Di fronte ad una obesità genetica la dieta da sola non basta, per alcune si stanno studiando dei farmaci appositi

In Europa l’obesità infantile è aumentata di 10 volte dagli anni ’70, in Italia si stima che il 12,3 per cento dei bambini siano obesi. L’obesità infantile non rappresenta solo un quadro clinico che potrebbe dare problemi in età adulta, ma un’entità correlata a una morbilità importante già in età pediatrica. Nella maggior parte dei casi tale obesità è causata da un’alimentazione sbilanciata e da stili di vita sedentari, tuttavia in una percentuale piccola ma significativa di casi, la ‘causa’ è nei geni. In una percentuale che può essere compresa tra il 3 e il 5 per cento è infatti  la manifestazione primaria di malattie a trasmissione familiare: le obesità genetiche non sindromiche ad eredità mendeliana.

 

Le forme a eredità mendeliana non sindromica più studiate sono essenzialmente tre:
Deficit del recettore della melanocortina-4 (MC4R).
È la forma più comune di obesità mendeliana non sindromica fino a oggi identificata. Il paziente è caratterizzato da obesità grave, aumento della densità minerale dell'osso e della crescita lineare nella prima infanzia, iperfagia, cioè un aumento incontrollato dell’appetito, nel primo anno di vita, iperinsulinemia grave e mantenimento della funzione riproduttiva. La prevalenza delle mutazioni di MC4R è stata stimata tra 0,5 e 1 per cento degli obesi adulti, con livelli più elevati nelle popolazioni con obesità grave a esordio infantile e variabilità tra i diversi gruppi etnici.    
L’incidenza stimata di questa malattia rara è di 1 – 5 casi su 10.000. Lo sviluppo di piccole molecole antagoniste di MC4R potrebbe rendere disponibili trattamenti  efficaci per questa malattia e che sarebbero dunque specifici per il tipo di difetto genetico.

Deficit congenito di leptina (LEP)
Questa forma di malattia dà origine a una obesità patologica con iperfagia grave, iperinsulinemia o  diabete di tipo 2, ipogonadismo ipogonadotropo, iporesponsività delle cellule T con conseguente suscettibilità alle infezioni, e disfunzione neuroendocrine/metaboliche. Alla nascita i bambini affetti da questa malattia hanno un peso normale, la crescita eccessiva si manifesta dai primi mesi e diventa obesità nei primi anni di vita. L’iperfagia, cioè una fame incontrollabile, deriva dal deficit della leptina, un neuro ormone è coinvolto nel circuito della fame. In sostanza i pazienti non avvertono il senso di sazietà.    
I pazienti possono essere trattati con leptina ricombinante umana che ha mostrato rilevanti effetti evidenti dalla ridotta assunzione di cibo e dalla significativa riduzione del peso corporeo. L’uso della leptina ricombinante garantisce anche sviluppo puberale normale, altrimenti spesso assente. La prognosi dei pazienti trattati è dunque molto buona, al contrario, se la malattia non è diagnosticata i pazienti sono a rischio di sviluppare le complicazioni di solito associate all'obesità grave (in particolare il diabete di tipo 2) e la prognosi è peggiorata dall'elevato tasso di mortalità secondaria alle infezioni infantili. L’incidenza della malattia è oggi stimata in un caso su un milione.  

Deficit del recettore della leptina (LEPR)
E’ la forma più rara, clinicamente non distinguibile dal deficit congenito di leptina ma identificabile solo dopo il test genetico. Questa forma di malattia purtroppo non può beneficiare della terapia con proteina ricombinanate. Per ora l’unico approccio possibile è la terapia comportamentale unita alla riabilitazione per migliorare la qualità della vita.  Essendo una forma estremanente rara non sono noti i dati dell’incidenza.


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