Dottoressa Nella Augusta Greggio

Buone notizie, invece, sul fronte terapeutico. La dott.ssa Nella Greggio (Padova): “con il nuovo farmaco burosumab potrebbe cambiare la storia naturale della malattia”

L'ipofosfatemia legata all’X (XLH) è una rara forma di rachitismo ereditario correlato al cromosoma X, e ha un'incidenza stimata di 1 caso ogni 20.000 nascite, almeno per le forme più gravi. “Come altre malattie trasmesse geneticamente, la XLH è una condizione prevedibile, eppure spesso non viene prontamente diagnosticata”, spiega la dott.ssa Nella Augusta Greggio, già Responsabile dell’UOS di Endocrinologia Pediatrica e Adolescentologia presso l’Azienda Ospedaliera Università di Padova e attualmente Coordinatrice Nazionale per l’Endo-ERN pediatrica.

In generale, nell'ambito delle malattie rare, i pazienti sono costretti ad affrontare un gran numero di difficoltà dovute al fatto che queste condizioni, essendo poco comuni, sono anche poco conosciute. In questo senso, anche nell'ipofosfatemia legata all'X, la prima criticità da risolvere è rappresentata dal ritardo diagnostico, o dalla completa assenza di diagnosi. “La nascita di un bambino che presenti segni di rachitismo – suggerisce la dott.ssa Greggio – in una famiglia dove ci siano stati altri soggetti affetti, dovrebbe favorire una diagnosi precoce della malattia, già nei primi mesi di vita, in modo da evitare l’insorgenza delle complicanze a carico degli arti. Quanto più precocemente si interviene, tanto minore sarà la gravità dei sintomi durante la crescita”.

“Le forme non ereditarie di rachitismo legato all'X, dipendenti da mutazioni de novo che insorgono spontaneamente nel paziente, rappresentano il 10-20% del totale e sono le più difficili da diagnosticare, perché in questo caso manca una storia familiare della patologia”, aggiunge l'esperta. “Penso, quindi, che tra i compiti del medico vi sia anche quello di fornire una corretta informazione e formazione ai pazienti: è la scarsa conoscenza del fenomeno patologico ad impedire una diagnosi precoce”, sottolinea la dott.ssa. “Sicuramente, in Italia, un passo fondamentale per la divulgazione di informazioni utili ai pazienti e alle famiglie è costituito dalla recente nascita dell’Associazione Italiana dei Pazienti con Disordini Rari del Metabolismo del Fosfato (AIFOSF)”.

“Un'altra criticità non trascurabile – prosegue Greggio – è rappresentata dal fatto che, in Italia, i team multidisciplinari di medici formati sulla XLH sono concentrati in un numero limitato di Centri. I pazienti con malattia ipofosfatemica rara, bambini e adulti, dovrebbero essere seguiti con modalità olistica [che tenga conto del paziente nella sua totalità, N.d.R.] perché presentano problematiche endocrinologiche, renali, dentarie, ossee, ortopediche e di dolore, ma anche sociali e lavorative. Ad esempio, pochi odontoiatri conoscono gli effetti di questa patologia, quindi è basilare che ci sia una preparazione mirata all'interno della categoria”.

“Come Coordinatrice Nazionale della Endo-ERN pediatrica [la Endo-ERN è la Rete di Riferimento Europea per le malattie endocrine rare, N.d.R.], ho avuto modo di verificare che i Centri italiani che fanno parte di questa Rete Europea sono concentrati soprattutto nel Centro-Nord”, aggiunge l'esperta padovana. “Questa disparità può comportare la migrazione dei pazienti ipofosfatemici rari dal Sud al Nord, in cerca di centri con medici specializzati. È auspicabile, quindi, che vengano riconosciuti nuovi centri specializzati anche al Centro-Sud; oppure, sarebbe utile prevedere la formazione di una rete di telemedicina capace di garantire una migliore copertura su tutto il territorio italiano, onde evitare la migrazione dei pazienti alla ricerca della terapia migliore”.

Le migliori notizie, per i pazienti con ipofosfatemia legata all'X, arrivano proprio in ambito terapeutico. I recenti progressi della ricerca scientifica, infatti, hanno permesso di migliorare notevolmente la comprensione dei meccanismi patologici che sono alla base della malattia, aprendo la strada a nuove strategie di trattamento. “Dal punto di vista molecolare – spiega la dott.ssa Greggio – sono stati fatti passi da gigante: la scoperta del coinvolgimento del fattore di crescita fibroblastico 23 (FGF23), un ormone che regola il metabolismo dei fosfati, e delle mutazioni a carico del gene PHEX, ha reso possibile lo sviluppo di un anticorpo monoclonale – il nuovo farmaco burosumab – in grado di agire in modo mirato nel trattamento della XLH. La terapia, infatti, interviene direttamente sull'FGF23, regolando il livello dei fosfati nel sangue, con conseguente miglioramento della struttura ossea, dei denti e delle altre strutture colpite dalla malattia”.

“Fino a poco tempo fa – ricorda la dottoressa – gli unici farmaci disponibili erano quelli di supporto, nessuno dei quali permetteva di normalizzare i livelli di fosforo. Oggi, invece, grazie a questa recente scoperta, potrebbe essere possibile cambiare la storia naturale della malattia. Uso il condizionale perché gli studi clinici su burosumab sono ancora in corso: al momento sono arrivati alla Fase III; prossimamente sarà tentato uno studio nei bambini con XLH da 0 a 12 mesi, età che fino ad ora non era stata inclusa nelle sperimentazioni. Ovviamente, da questo nuovo farmaco non ci aspettiamo la risoluzione completa della malattia, ma il fatto che risulti 'curativo' sulla causa della malattia, e che non siano stati rilevati effetti collaterali, rappresenta un aspetto molto importante”.

“In Europa – chiarisce l'esperta di Padova – il farmaco è stato autorizzato solo per i bambini di almeno un anno di età e per i ragazzi in crescita: questa approvazione, che non include gli adulti, produrrà limitazioni prescrittive nei singoli Stati Membri, e credo che anche il fattore economico avrà il suo peso. In Italia, burosumab è ancora al vaglio dell’AIFA e, forse anche a causa del recente avvicendamento nella direzione dell'Agenzia, la procedura di approvazione sta procedendo piuttosto lentamente. È verosimile pensare che nel 2019, forse già nel primo semestre, ci sarà l’autorizzazione del farmaco in prescrizione ospedaliera”.

“Va sottolineato che per i pazienti con ipofosfatemia legata all'X è essenziale trovare anche un'adeguata terapia del dolore”, conclude la dott.ssa Nella Greggio. “Forse, con l'arrivo di burosumab, questa criticità potrà presumibilmente trovare un miglioramento”.


Sei una persona maggiorenne con diagnosi di ipofosfatemia legata all'X o il genitore di un bambino affetto dalla malattia? Partecipa all'iniziativa di OMaR “XLH: Raccontaci la tua storia”. In questo modo, potrai contribuire attivamente ad un obiettivo molto importante: far conoscere al grande pubblico cosa sia la malattia e quale impatto abbia sulla qualità di vita di chi ne è affetto. Per maggiori informazioni, visita la pagina web dedicata alla campagna.

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