Il direttore di Orphanet Italia, da Cernobbio, chiede l’intervento della Conferenza Stato-Regioni

A chiedere che ci si adoperi di più a favore dello screening neonatale allargato non sono solo le associazioni dei pazienti e le case farmaceutiche, l’argomento trova appoggio anche ai massimi livelli della comunità scientifica, tanto che a lanciare un appello da Cernobbio è anche il prof. Bruno Dallapiccola, direttore scientifico dell'ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma e direttore di Orphanet-Italia.

Bertoglio: “Comporterebbe un risparmio su quello che il SSN spende in disabilità”

Il tema dello screening neonatale è ormai uscito da qualche tempo dagli ambiti ristretti di discussione in cui era stato costretto fino a pochi anni fa, grazie al sempre più forte impegno nato dal mondo associativo e spesso collegato al tema delle malattie rare approda ormai nelle più importanti sedi di dibattito delle politiche socio sanitarie. E’ successo di nuovo ieri pomeriggio quando di questo argomenti si è parlato a Cernobbio, nell’ambito  della Seconda Conferenza Nazionale sulla Ricerca Sanitaria. Non è mancata a questo incontro la voce, molto forte, dei pazienti – e dei genitori dei piccoli pazienti – rappresentata da Flavio Bertoglio, presidente della Consulta Nazionale della Malattie Rare.

“Un semplice test per proteggere la salute dei bimbi” è il messaggio del depliant informativo sullo screening neonatale in Emilia-Romagna, realizzato dalla Regione e dal Centro di riferimento regionale del Policlinico Sant’Orsola-Malpighi di Bologna. La pubblicazione, distribuita in queste settimane in tutti i punti nascita, è rivolta ai genitori e contiene in modo sintetico e con un linguaggio divulgativo tutte le informazioni sullo screening neonatale: sull’esame effettuato ai bambini tra le 48 e le 72 ore dalla nascita, sulle malattie indagate, sul percorso di cura e la presa in carico. Lo screening neonatale si basa su un piccolo prelievo  dal tallone del piede del neonato: il bambino quasi non se ne accorge, ma le poche gocce di sangue raccolte su una speciale carta assorbente permettono di individuare molto in fretta e curare in modo tempestivo alcune malattie congenite che altrimenti potrebbero comportare gravi conseguenze nello sviluppo del neonato.

Va confermata la diagnosi, impostata la terapia e seguito il paziente, questa è prevenzione

“In Italia abbiamo strumenti per lo screening neonatale delle malattie metaboliche, chiamati spettrometria di Massa Tandem, che sarebbero sufficienti per effettuare lo screening neonatale per una natalità doppia di quella attuale. Però per svariati motivi (economici organizzativi, strutturali) solo in alcune regioni italiane lo screening neonatale metabolico allargato viene eseguito.” A dirlo è il prof. Roberto Cerone, presidente della SIMMESN la società italiana per lo studio delle Malattie Metaboliche Ereditarie  e lo Screening Neonatale nonché responsabile del Centro Regionale di riferimento per gli screening neonatali e la diagnosi delle malattie metaboliche dell’Università degli Studi di Genova e dell’U.O.S. "Malattie Metaboliche dell’Istituto G.Gaslini.  

L’Aismme chiede screening metabolico allargato uniforme su tutto il territorio

“In Italia, per quanto riguarda l’applicazione dello screening neonatale, quello che domina è la difformità. Nascere in una regione piuttosto che in un’altra, o a volte semplicemente in una città o in un’altra, può fare la stessa differenza che passa tra la vita e la morte, o comunque quella che passa tra una vita con un salute abbastanza buona e una vita con una disabilità grave. Non è un modo di dire, mentre parlo mi vengono in mente dei casi concreti di bambini e famiglie che a causa di uno screening non effettuato stanno passando un inferno. Un inferno ora perché la diagnosi è arrivata troppo tardi, quando già i danni c’erano stati, un inferno prima per le difficoltà di arrivare a dare un nome a quel continuo star male dei propri figli, tempo speso a girare da un ospedale all’altro. E chi glie lo va a spiegare a quei genitori che tutto questo si sarebbe potuto evitare con un esame fatto entro i primi tre giorni di vita, che richiede solo una goccia di sangue e che costa circa 55 euro? Chi gli dice a quei genitori siciliani che se erano liguri o toscani il bimbo oggi starebbe bene e avrebbe solo bisogno di una dieta un po’ particolare?”. Mentre racconta queste cose e spiega com’è oggi la situazione in Italia Manuela Pedron, vicepresidente di Aismme – Associazione Italiana Sostegno Malattie Metaboliche Ereditarie,  si anima, si indigna, si interrompe e le vengono in mente altri casi che potrebbe raccontare. “Ma come si fa ad avere tutti i mezzi per evitare certe tragedie e non farlo?!. Io credo che se anche si può salvare un solo bambino ci sia il dovere di fare tutto quello che è possibile”.

Il punto della situazione fatto insieme ad Aismme

“Fare un quadro della situazione esatto al cento per cento non è facile, ci teniamo sempre aggiornati ma questo è un ambito in cui a decidere sono le singole regioni che possono avere una politica chiara, o affidarsi a progetti che si interrompono, magari qualche piccola novità degli ultimi giorni può essere sfuggita ma nel quadro globale cambia ben poco. In sostanza c’è la Toscana che è l’unica Regione ad aver fatto un legge in materia di screening e ad eseguire su tutti i nuovi nati l’esame per ben 47 malattie metaboliche rare, e gli stessi esami li esegue anche per l’Umbria. Poi un ottimo programma c’è anche in Liguria, anche lì con una copertura di tutti i nuovi nati. Per il resto c’è la disomogeneità più ampia".  A dirlo è Manuela Pedron, vicepresidente di Aismme – Associazione Italiana Sostegno Malattie Metaboliche Ereditarie, insieme alla quale abbiamo ricostruito la situazione Regione per Regione. Questa ricostruzione è aggiornata al giugno scorso e nel frattempo potrebbero essere intercorse delle piccole variazioni ‘ma di certo – dice la vicepresidente - nessuna grande novità, ne saremmo altrimenti informati”

Il rischio è di individuare anche i casi dubbi o ad esordio tardivo: si apre un limbo diagnostico che può rovinare anche la vita libera da malattia

“Sto bene, aspetto la mia malattia”, è questo il titolo significativo di un editoriale apparso su Neurology contestualmente alla pubblicazione del caso clinico di malattia di Pompe ad esordio tardivo descritto dal dottor Laforêt. Come era prevedibile, infatti, l’esempio riportato dal medico di Parigi non è rimasto privo di risonanza. Al di là dei quesiti strettamente medici, in cui ci si domanda a che età e in che situazioni sia giusto cominciare la terapia enzimatica, c’è un altro quesito che tocca la malattia di Pompe e si allarga ad abbracciare una casistica più ampia di malattie rare che potrebbero essere individuate alla nascita o comunque in fase presintomatica.  La domanda di fondo è: è veramente utile sapere che ad un certo punto della propria vita di adulto arriverà una malattia, senza poterne però prevedere la gravità e il quando? Conviene cominciare da subito a sottoporsi a controlli e terapie o forse è meglio che il soggetto viva un’infanzia del tutto normale, senza che né lui né la sua famiglia siano toccati da ansie per il futuro altrimenti evitabili? Oppure sapere potrebbe servire per evitare il peggio e portare a terapie precoci? I dilemmi sollevati dal caso descritto da Laforet non sono di poco conto. A commentarli su Neurology sono stati  la dottoressa Jennifer M. Kwon dell'Università di Rochester e dal Dr. Robert Steiner, entrambi profondi conoscitori della malattia e dei risvolti di una diagnosi precoce.

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