli anni novanta, Genzyme aveva avviato lo sviluppo di una terapia enzimatica sostitutiva (ERT) per la Mucopolisaccaridosi di tipo I con l'obiettivo di integrare l'enzima mancante e tentare di curare i malati ma solo nel 2007 il gruppo farmaceutico Shire ha messo a punto e immesso in commercio Elaprase per il trattamento della Sindrome di Hunter (detta anche Mucopolisaccaridosi di tipo II, MPS II), una malattia del gruppo delle Mucopolisaccaridosi, dovuta alla carenza – o alla completa assenza – dell'enzima iduronato-2-sulfatasi (IDS) che comporta un progressivo accumulo nei lisosomi di dermatan solfato ed eparan solfato. La MPS II è l'unica variante all'interno di questo gruppo di malattie nella quale la trasmissione è di tipo recessivo ed è legata al cromosoma X. Come le altre malattie da accumulo le mucopolisaccaridosi hanno un andamento progressivo con un esordio che può variare dai primi mesi di vita fino ai due anni. Le caratteristiche cliniche più evidenti sono riconducibili ad un aspetto dimorfico, con tratti del viso grossolani, tendenza a tenere la bocca aperta, lingua protrusa, sopracciglia folte, labbra grosse, gengive ipertrofiche e denti spaziati. A tutto ciò si accompagnano limitata motilità articolare, epatosplenomegalia, sordità e tendenza a sviluppare ernie. Nelle forme più gravi non è rara la comparsa di disturbi del comportamento associati a ritardo mentale ed opacità delle cornee, mentre le forme intermedie o più lievi presentano più o meno la stessa sintomatologia anche se di grado più moderato.

L'arrivo sul mercato di Elaprase nel 2007 ha infuso speranza ai malati con sindrome di Hunter, dal momento che la nuova terapia nata grazie alla tecnologia del DNA ricombinante, permette la somministrazione ai pazienti di idursulfasi, una forma purificata dell'enzima iduronato-2-sulfatasi. Si tratta perciò di una terapia enzimatica sostitutiva che fornisce all'organismo indigente l'enzima di cui ha bisogno e che, ha dato risultati promettenti in termini di sicurezza ed efficacia in due studi clinici randomizzati. Sono stati registrati miglioramenti a livello dei comparti deambulatorio, respiratorio, epatico, splenico e cardiaco ma rimane da chiarire se questa terapia sia efficace anche nell'aumento della sopravvivenza: infatti, la speranza di vita per i pazienti affetti dalle forme più severe non supera i 20 anni.

In un recente Simposio Mondiale sulle Malattie Rare sono stati presentati i dati dell'Hunter Outcome Survey relativi a circa 700 pazienti trattati con Elaprase. A conferma della gravità della malattia è stato osservato un tasso di mortalità del 13,4% nel gruppo dei pazienti trattati e del 23,9% nel gruppo dei non trattati. Le principali cause di morte sono collegate a problematiche respiratorie e cardiache. Nei pazienti sottoposti a trattamento con  idursulfasi si è potuto registrare un miglioramento delle facoltà cognitive e, all'interno di questo gruppo, anche i tempi di sopravvivenza hanno subito un incremento (20.6 anni vs. 18,2 anni del gruppo dei non trattati). Ciò che risulta ancora più importante è che, per la prima volta, è stato osservato un aumento della sopravvivenza globale nel gruppo dei pazienti che hanno ricevuto il trattamento a base di idursulfasi.

Le analisi sui dati non si fermeranno a questo e molti altri pazienti saranno inclusi nel registro e studiati prospetticamente, allo scopo di valutare la tollerabilità, la sicurezza e l'efficacia della terapia di sostituzione enzimatica ma quello segnalato è un primo importante risultato destinato a far sperare chi stia lottando contro questa terribile malattia.

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