Tra queste due patologie esiste un’evidente relazione le cui basi biologiche, tuttavia, non sono ancora state chiarite
Uno dei paradossi più conosciuti si interroga se sia nata prima la gallina o se sia stato deposto per primo l’uovo: se si applicasse la stessa domanda alle bronchiectasie e al deficit di alfa-1-antitripsina (DAAT) si correrebbe il rischio di farsi scoppiare un gran mal di testa. Perciò, abbiamo deciso di affidarci all’esperienza di Stefano Aliberti, Professore Ordinario di Malattie dell’Apparato Respiratorio di Humanitas University e Responsabile dell’Unità Operativa di Pneumologia dell’IRCCS Humanitas Research Hospital di Rozzano (MI), per cercare di capire quale relazione esista tra una condizione ereditaria quale il DAAT e un fenomeno patologico come le bronchiectasie, poco noto alla popolazione generale ma ben più diffuso di quel che si crede.
BRONCHIECTASIE E DEFICIT DI ALFA-1-ANTITRIPSINA
“Col termine “bronchiectasia” ci si riferisce a una patologia polmonare cronica contraddistinta da un’abnorme e permanente dilatazione di alcune porzioni dell’albero bronchiale”, afferma Aliberti. “I rami dell’albero bronchiale degli individui colpiti da questa condizione risultano dilatati e ciò provoca un accumulo di muco, tosse ed un aumentato rischio di infezioni alle vie respiratorie, fra cui bronchiti o polmoniti”. I pazienti possono anche essere manifestare dolore al torace, stanchezza e presenza di sangue nel catarro. Oltre che sul piano clinico, le bronchiectasie sono una patologia eterogenea anche sotto il profilo radiologico, funzionale e microbiologico, con una prognosi di volta in volta differente, legata alle varie cause d’insorgenza e alla gravità della malattia. “È molto importante, a detta delle maggiori linee guida internazionali, risalire all’origine della dilatazione dei bronchi attraverso una serie di esami”, prosegue Aliberti. “Infatti, se in circa il 45% dei casi le bronchiectasie sono definite idiopatiche (cioè senza una causa specifica), nel rimanente dei casi tra i fattori scatenanti di natura genetica, oltre alla fibrosi cistica e all’immunodeficienza comune variabile, figura anche il deficit di alfa-1-antitripsina”.
L’associazione tra DAAT e comparsa delle bronchiectasie presenta ancora molti lati in ombra. “Si ipotizza che il deficit di alfa-1-antitripsina conduca a un incremento dell’infiammazione neutrofilica a carico delle vie aeree, che fa soffrire il bronco e lo porta ad allargarsi fino a diventare bronchiectasico”, aggiunge Aliberti. “Tuttavia non sono ancora mai stati condotti studi specifici su questo aspetto”. Rimane il fatto che spesso le due problematiche giungono a coesistere, riducendo ancora di più la qualità di vita dei pazienti. Tuttavia, la definizione del problema è più complessa di quel che sembra perché non basta sapere quanti siano i pazienti con DAAT e bronchiectasie, occorre anche calcolare quante persone bronchiectasiche abbiano già un DAAT conclamato.
PAZIENTI BRONCHIECTASICI PORTATORI DI DAAT
Sulla rivista Archivos de Bronconeumologìa è stato recentemente pubblicato uno studio, di cui proprio il professor Aliberti è primo autore, condotto al Policlinico di Milano. L’indagine ha coinvolto 285 pazienti bronchiectasici, sottoposti al dosaggio dei livelli di alfa-1-antitripsina su sangue e all’analisi del gene SERPINA-1, associato alla presenza di DAAT, e 2.848 individui di controllo, individuando oltre 100 diverse varianti del gene SERPINA-1: alcune di esse si traducono in concentrazioni dell’enzima alfa-1-antiprisina (AAT) entro i limiti di norma, altre sono associate a un deficit di AAT e ad un aumentato rischio di patologie polmonari ed epatiche, altre ancora sono legate a un maggior rischio di enfisema polmonare. PiZ è una delle varianti a maggior prevalenza, specialmente nei Paesi dell’Europa nord-occidentale. “In accordo con i dati di prevalenza della letteratura scientifica e, in particolare, con quelli di uno studio inglese pubblicato sulla rivista Thorax, abbiamo osservato che la variante più comune era PiZZ (0,7%), molto più presente all’interno del gruppo dei bronchiectasici rispetto ai controlli”, puntualizza l’esperto milanese. “Non sono state invece rilevate differenze significative rispetto alle varianti PiMM, PiMS, PiMZ e PiSS”.
In linea generale, la frequenza della variante PiZ era più alta nei pazienti con bronchiectasie (1,58%) rispetto ai controlli (0,56%), mentre non sono state trovate differenze significative per la variante PiS: perciò risulta chiaramente che i pazienti con bronchiectasie hanno un rischio 2,5 volte maggiore di essere portatori di una variante PiZ rispetto agli individui sani. “Ciò significa che se un paziente bronchiectasico si sottopone ai test per la valutazione dell’AAT, risultando positivo e rientrando nei criteri per la somministrazione della terapia sarà possibile diminuire o arrestare del tutto la progressione futura di malattia”, afferma Aliberti, richiamando all’opportunità per tutti gli individui affetti da una patologia respiratoria cronica di sottoporsi, almeno una volta nella vita, al dosaggio su sangue dell’AAT eseguito insieme a quello della Proteina C Reattiva (PCR). “Se la PCR è nei limiti della norma e il valore di AAT è al di sotto di 110 mg/dL è raccomandabile fare anche il test genetico”, aggiunge Aliberti. “Indagare il rischio serve a evitare un possibile aggravamento, dal momento che se si rinviene la presenza del DAAT c’è la possibilità di iniziare per tempo il trattamento”. Nella popolazione italiana sono quasi 200mila i pazienti bronchiectasici, e di questi si calcola che siano almeno 500 quelli con DAAT e con una variante PiZZ, i quali possono ricevere il trattamento: purtroppo, però, molti di loro non sanno di avere questa condizione.
PAZIENTI CON DAAT CHE SVILUPPANO BRONCHIECTASIE
Veniamo, invece, all’altro lato della medaglia, cioè a quante persone con un DAAT sviluppano bronchiectasie nel corso della loro vita. “Per rispondere a questa domanda si fa riferimento a un’analisi dell’EARCO (European Alpha1 Research Collaboration) pubblicata sulla rivista Orphanet Journal of Rare Diseases”, precisa Aliberti. “Le bronchiectasie come unica manifestazione di malattia si presentano in circa il 9% dei pazienti affetti da DAAT supportato da una variante PiZZ. Se a tale manifestazione si aggiunge anche l’enfisema si sale al 27% dei casi. Questi numeri, insieme all’analisi precedente, corroborano la relazione tra bronchiectasie e DAAT”.
Un legame reso evidente da un’ulteriore analisi apparsa sulle pagine della rivista European Respiratory Journal e condotta dal gruppo di studio di Pavia, sotto la guida della dott.ssa Ilaria Ferrarotti: su 475 pazienti inseriti nel Registro italiano del deficit di alfa-1-antitripsina, in 58 (12%) è stata confermata la presenza di bronchiectasie alla TAC ad alta risoluzione, con una marcata prevalenza della variante PiZZ. Queste persone presentavano, inoltre, un’aumentata prevalenza di polmoniti e infezioni, a maggior conferma della necessità di indagare l’eventuale presenza del DAAT in relazione a problematiche di natura respiratoria, evitando, così, di andare incontro a gravi peggioramenti della salute delle vie aeree.
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