Intervista al prof. Michele Cavo, Direttore Istituto di Ematologia “Seràgnoli”, Università degli Studi di Bologna

Carfilzomib, primo inibitore irreversibile del proteasoma per il mieloma multiplo recidivato, è ora disponibile anche in Italia. Ci può spiegare qual è il suo innovativo meccanismo d’azione?
Carfilzomib è un inibitore del proteasoma di seconda generazione. Rispetto al bortezomib, il primo farmaco della medesima classe ad essere stato utilizzato nell’uomo, carfilzomib induce una più prolungata inibizione di una delle tre subunità (la subunità beta 5) del proteasoma, con conseguente maggiore attività antitumorale. Diversamente dal bortezomib, carfilzomib è privo di tossicità neurologica.

Il proteasoma è un complesso multienzimatico di forma cilindrica deputato alla degradazione di oltre l’80% delle proteine presenti all’interno delle cellule, in particolare di quelle mutate o strutturalmente anomale. Il blocco dell’attività proteolitica del proteasoma si traduce in un accumulo intracellulare di proteine che inducono la morte programmata delle cellule (apoptosi). Le cellule neoplastiche di un paziente con mieloma multiplo sono particolarmente sensibili all’inibizione dell’attività del proteasoma perché producono in grande quantità proteine (vale a dire, immunoglobuline) “tossiche”, perché esposte a mutazioni o ad errori di ripiegamento.

Quali sono le evidenze a sostegno dell’efficacia di carfilzomib, in particolare per quanto riguarda il prolungamento della sopravvivenza libera da progressione e la risposta completa?
Prima dell’introduzione del carfilzomib, le terapie approvate dall’Agenzia Regolatoria Europea EMA e rimborsate in Italia a carico del SSN per il paziente con mieloma multiplo ricaduto dopo un precedente trattamento, erano il bortezomib, associato o meno a desametasone, e la lenalidomide, un farmaco appartenente alla classe degli immunomodulatori, in combinazione con desametasone. Nello studio prospettico randomizzato di fase III ASPIRE, la combinazione carfilzomib-lenalidomide-desametasone è stata valutata comparativamente con lenalidomide-desametasone in pazienti con mieloma multiplo ricaduto dopo 1-3 precedenti linee di terapia. I risultati hanno dimostrato il beneficio offerto dalla terapia con carfilzomib-lenalidomide-desametasone rispetto a lenalidomide-desametasone in termini di un prolungamento di circa 9 mesi della sopravvivenza mediana libera da progressione di malattia (26.3 vs 17.6 mesi, rispettivamente) e di un aumento di circa 3 volte della probabilità di ottenere una remissione completa (31.8 vs 9.3%, rispettivamente).

Qual è il razionale dell’utilizzo di carfilzomib in associazione a lenalidomide e desametasone?
È stato in precedenza dimostrato che il bortezomib e la lenalidomide condividono, almeno in parte, i medesimi meccanismi di azione e che possono, pertanto, risultare tra loro sinergici. In particolare, entrambi i farmaci inducono la morte cellulare programmata attraverso l’attivazione di una proteina effettrice pro-apoptotica, la caspasi-8, e potenziano l’attività del desametasone. Sulla base di queste evidenze, e a seguito della validazione in studi di fase I e II dell’attività e sicurezza di carfilzomib in combinazione con lenalidomide, il regime a 3 farmaci comprensivo di carfilzomib-lenalidomide-desametasone è stato sottoposto a sperimentazione clinica di fase III nello studio ASPIRE.

Leggi anche “Mieloma multiplo: arriva in Italia il farmaco carfilzomib

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