Dolore

Un nuovo studio francese ha indagato bisogni e aspettative delle persone affette dalla malattia e dei loro caregiver

Ad oggi, salvo rare eccezioni, gli studi disponibili sulle mucopolisaccaridosi (MPS), rare patologie genetiche da accumulo lisosomiale, sono generalmente incentrati sui meccanismi fisiopatologici alla base di queste malattie e sui relativi approcci terapeutici. Per questa ragione, il sondaggio recentemente pubblicato sull’Orphanet Journal of Rare Diseases rappresenta una novità: gli autori, provenienti da diversi istituti di ricerca francesi, si sono infatti concentrati sui bisogni e sulle aspettative di pazienti e caregiver, dando vita alla prima indagine esplorativa che ha preso in esame gli aspetti psicosociali delle mucopolisaccaridosi e l’impatto di queste patologie sulla qualità della vita.

LA MALATTIA

Nelle mucopolisaccaridosi (MPS) la carenza di specifici enzimi determina un dannoso accumulo di glicosamminoglicani (GAG), macromolecole non degradate tipiche della cosiddetta ‘sostanza amorfa’, una componente acellulare del tessuto connettivo. Gli agglomerati di glicosamminoglicani, depositandosi in vari organi e tessuti, provocano la progressiva comparsa di complesse manifestazioni cliniche, che includono ritardo neurocognitivo, alterazioni scheletriche (disostosi multipla), tratti facciali tipici, opacità corneale, ernie inguinali e ombelicali, epatosplenomegalia (ingrossamento del fegato e della milza) e complicanze respiratorie e cardiache.

Si conoscono sette diversi sottotipi di mucopolisaccaridosi (MPS I, II, III, IV, VI, VII e IX). Rare se prese singolarmente, nell'insieme queste malattie sono più diffuse di quanto non si creda, con un’incidenza complessiva stimata in circa un caso ogni 25.000 nuovi nati. La gravità dei sintomi dipende dalla forma di MPS e dal grado di attività enzimatica residua. In generale, si tratta di patologie potenzialmente fatali e cronicamente debilitanti. Per questa ragione, convivere con una mucopolisaccaridosi è una sfida continua sia per i pazienti che per i loro caregiver.

Fortunatamente, con il miglioramento delle cure e il costante aggiornamento delle terapie disponibili, negli ultimi decenni il tasso di sopravvivenza dei pazienti è nettamente aumentato e, secondo alcune previsioni, le mucopolisaccaridosi sono destinate a diventare un problema medico cronico. Questo rende ancor più necessario indagare e comprendere a fondo l’impatto fisico, emotivo e socioeconomico di queste malattie sulla vita dei pazienti e dei loro familiari e caregiver.

LO STUDIO

Grazie al potente strumento esplorativo e conoscitivo dell’intervista approfondita (della durata di circa 90 minuti), gli autori dello studio pubblicato sull’Orphanet Journal of Rare Diseases hanno preso in esame le esperienze di vita di 25 pazienti francesi con mucopolisaccaridosi e relativi caregiver. Nello specifico, i pazienti coinvolti risultavano affetti da MPS di tipo I, di tipo II, e di tipo VI. Ad eccezione di un diciasettenne, tutti i pazienti intervistati erano adulti (età media 29 anni) e avevano ricevuto la diagnosi all’età media di 4 anni.

Vista l’estrema eterogeneità fenotipica che caratterizza le mucopolisaccaridosi, i ricercatori hanno deciso di suddividere i pazienti basandosi sul loro livello di disabilità piuttosto che sulla classificazione convenzionale delle varie forme di patologia, individuando, perciò, tre gruppi di partecipanti: pazienti con grave deterioramento cognitivo (gruppo A); pazienti con elevata disabilità motoria ma senza, o con bassa, compromissione neurologica (gruppo B); pazienti con deficit cognitivo lieve o assente e con modesta o trascurabile difficoltà motoria (gruppo C). Grazie a questa divisione è stato possibile contestualizzare le risposte degli intervistati, comprendendole alla luce del loro effettivo grado di deterioramento cognitivo e motorio. Tale accortezza ha reso realizzabile l’intera ricerca che, altrimenti, avrebbe semplicemente evidenziato una serie di dati tra loro incomparabili.

I RISULTATI

Dalle risposte di tutti e tre i gruppi di pazienti è emersa, in primo luogo, una lacuna significativa nella gestione del dolore. La sofferenza causata dalla malattia viene descritta come “onnipresente” e difficile da accettare. A causa della mancanza di un trattamento analgesico adeguato, l’autonomia dei pazienti nelle attività quotidiane è fortemente compromessa e anche i gesti più semplici vengono percepiti come insormontabili (“allacciarmi le scarpe è diventata una tortura”). Spesso anche il disagio psicologico è una diretta conseguenza del dolore cronico. Questa situazione ha un impatto importante non solo sui pazienti, ma anche sui caregiver, sia dal punto di vista emotivo (“la cosa più difficile è vederlo soffrire e sapere che non posso aiutarlo”) che socio-relazionale ed economico (“praticamente viviamo in ospedale, il fratellino ha mosso i primi passi tra le corsie”; “ho dovuto lasciare il lavoro per prendermi cura di A.”). Dall’indagine qualitativa emerge quindi preponderante la necessità di migliorare l’assistenza globale del paziente, prevedendo anche la possibilità di beneficiare di un percorso antalgico presso un centro di Medicina del dolore o presso algologi professionisti.

Gli intervistati, inoltre, auspicano per il futuro un maggior riconoscimento dei loro diritti, soprattutto in termini di istruzione e di sostegno finanziario. Dai racconti, infatti, emerge come i pazienti si trovino ad affrontare esperienze scolastiche complicate e un difficile inserimento nel normale sistema di istruzione e di formazione (“è stato subito etichettato come disabile, e quindi emarginato”; “ha fatto moltissime assenze per gli appuntamenti medici/chirurgici”). Secondo pazienti e caregiver, una soluzione sarebbe quella di potersi rivolgere a istituti educativi specializzati, capaci di rispondere alle esigenze di persone con disabilità motoria e cognitiva. Inoltre, i partecipanti all’indagine auspicano una maggiore facilità nella preparazione dei fascicoli amministrativi necessari per usufruire dei sostegni finanziari previsti dal sistema di previdenza sociale francese.

Per molti pazienti con MPS il passaggio dalle cure pediatriche a quelle per adulti si è rivelata un’esperienza traumatica (“avevo la sensazione che i nuovi medici curanti non sapessero gestirlo, mi sono sentita abbandonata”; “l’ospedale pediatrico era più accogliente”). Pertanto, gli intervistati sperano che in futuro sia possibile sviluppare un percorso strutturato di transizione dall’età pediatrica a quella adulta, in cui il paziente e la sua famiglia vengano accompagnati e supportati da un professionista il cui ruolo sia proprio quello di facilitare questo delicato passaggio.

Dalle interviste è emersa anche la necessità di un accesso facilitato alle visite specialistiche, con professionisti competenti e costantemente aggiornati su malattie rare e complesse come le mucopolisaccaridosi. Le persone affette da MPS, infatti, possono presentare una serie di problematiche, come anomalie orofacciali, dentali, visive e uditive, che talvolta vengono trascurate dai medici perché considerate erroneamente marginali: sarebbe importante, invece, che anche questo tipo di manifestazioni sia accuratamente valutato nell’ambito dell'assistenza clinica di routine prestata ai pazienti.

Infine, tra le priorità indicate da pazienti e caregiver c’è quella di continuare a condurre studi scientifici sulle MPS, per poter approfondire le caratteristiche e i meccanismi eziopatogenetici che caratterizzano le singole forme di malattia. Secondo gli intervistati, infatti, un’adeguata comprensione delle mucopolisaccaridosi è ciò che può favorire un miglior monitoraggio delle complicanze associate e un progressivo avanzamento delle possibilità terapeutiche, con un conseguente impatto benefico sulla qualità della vita dei pazienti.

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