Dopo un'infanzia e un’adolescenza fatta di mistero e sofferenza, Arianna Kitzinger, ungherese e affetta da angioedema ereditario, ora ha 52 anni e conduce una vita relativamente serena. Ora gli attacchi della sua malattia sono gestibili, ma per molto tempo non ha saputo come affrontare la sua condizione. Fortunatamente ha incontrato il ‘medico giusto’ proprio mentre era arrivata al punto di rinunciare alla speranza: "Non è mai troppo tardi", ha confermato Arianna stessa, richiamando alla memoria i suoi ricordi da ‘malata rara’. A dare voce alla sua storia l’organizzazione HAEI, un network di associazioni no profit di pazienti provenienti da tutto il mondo affetti da angioedema ereditario, che ha come obiettivo sensibilizzare circa questa patologia causata della carenza C1-inibitore.
“I medici – racconta Arianna - dicevano che soffrivo di un'allergia, gli insegnanti dicevano che fingevo di stare male per marinare la scuola e i miei genitori dicevano che a causa della mia malattia aveva bisogno di più aiuto e attenzione rispetto agli altri bambini. Nel mezzo di tutto ciò, avevo regolarmente forti dolori allo stomaco al limite del collasso: vomitavo, mi girava la testa, non riuscivo a concentrarmi, il dolore era quasi insopportabile. Per questo non ho avuto molti successi scolastici. Tuttavia, ero abbastanza laboriosa, ambiziosa e mi impegnavo molto nelle cose a cui ero veramente interessata, soprattutto nell’ambito umanistico. Eppure, difficilmente ero in grado di concludere ciò che iniziavo, perché un nuovo attacco demoliva i miei piani.”
Il padre soffriva di angioedema ereditario, ma non è stato subito ovvio che Arianna avesse potuto avere ereditato il suo problema.
“Fino a mia adolescenza ho avuto solo ricorrenti mal di stomaco dai quali non si poteva concludere che avessi una malattia così rara. Voglio dire, non avevo alcun segno visibile, mentre mio padre sì. Mi ricordo che a volte i suoi arti o il suo viso erano gonfi e che altre volte aveva mal di stomaco, ma nessun medico era stato in grado di trovarne le ragioni. A quel tempo si sospettava che tutti fossimo affetti da qualche tipo di allergia, ma nessuno trovava mai la vera causa. Mio padre non l’ha mai presa male, infatti si preoccupava molto di più per me e per i miei fratelli, che per se stesso. Quando avevo 13 anni, un giorno mi sono svegliata con un occhio gonfio. Abbiamo pensato che fosse una sorta di orzaiolo, e aspettavamo che scomparisse. Al contrario, il gonfiore ha iniziato a crescere e diffondersi su tutto il viso. E’ durato per due o tre giorni, poi il gonfiore è regredito, come se nulla fosse accaduto. Da quel momento però il gonfiore ha cominciato a verificarsi molto spesso, quasi ogni due settimane, e durava per un paio di giorni, o più. Non ricordo di avere mai avuto una parte del corpo che non si sia gonfiata. Così i medici hanno cominciato ad abbandonare l'ipotesi di allergia, e gli insegnanti gradualmente hanno smesso di prendermi in giro.”
Tuttavia Arianna non è rimasta rincuorata. “Credo che avrei preferito essere una ‘bugiarda’ felice e spensierata che marinava la scuola piuttosto che la ragazza di coscienziosa ma malata, che non era in grado di nutrire le sue ambizioni a causa della sua malattia. I miei insegnanti mi hanno dato tutti i tipi di consigli utili per la mia carriera futura: avrei potuto essere una donna delle pulizie, un’impiegata, un segretaria o forse un’assistente ai bagni. Io non guardo con sufficienza nessun lavoro, odio solo la monotonia, e sapevo che avevo bisogno di un cambiamento. Percepivo anche che il lavoro fisico mi causava troppa tensione, che peggiorava la mia malattia. Mi hanno detto che a causa della troppe assenze da scuola, non avrei mai potuto avere un vero e proprio lavoro. Invece ho pensato che sarei potuta essere una freelance. In realtà, ho dovuto rinunciare ai miei piani di intraprendere una carriera musicale, perché le mani gonfie mi impedivano di suonare il pianoforte. Fortunatamente non avevo nemmeno molto talento.”
Fortunatamente però, anche per Arianna e la sua famiglia arriva il momento di svolta. “Sono riuscita ad uscire da questo labirinto grazie all'aiuto di una dermatologa locale che ne ha avuto abbastanza dell’impotenza e dell’esitazione che mi circondava e che non ha avuto paura di ammettere che il mio caso andava oltre la sua competenza. Le sono ancora grata per la sua umanità e sincerità. Avevo 17 anni e ho trascorso due settimane nell’ospedale della nostra città: anche lì i medici sono stati onesti e hanno ammesso il loro fallimento nella diagnosi. Eppure erano già sulla strada giusta e mi ha mandato da un’allergologa a Budapest. Lei, dopo aver sottoposto la mia famiglia ad un esame del sangue speciale, è riuscita a dare la diagnosi di angioedema ereditario. Mio padre, mio fratello ed io eravamo nella stessa barca. Esagererei a dire che fossimo felici, ma provavamo una specie di sollievo. Finalmente la nostra vita poteva essere vista sotto una diversa angolazione.”
“In primo luogo siamo stati confusi circa le informazioni ricevute. E’ stata poi l’epoca degli esperimenti: abbiamo provato i farmaci disponibili e con nostra sorpresa non avevano necessariamente lo stesso effetto su tutti i membri della famiglia. Purtroppo la mia medicina, anche se molto efficace, in quanto per due mesi non ho avuto alcun sintomo, mi dava degli effetti collaterali notevoli e ho dovuto interrompere il trattamento. A quel tempo la ricerca non era così diffusa come oggi e abbiamo dovuto accontentarci di mezze misure. Per diversi anni siamo stati sotto controllo, il che era confortante, ma abbiamo dovuto aspettare molto tempo per una vera svolta nella nostra terapia.”
“La svolta è arrivata nel 1996, quando abbiamo incontrato un giovane medico, che ha semplicemente fatto capire che la nostra malattia aveva bisogno di trattamento attento e sistematico. Ha introdotto così una terapia su misura e ha cominciato ad avviare incontri periodici con i pazienti in Ungheria, rendendo ogni due anni Budapest la ‘casa’ di medici che si occupavano di angioedema, dei pazienti e rappresentanti farmaceutici nell'ambito di una conferenza internazionale. Così la nostra vita è cambiata sotto diversi aspetti. Con l'istituzione del Centro di riferimento per l’angioedema ungherese, nel 1999, da una situazione fuori controllo, ci siamo trovati in uno stato controllato con un nostro ‘diario del paziente’ e siamo anche riusciti a creare una vera e propria comunità di pazienti, prima isolati.
“Nel mio caso la profilassi ha dimostrato di avere successo. Per i casi più gravi, come ad esempio l’edema laringeo o gravi dolori di stomaco, tengo in frigo un’iniezione speciale. Questa è anche la mia arma segreta durante i miei viaggi, mi dà sollievo averlo nella mia borsa.”
Nonostante questa svolta però, alcune difficoltà permangono. “Non possiamo definirlo del tutto un ‘lieto fine’, perché ci sono ancora un sacco di cose da risolvere. Oggi la malattia non è curabile, solo gestibile. E c'è il problema dell’eredità. Io stessa non ho avuto il coraggio di prendermi la responsabilità di trasmettere la malattia a dei figli. Eppure penso che la prossima generazione dovrebbe essere un po’ più coraggiosa. In generale, i farmaci stanno diventando sempre più accessibili e i trattamenti personalizzati. Ci sono più di 6.000 malattie rare nel mondo, di cui 60 sono gestibili. L’angioedema ereditario è uno di loro. Quindi, perché dovremmo lamentarci?”
Ma qual è la ricetta per fronteggiare questa patologia? “Non esiste una ricetta generale per fare fronte all’angioedema ereditario. È necessario sviluppare la propria strategia nella propria quotidianità. Tuttavia, credo che la diagnosi sia un fattore fondamentale. Mi ricordo la mia vita prima e dopo la diagnosi e mi dispiace per chi non conosce ancora l'origine della propria malattia. Che i medici siano intelligenti e simpatici è indispensabile tanto quanto una medicina sia appropriata e accessibile. Siamo stati estremamente fortunati ad aver trovato un esperto dedicato. Poi è molto importante avere una famiglia amorevole e degli amici che possono capire la tua situazione e sono pronti ad aiutarti quando sei è nel bisogno, magari anche nel bel mezzo della notte. Con una malattia genetica, il sostegno della famiglia è fondamentale. Ultimo, ma non meno importante, è avere la speranza, credere nei miglioramenti, anche se il progresso della medicina sembra essere sempre lento per i pazienti. Se guardiamo ai decenni passati dovremmo apprezzare tutti gli sforzi fatti per mantenere il nostro benessere fisico e psicologico. Perciò ci auguriamo che i prossimi decenni ci forniscano sempre più nuove opportunità e approcci. Ho vissuto con l’angioedema ereditario per 50 anni ormai. La seconda metà della mia vita è appena iniziata. E davvero, io sono molto più ottimista di quanto non fossi 40 anni fa. Sarò la prima a testare l'ultima novità della medicina all'età di 100 anni!”
Per saperne di più visita la nostra sezione dedicata all’ANGIOEDEMA EREDITARIO.
Traduzione a cura di Margherita De Nadai.
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