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Dott.ssa Giulia Florio (Università “Vanvitelli” di Napoli): “Insieme ai colleghi di Padova abbiamo valutato un metodo per misurare la bicarbonatemia nella saliva”

Un aspetto essenziale nel campo delle malattie rare consiste nel cercare di rendere gli strumenti per la diagnosi non soltanto sempre più rapidi ma anche meno invasivi per i pazienti, soprattutto quando una patologia tende a manifestarsi fin dalla tenera età. È proprio questo il caso dell’acidosi tubulare renale distale (dRTA), una malattia rara nella quale l’accumulo di acidi nell’organismo è causa di una situazione nota come acidosi metabolica.

Il primo approccio terapeutico alla dRTA prevede la somministrazione di una terapia alcalinizzante per correggere il pH e ristabilire l’equilibrio a livello elettrolitico. Ciò significa che, per tarare la terapia, il dosaggio dei bicarbonati deve esser effettuato regolarmente per monitorarne la concentrazione (la bicarbonatemia rappresenta appunto il livello di bicarbonati nel sangue): tuttavia, i ripetuti prelievi ematici possono rappresentare un problema, specialmente nel caso dei pazienti più piccoli, che temono questa pratica.

Nel corso del terzo Incontro Nazionale dedicato alla dRTA, tenutosi a Montecatini Terme tra il 3 e il 4 giugno scorso, si è parlato anche delle nuove possibilità offerte dalla ricerca per superare questo scoglio, concorrendo così a migliorare l’aderenza ai trattamenti. “È davvero necessario pungere i piccoli pazienti per dosare i bicarbonati nell’organismo?”, ha affermato la dott.ssa Giulia Florio, medico afferente all’Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli” e all’istituto di ricerca Biogem (clicca qui o sull’immagine dell’articolo per guardare l’intervista-video). “Siamo partiti da questa semplice domanda e, insieme ai ricercatori dell’Università di Padova, abbiamo cercato un modo per dosare i bicarbonati nella saliva e vedere se correlano con quelli nel sangue”. Il progetto, nato dal confronto tra i medici e le famiglie dei pazienti, ha il vantaggio di ridurre la necessità di una pratica invasiva come il prelievo endovenoso di sangue, che i bambini vivono con ansia e disagio ma che, nel caso della dRTA, deve esser ripetuto con una certa frequenza per monitorare il livello dei bicarbonati.

“È difficile prevedere gli sviluppi e gli effetti sul paziente delle ricerche scientifiche”, conclude Florio. “Ciononostante, studiare la fisiopatologia della dRTA e ciò che le mutazioni in grado di provocarla comportano a livello cellulare e molecolare ci aiuterà a conoscere meglio la malattia, a predirne gli effetti e a trattare al meglio i pazienti”.

L’intervista-video alla dottoressa Giulia Florio è stata realizzata grazie al contributo non condizionante di SPA-Società Prodotti Antibiotici.

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