Un progetto americano sta studiando l'impiego di questa strategia terapeutica in sette diverse patologie, grazie anche al prezioso contributo di associazioni come GFB Onlus

Le piattaforme modulari sono state definite come una delle maggiori innovazioni tecnologiche messe in campo dall’industria automobilistica che, grazie ad esse, ha potuto ampliare in modo considerevole il numero di modelli prodotti utilizzando elementi in comune. La stessa filosofia può essere applicata in maniera analoga alla terapia genica, che può ricorrere agli stessi vettori e agli stessi promotori contro diverse malattie genetiche rare. In un comunicato stampa da poco divulgato dall’associazione GFB ONLUS (Gruppo Familiari Beta-Sarcoglicanopatie) si fa riferimento a un progetto che prevede l’impiego della terapia genica per il trattamento di ben sette patologie: l'atrofia muscolare spinale di tipo 1 (SMA1), la distrofia muscolare di Duchenne (DMD) e cinque diverse forme di distrofia muscolare dei cingoli (LGMD).

Beatrice Vola, presidente di GFB Onlus, racconta con orgoglio i progressi compiuti da una ricerca americana, sostenuta anche dall’associazione valtellinese, grazie a cui è stato possibile giungere alla pubblicazione di un primo articolo sulla prestigiosa rivista The New England Journal of Medicine. Gli autori, il prof. Jerry R. Mendell e il prof. Brian K. Kaspar, dell’Istituto di Ricerca del Nationwide Children’s Hospital di Columbus (Ohio), riportano i risultati di uno studio nel quale 15 bambini affetti da SMA1 sono stati trattati con una terapia genica sperimentale: una singola iniezione intravenosa di un virus adeno-associato (AAV9) che è in grado di veicolare il gene responsabile della produzione della proteina SMN (survival motor neuron), la proteina che viene a mancare nei soggetti affetti da questa malattia. Al termine dello studio, ognuno dei pazienti era ancora in vita e dei 12 bambini che hanno ricevuto la dose maggiore, 11 erano in grado di sedersi senza assistenza, 11 potevano deglutire autonomamente e parlare e 2 sono stati persino in grado di camminare. Si tratta di risultati importanti, che generano una forte iniezione di fiducia per i successivi passaggi della ricerca.

Il nostro obiettivo – spiega Beatrice Vola – è di riuscire a fare per le distrofie dei cingoli quello che è già stato fatto per la SMA1”. Le distrofie muscolari dei cingoli (LGMD) sono patologie ereditarie rare ad andamento progressivo, caratterizzate da debolezza e ipotrofia muscolare e per le quali non esiste, al momento, una cura risolutiva. Ne sono state identificate oltre 30 forme, che si manifestano con sintomi e modalità differenti, a diverse età d’esordio e con diversi livelli di severità. Generalmente, i soggetti cominciano ad avere difficoltà nell’alzare le braccia al di sopra della testa e a camminare o salire le scale e, a seconda del grado di aggressività della malattia, non sono infrequenti le problematiche cardiache e respiratorie.

“Abbiamo iniziato la nostra attività nel 2010 con 5 famiglie”, racconta Vola. “Ora ne abbiamo più di 250, all’interno delle quali vi sono individui affetti da LGMD di tipo 2C, 2D, 2E e 2F. L’organizzazione di volontariato GFB si è ufficialmente costituita nel 2013 e va crescendo di anno in anno. Dal 2017 è entrata a far parte della Myonexus Therapeutics, la società nata allo scopo di sviluppare una terapia genica adatta ad almeno 5 forme di distrofia muscolare dei cingoli (i tipi 2B, 2C, 2D, 2E e 2L)”.

“Storicamente siamo legati ai pazienti affetti da distrofia dei cingoli da deficit di beta-sarcoglicano (LGMD2E, detta anche beta-sarcoglicanopatia), che rappresentiamo di fronte alle istituzioni, agli enti di ricerca, alle altre associazioni di pazienti”, prosegue la Presidente di GFB Onlus. “Proprio perché ci siamo resi conto che non esistevano studi specifici su questa malattia, dal 2012 abbiamo avviato i contatti con il gruppo di ricerca del prof. Mendell, che ha sviluppato un progetto per la cura della LGMD2E impiegando la terapia genica. Grazie alle famiglie che hanno creduto nel progetto abbiamo già raccolto circa 1.500.000 dollari per sostenerlo”.

Due pubblicazioni, apparse rispettivamente sulle riviste Gene Therapy e Gene & Cell Therapy, hanno riportato gli incoraggianti risultati registrati in fase preclinica. Ora, i fondi raccolti daranno l’opportunità a Myonexus di iniziare un trial di Fase I/IIa nel quale sarà testata la terapia genica sperimentale MYO-101, che utilizza il vettore virale AAV9 (già impiegato per i pazienti con SMA1) e il promotore MHCK7, che permette al trattamento di raggiungere tutti i distretti muscolari e, in più, il cuore e il diaframma. “Alcuni pazienti con LGMD2E sviluppano seri problemi cardiaci che impongono di ricorrere al trapianto”, aggiunge Vola. “La terapia genica potrebbe evitare tutto ciò. Infatti, inizialmente il progetto prevedeva l’impiego di un promotore che raggiungesse i muscoli scheletrici, ma curando i muscoli i pazienti iniziano a muoversi di più e il cuore si affatica. Perciò, si è pensato di indirizzare la terapia al cuore ed è stato disegnato un promotore, MHCK7, che porti la terapia al muscolo cardiaco, migliorando le condizioni di vita dei pazienti”. Grazie alla collaborazione con il prof. Torrente, del Policlinico di Milano, GFB Onlus sta lavorando per portare presto lo studio in Europa e nel nostro Paese, per rendere possibile l’inclusione nella sperimentazione di pazienti italiani.

Nel frattempo, lo stesso prof. Mendell sta dirigendo uno studio clinico di Fase I/IIa per testare un approccio di terapia genica anche nei pazienti affetti da distrofia muscolare di Duchenne (DMD). “La tecnica è la stessa e si usa il medesimo vettore virale, all’interno del quale si inserisce la copia sana del gene alterato”, conferma Vola. “Il gene su cui agiscono le mutazioni che innescano la DMD è molto grande ed è difficile da riportare interamente nel vettore virale. In questo caso, si va a ricostruire solo una frazione della proteina mancante (distrofina), ma il vettore e il promotore rimangono gli stessi”. Sarepta Therapeutics, la società che si occupa dello sviluppo del trattamento, ha recentemente annunciato che la Food and Drug Administration (FDA) statunitense ha autorizzato l'avvio dello studio, che si svolgerà grazie anche al contributo economico di GFB Onlus. “La Duchenne è la settima malattia per cui cerchiamo la cura”, conclude Beatrice Vola. “In questo caso, subentrano altri finanziamenti, soprattutto da parte di Parent Project Muscular Dystrophy (PPMD)". Nella sperimentazione di Fase I/IIa, la terapia verrà somministrata per via endovenosa ai pazienti, per poi valutarne la sicurezza e l'efficacia nello stimolare la produzione di distrofina, non solo a livello dei muscoli scheletrici ma anche del cuore e del diaframma.

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