Uno studio condotto su pazienti italiani rivela un’incidenza di patologia più alta di quanto finora supposto
Per conoscere davvero un fenomeno patologico non basta cercare di tracciare un elenco delle sue caratteristiche cliniche ma occorre fare anche una stima di quanto sia frequente. Due coordinate che per quanto riguarda le bronchiectasie sono sempre state piuttosto vaghe. La nascita dell’Associazione Italiana Bronchiectasie (AIB), sta contribuendo ad alzare il livello di consapevolezza su queste dilatazioni dei bronchi e sui sintomi che esse comportano. Ora, grazie al lavoro di un team di medici italiani, anche l’incidenza e la prevalenza delle bronchiectasie nella popolazione italiana cominciano a farsi più definite, e proprio da questi dati si possono trarre conclusioni importanti circa il loro impatto.
L’articolo pubblicato sulla rivista BMC Pulmonary Medicine è frutto della collaborazione tra i ricercatori della Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico Milano, del Dipartimento di Scienze Mediche, Chirurgiche e Sperimentali dell’Università di Sassari, e dell’Istituto di Ricerca della Società Italiana di Medicina Generale, e si basa sui dati ottenuti da oltre un milione di pazienti, seguiti da più di 800 medici di medicina generale nel periodo compreso tra il 2002 e il 2015.
Una finestra temporale estremamente ampia, durante la quale sono stati accuratamente raccolte e registrate le informazioni relative alle caratteristiche demografiche e cliniche dei pazienti con bronchiectasie, inclusi quelli con patologie concomitanti, come la BPCO (bronco-pneumopatia cronica ostruttiva), la discinesia ciliare primitiva, la tubercolosi, la sindrome di Kartagener, l’aspergillosi polmonare, il deficit di alfa-1-antitripsina, l’asma e persino l’artrite reumatoide, le patologie infiammatorie intestinali o l’infezione da HIV. Tutto ciò a significare quanto possano essere subdole le bronchiectasie e come possano essere presenti anche in contesti in cui non si suppone siano coinvolte.
Ma cosa sono le bronchiectasie? Ce lo spiega nel dettaglio il Prof. Giovanni Sotgiu, del Dipartimento di Scienze Mediche, Chirurgiche e Sperimentali dell’Università degli Studi di Sassari, tra gli autori dell’indagine appena pubblicata: “Per bronchiectasie intendiamo delle dilatazioni permanenti e irreversibili dei bronchi, con alterazioni anatomo-funzionali che favoriscono l’accumulo di muco all’interno delle vie respiratorie. Tutto ciò può favorire la replicazione di batteri e virus che concorrono a instaurare un processo infiammatorio responsabile delle riacutizzazioni”.
“Tali riacutizzazioni - continua Sotgiu - portano il paziente a star male e a sviluppare problematiche che di base già aveva, come l’accentuazione della tosse, una vistosa produzione di espettorato con muco e pus e poi la febbre. Il tutto si complica perché il paziente può andare incontro a polmoniti e, in molti casi, deve iniziare una terapia antibiotica o, quando la situazione si fa critica, deve essere ricoverato in ospedale”. Un paziente bronchiectasico, infatti, sperimenta di continuo sintomi come tosse ed espettorazione giornaliera; le infezioni respiratorie ricorrenti possono aggravarsi e in casi critici, il paziente può essere gestito solo da personale specializzato, che interviene in maniera mirata sulla modulazione del quadro infettivo.
Il risultato più importante dello studio indica una prevalenza nella popolazione italiana di 163 casi ogni 100.000 persone, un dato che scende a 130 casi ogni 100.000 se si escludono le persone già affette da asma o BPCO. Una conferma di quanto le bronchiectasie siano diffuse e, a maggior sostegno di ciò, c’è proprio il valore relativo alla coesistenza con altre patologie. “L’obiettivo del nostro studio è stato cercare di capire il reale impatto epidemiologico in Italia delle bronchiectasie, indipendentemente da altre comorbilità che presentano un quadro clinico sovrapponibile”, chiarisce Sotgiu. “Per far ciò abbiamo collaborato con una Società di medici di medicina generale che ci ha aiutato a realizzare una fotografia accurata della diffusione delle bronchiectasie. Purtroppo, però, la mancanza di un sistema di notifica ad hoc della malattia e l’impossibilità di coprire l’intera popolazione italiana, insieme ai tanti casi di soggetti con una diagnosi non corretta o, addirittura, privi di diagnosi, non ci ha permesso di avere una stima di altissima qualità ed esaustiva”.
Dallo studio, tuttavia, appare chiaro che le bronchiectasie sono maggiormente riscontrabili in individui di età superiore ai 75 anni e, seppur con una lieve differenza, colpiscono più frequentemente il genere femminile. “Per diagnosticarle correttamente occorre prima di tutto una valutazione clinica specialistica”, conclude l’esperto. “Poi si esegue una TC che permette di identificare le anomalie delle vie bronchiali e, parallelamente, si eseguono le valutazioni di funzionalità respiratoria necessarie per programmare interventi mirati terapeutici e preventivi sul paziente”.
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