La dr.ssa Anna Maria Formenti (Brescia) studia due patologie accomunate dalla pessima qualità di vita dei pazienti: l'osteogenesi imperfetta e la sindrome di Ehlers-Danlos
BRESCIA – Le osteopatie rare sono un gruppo di patologie accomunate da un'alterazione dell'impalcatura ossea: alcune di queste sono di origine ereditaria, dovute quindi alla mutazione di un gene. La dr.ssa Anna Maria Formenti, dell'Università degli Studi di Brescia, studia in particolare le collagenopatie ereditarie, e proprio pochi giorni fa ha partecipato al Congresso Europeo di Endocrinologia che si è tenuto a Lisbona: la sua relazione ha esaminato i legami esistenti fra due patologie rare, l'osteogenesi imperfetta e la sindrome di Ehlers-Danlos.
Entrambe malattie del tessuto connettivo di origine genetica, la prima è caratterizzata dalla fragilità delle ossa e dalle frequenti fratture, la seconda dall'elasticità della cute e dalla lassità dei legamenti. L'osteogenesi imperfetta è molto più rara (1 caso su 20-50.000 nati vivi) rispetto alla Ehlers-Danlos (1 su 5-10.000 nati vivi).
“Spesso i pazienti, quando si rivolgono al nostro centro, non hanno una diagnosi ma lamentano fratture ricorrenti a partire dall'età pediatrica e a volte presentano una facies tipica”, spiega la dr.ssa Formenti. “Di norma, effettuiamo una mineralometria ossea computerizzata (MOC) per indagare la densità minerale ossea e un esame morfometrico per misurare l'altezza delle vertebre. È importante prevenire altre fratture, soprattutto di ossa lunghe, e complicazioni come la cifosi, le difficoltà respiratorie e la disabilità motoria”.
I sintomi dell'osteogenesi imperfetta sono le frequenti fratture, la perdita dell'udito, una dentinogenesi imperfetta e le sclere blu (presenti in una buona percentuale di pazienti). La diagnosi è clinica, seguita dalla conferma genetica per individuare il tipo di mutazione, che nella quasi totalità dei casi avviene nei geni COL1A1 e COL1A2.
La sindrome di Ehlers-Danlos, secondo la nuova classificazione, racchiude 13 sottogruppi, fra i quali la forma classica (causata da una mutazione del collagene di tipo V) e la forma ipermobile, la più frequente, della quale non è ancora nota la mutazione associata e per cui, quindi, non sono disponibili test genetici. Oltre alla cute iperestensibile e alle articolazioni lasse, i soggetti possono andare incontro a frequenti lussazioni, oltre a presentare cicatrici molto caratteristiche, alterazioni ai denti e segni corollari come ipotensione ortostatica, anomalie cardiache, prolasso uterino, malassorbimento, difficoltà digestive e reflusso gastro-esofageo. La forma vascolare è la più grave, perché comporta il rischio di rottura dei grossi vasi e quindi di morte precoce; nelle altre forme, invece, l'aspettativa di vita non risulta drasticamente ridotta.
“Per entrambe le patologie, in ogni caso, la qualità di vita è pesantemente compromessa. La terapia per l'osteogenesi imperfetta consiste nel prevenire la perdita di massa ossea e nell'evitare le fratture, e a questo scopo si somministrano i bisfosfonati per via orale o venosa: ci sono evidenze che questi farmaci migliorino la qualità dell'osso e aumentino la sua densità minerale, ma è ancora controverso il fatto che riescano a ridurre l'incidenza di nuove fratture”, sottolinea la dr.ssa Formenti. “Per la terapia dell'osteopatia correlata all'Ehlers-Danlos, i dati a disposizione in letteratura sono per ora alquanto limitati, quindi anche per questi pazienti ci si affida ai bisfosfonati. In entrambe le patologie, infine, è fondamentale integrare il trattamento con supplementi di vitamina D”.
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