I risultati dell’indagine sono stati commentati dal professor Giuseppe Zampino in occasione del Rare Disease Day 2021
Come hanno vissuto il lockdown ‘duro’ della scorsa primavera le famiglie dei bambini con malattie rare congenite, disabilitanti e croniche? La risposta è contenuta in una survey nazionale prospettica, condotta dalla Società Italiana di Malattie Genetiche Pediatriche e Disabilità Congenite (SIMGePeD), che si occupa di bambini con malattie rare sindromiche complesse e disabilitanti, in collaborazione con numerose associazioni di malati rari, UNIAMO e Telethon. L’indagine, commentata alla vigilia della Giornata delle Malattie Rare, che si celebra domenica 28 febbraio, ha coinvolto 1.500 famiglie di tutta Italia.
Le madri hanno dominato la scena. Le risposte degli intervistati (il questionario si articola in 82 domande) hanno confermato che, a fare la parte del leone nell’assistenza di questi ragazzi sono state le mamme (l’84% ha risposto di non aver lavorato fuori casa durante il lockdown). E tra i pochi aspetti positivi legati al ‘new normal’ di quel periodo, registrati dalla survey, c’è il fatto che lo stare a casa ha consentito di dedicare più tempo (+81%) ai figli. Certo, la maggior condivisione degli spazi e della vita quotidiana si è fatta sentire con un aumento dello stress in famiglia nella metà dei casi (53%). In ogni caso, la qualità delle relazioni intra-familiari per la maggior parte delle famiglie è rimasta identica o addirittura migliorata durante il lockdown.
“Il lockdown ha determinato una presenza più attiva e importante dei genitori (in particolare delle madri) all’interno del nucleo familiare e questo ha migliorato le relazioni intra-familiari”, spiega Giuseppe Zampino, presidente SIMGePeD, referente delle Malattie Rare della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS e professore associato di Pediatria, Università Cattolica del Sacro Cuore, campus di Roma. “La paura che ha dominato questo periodo è che il loro bambino, essendo più fragile, si sarebbe potuto ammalare in forma più grave (era questa l’informazione reiterata dai media in quei mesi). Il senso di colpa legato al timore che il genitore stesso potesse essere fonte di contagio per il figlio rappresentava un’angoscia costante”. Alla fine, per fortuna, sono stati pochi i bambini che si sono infettati o che hanno avuto problemi legati a COVID-19. “I problemi, semmai – prosegue Zampino – sono emersi nell’assistenza per le complicanze acute; su 1.500 intervistati, circa 180 hanno segnalato che i figli hanno avuto un problema acuto e 80 di questi non hanno avuto accesso alle cure d’emergenza, spesso per paura di portare i figli in pronto soccorso”.
Didattica a distanza e malattie rare e disabilitanti sono un pessimo binomio. Non solo perché non tutte le famiglie dispongono di strumenti tecnologici opportuni (ne era privo il 13% degli intervistati), ma soprattutto perché circa un terzo di questi bambini non ha ricevuto materiale scolastico personalizzato. La costruzione del piano didattico non è stata quindi calata sulle possibilità del bambino. Una nota positiva è che solo il 6% dei bambini non è stato contattato dai propri insegnanti durante il lockdown. Le interruzioni della riabilitazione e della scuola in presenza sono state le principali preoccupazioni delle famiglie nel periodo del lockdown, addirittura superiori (in termini di risposte percentuali) a quella della sospensione della continuità terapeutica. “In una condizione di disabilità – commenta Zampino – la riabilitazione e la scuola sono strumenti terapeutici e le famiglie hanno avuto paura che la loro sospensione avesse potuto far perdere tutto quello che il bambino aveva acquisito fino a quel momento”.
Tra le necessità insoddisfatte del periodo, una minoranza delle famiglie (il 10% circa) ha segnalato criticità in termini di approvvigionamento dei farmaci e degli ausili (per tracheostomia, PEG e altre procedure mediche) e il 15% la mancanza di sostegno nella gestione del bambino. Ma ancora più forte è stato il disagio espresso dalle famiglie nel reperire informazioni riguardo le possibili complicanze associate alla condizione del figlio (problema segnalato da 1 intervistato su 5). La pediatria del territorio ha svolto un ottimo lavoro in questo frangente (il 93% non ha avuto problemi nel contattare il pediatra di famiglia) e ha fatto da ponte fino all’attivazione di una serie di servizi di teleconsulto con i centri di riferimento. “Le malattie rare – considera il professor Zampino – sono condizioni poco conosciute e gravate quindi anche da una mancanza di informazioni, non solo mediche ma anche e soprattutto di gestione nel quotidiano. Quando a questa condizione di base si aggiunge una noxa, una minaccia sconosciuta come COVID-19, la mancanza di informazioni diventa destabilizzante. Le famiglie con un figlio con malattia rara spesso non hanno il background culturale per gestire il quotidiano. Tutti sappiamo fare delle cose perché abbiamo un bagaglio culturale che guida le nostre azioni quotidiane. Per esempio, fare un bagnetto a un bambino non è un problema perché lo abbiamo appreso da nostra madre o perché abbiamo visto un tutorial su YouTube. Ma se il bambino ha la sindrome di Crisponi, cioè una difficoltà a controllare la temperatura, un bagnetto troppo caldo può ucciderlo”.
Le fonti alle quali si sono affidate le famiglie per reperire informazioni durante il lockdown sono state per lo più i media (36%) e i siti web internazionali (24%), seguiti dalle piattaforme social (20%) come Facebook, Twitter, WhatsApp e YouTube. “In quel periodo – ricorda Zampino – le famiglie non riuscivano a contattare i centri di riferimento, sia per le difficoltà di spostamento, sia perché molti centri erano stati chiusi, poiché le loro attività sono state considerate ‘elettive’. Per questa ragione, molti medici hanno iniziato a utilizzare il teleconsulto, a creare video per istruire le famiglie, a compiere trattamenti riabilitativi o azioni mediche, utili nella gestione del bambino e nella definizione del suo bilancio di salute. Al Gemelli abbiamo messo a punto un sistema di teleconsulto strutturato all’interno di una cartella clinica elettronica. Un’esperienza che potrebbe essere mantenuta in futuro, soprattutto per le famiglie che vengono da molto lontano”.
Sul fronte del vissuto emotivo delle famiglie, infine, a dominare la scena è stato il dualismo, solo apparentemente antitetico, di paura e speranza. “La speranza è il sentimento maggiormente segnalato dalle famiglie – conclude il professor Zampino – quello che è stato sempre presente. Perché la speranza è il carburante della resilienza di queste famiglie, quello che dà loro la forza di rispondere giorno dopo giorno a una prova personale difficile. E in fondo, il lockdown imposto da COVID-19 non è stato molto diverso dal loro quotidiano. Perché le famiglie con bambini con disabilità vivono normalmente una sorta di lockdown, con una vita sociale molto sacrificata”.
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