Non solo sindrome di Prader-Willi. Il punto con la Prof.ssa Malgorzata Wasniewska
L’obesità, come la stragrande maggioranza delle malattie, è una patologia multifattoriale, ossia determinata da numerose cause. “Più precisamente - spiega Malgorzata Wasniewska, Professore Ordinario di Pediatria presso il Dipartimento di Patologia umana dell'adulto e dell'età evolutiva “Gaetano Barresi” dell’Università degli Studi di Messina - è una malattia determinata da una varietà di fenotipi, presentazioni cliniche e risposte al trattamento. Diversi sono, infatti, i fattori ambientali (eccesso di cibo, inattività fisica, stress, mancanza di sonno, farmaci) e genetici (varianti genetiche rare, compromissione dell'espressione o della funzione genica) che possono giocare un ruolo importante nella patogenesi di questa condizione”.
LA DEFIZIONE DI OBESITÀ
“L’obesità si definisce attraverso l’indice di massa corporea (BMI). Bisogna tenere presente, però, che nei bambini e negli adolescenti la massa grassa non solo aumenta in valori assoluti con l‘età, ma il suo rapporto con peso e altezza cambia fisiologicamente nel tempo e in maniera diversa fra i due sessi. Di conseguenza – spiega Wasniewska, che recentemente ha preso parte al convegno “Parliamo di Ma.R.E. in Sicilia – Una rete a maglie strette per le malattie rare endocrino-metaboliche” svoltosi a Taormina - non esiste e non può esistere un unico valore che definisca il sovrappeso o l’obesità, indipendentemente dall’età e dal sesso, come avviene nel caso degli adulti. Si deve dunque fare riferimento alle curve dei centili dell'Indice di BMI che ogni pediatra utilizza. Un dato superiore all'85° centile è indice di sovrappeso, se il dato è superiore al 97° centile è indice di obesità”.
NON TUTTE LE OBESITÀ SONO UGUALI
“Ci sono obesità sindromiche - prosegue l’esperta - con quadri fenotipici complessi (ritardo psico-motorio, bassa statura, ipogonadismo, alterazioni oculari, ecc.) come la sindrome di Prader-Willi, la sindrome di Bardet-Biedl, la sindrome di Alström, la sindrome di Carpenter e le obesità da micro-aberrazioni cromosomiche. Un altro gruppo sono le forme di obesità monogenica in cui l’obesità spesso non è associata a quadri malformativi. Le obesità monogeniche riconoscono una causa genetica unica a penetranza completa, sono rare e generalmente gravi. Sono causate da mutazioni di geni coinvolti nella via ipotalamica “leptina-melanocortina”, che sta alla base della regolazione dell’appetito”.
Le obesità genetiche sono comunque nel complesso rare perché non superano il 5% del numero totale dei casi di obesità in età pediatrica.
SINTOMI E CAMPANELLI D’ALLARME PER LA DIAGNOSI DI OBESITÀ GENETICHE
Ci sono segnali che devono mettere la pulce nell’orecchio a genitori e pediatri di base. “Per quanto concerne le obesità monogeniche, causate da varianti (genetiche) che colpiscono circuiti neuronali e dunque impattano sulla regolazione di appetito e sazietà - precisa Wasniewska - due sono le caratteristiche cliniche chiave: l’obesità grave a esordio precoce nei primi due anni di vita e l’iperfagia (fame insaziabile). I comportamenti alimentari eccessivi possono variare da occasionali a frequenti. Si sviluppano gradualmente, aumentando il loro grado di severità (gravità) da occasionale iperfagia (mangiare occasionalmente oltre il fabbisogno metabolico basato sull'aspettativa di piacere derivante dal consumo di alimenti specifici) a fame insaziabile e preoccupazione costante per il cibo. Le caratteristiche cliniche dell’iperfagia possono essere quindi piuttosto varie. In alcuni casi si verifica un senso di fame acuto e prolungato, con necessità di più tempo rispetto al normale per raggiungere il senso di sazietà, che può essere anche di breve durata. Le forme più gravi dell’iperfagia sono caratterizzate dal pensiero costante nei confronti del cibo (impulso iperfagico), dalla sua ricerca tramite comportamenti quali mangiare di notte, rubare cibo, cercare cibo nella spazzatura, fino a risposte comportamentali aggressive e inappropriate qualora venga negato il cibo”.
LA DIAGNOSI E IL RUOLO (FONDAMENTALE) DEL PEDIATRA DI BASE
Naturalmente il ruolo del pediatra di famiglia è fondamentale per i bambini con obesità genetica. “Solo lui si può accorgere di un precoce e non adeguato aumento di peso valutando il bambino periodicamente e indagando successivamente, con l’aiuto dei genitori, le presenza dei sintomi di iperfagia”, sottolinea Wasniewska. “Sarà poi il pediatra a demandare a eventuali Centri di Endocrinologia pediatrica sparsi nelle differenti regioni italiane, che si occupano di tutte le forme di obesità semplice (da iperalimentazione) e di queste specifiche genetiche. La maggioranza dei pediatri che si interessa di endocrinologia pediatrica fa parte della Società Italiana di Endocrinologia e Diabetologia Pediatrica (SIEDP), http://www.siedp.it/ di cui attualmente faccio parte anche io, nel direttivo. All’interno della Società esistono diversi gruppi di studio per le patologie endocrinologiche pediatriche, per l’obesità e per obesità genetiche. Quest’ultimo gruppo è composto da diversi professionisti di alta qualità scientifica, di rilievo nazionale e internazionale, sviluppa diversi progetti di ricerca multicentrici (prendendo in considerazione la rarità della patologia) e PDTA (Percorsi Diagnostici Terapeutici Assistenziali) per le patologie specifiche. Il fine è quello di garantire “linee guida” utili a tutti i professionisti per la miglior gestione possibile di queste patologie. Esiste un PDTA specifico per la sindrome di Prader-Willi condiviso con l’associazione dei pazienti. In programma, a breve, la preparazione del PDTA per le obesità genetiche in generale, con approfondimento specifico per le obesità monogeniche. Naturalmente, ed è fondamentale sottolinearlo, i piccoli pazienti con la conferma, attraverso specifici test genetici, della diagnosi di obesità genetica devono essere seguiti e sottoposti al follow-up nei Centri specialistici di Endocrinologia pediatrica. Di fronte ad una obesità genetica la dieta da sola non basta: per alcune si stanno studiando dei farmaci appositi”.
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