Test genomici per il cancro

Alcune risposte da recenti pubblicazioni internazionali che si sono interrogate sulla profilazione genomica per la cura dei tumori

Sono la punta di diamante dell’oncologia di precisione, dal momento che sfruttano le più avanzate e innovative soluzioni tecnologiche allo scopo di elaborare informazioni preziose sul cancro: dalle modalità con cui si sviluppa, alla prognosi fino - ultime ma non per importanza - alle terapie da usare per contrastarlo. Stiamo parlando dei test genomici che, grazie ai progressi nei programmi di biologia molecolare, sono entrati sempre più in profondità nei protocolli diagnostici e terapeutici di svariati tipi di tumore. A volte, in maniera un po’ troppo semplicistica (e spesso errata), i test genomici vengono interrogati per sapere se si correrà o meno il rischio di ammalarsi di cancro: se per certi tumori la risposta è chiara, per altri non è così (occorre ricordare che tante forme di tumore derivano da una combinazione di fattori genetici e ambientali). Perciò viene da domandarsi quando e quanto serva sottoporsi a un test genomico. Soprattutto nel caso in cui l’interpretazione clinica del risultato non sia chiara.

Ad affrontare la questione è un interessante articolo pubblicato sull’American Cancer Society Journal - la rivista della società di oncologia statunitense - che cita il vantaggio derivato dalle tecnologie NGS (Next Generation Sequencing) nel prendere a bersaglio più geni nello stesso momento e identificare così mutazioni e alterazioni tali da innescare un processo neoplastico. Infatti, stando ai risultati di uno studio pubblicato sulla rivista Cellcirca l’8% dei pazienti affetti da cancro sarebbe portatore di una variante patogenetica (cioè una mutazione fortemente correlata alla probabilità di sviluppare cancro), e gran parte di essi non ne sarebbe nemmeno a conoscenza: facendo un rapido conto su queste percentuali emerge che ci potrebbero essere almeno 30mila persone ad avvalersi dell’aiuto di tecniche di sequenziamento di ultima generazione nell’ambito dei processi di diagnosi e cura.

Inoltre, identificare per tempo i geni alterati nel tumore apre la strada allo sviluppo di trattamenti personalizzati e aiuta a stilare un profilo genetico del rischio di sviluppare una data neoplasia: un obiettivo questo che si sono posti il Ministero della Salute e Alleanza contro il Cancro (AAC) quando hanno dato avvio allo studio GerSom il quale, grazie al sequenziamento del DNA, permetterà di indagare a fondo il genoma di oltre 2mila pazienti, cercando variabili legate a un alto numero di geni associati allo sviluppo di cancro.

Nel frattempo, le principali società scientifiche europee (European Society for Medical Oncology, ESMO) e internazionali (American Society of Clinical Oncology, ASCO) stanno già raccomandando l’utilizzo dei test genomici quali strumenti indispensabili, soprattutto per affrontare i tumori in fase avanzata. E mentre la ricerca scientifica non smette di occuparsi di potenziali nuovi biomarcatori, cresce il volume dei pannelli genetici che possono essere proposti anche dai laboratori privati. Purtroppo però alcune questioni irrisolte meritano una riflessione: occorre capire con maggior precisione il momento in cui poter eseguire la profilazione molecolare, conoscere le differenze tra i vari test per scegliere quelli in grado di dare risposta agli interrogativi clinici e, soprattutto, serve maggiore omogeneità nell’interpretazione dei dati. È, dunque, necessario fornire agli oncologi risorse e competenze sempre aggiornate per migliorare la comprensione del valore e delle implicazioni della profilazione genomica nella cura del cancro.

La formazione appare, pertanto, il punto di partenza più indicato e l’articolo uscito sull’American Cancer Society Journal si configura come una guida pratica verso la scelta della tecnologia di volta in volta più corretta da adottare: ogni metodo ha i suoi punti di forza e di debolezza perciò va posto in evidenza il quesito clinico da cui partire. Le tecniche NGS - come il sequenziamento dell’esoma o del genoma - permettono un’analisi completa con un notevole risparmio di tempo e costi e possono essere indicate in presenza di tumori molto eterogenei, nei quali differenti aree mostrano alterazioni genetiche distinte, con espressione di recettori tumorali differenti; oppure per identificare potenziali marcatori bersaglio di terapie mirate; o, ancora, per individuare specifiche anomalie del genoma (fusione genica o instabilità dei microsatelliti); e persino nel caso di tumori (ad esempio, il cancro del polmone) da cui sia difficile prelevare quantità sufficienti di materiale bioptico. “La diminuzione dei costi e l’accelerazione dei tempi di esecuzione degli esami, insieme ai progressi nell’analisi bioinformatica e alla standardizzazione delle conoscenze di base per l’interpretazione clinica dei risultati, rappresentano un argomento convincente per l’adozione della tecnologia NGS nella cura di precisione del cancro”, affermano gli autori. L’essenziale è conoscere i pro e contro di tutte le tipologie disponibili di test da considerare e scegliere in base al quesito diagnostico, senza peraltro allontanarsi dai principi contenuti nelle linee guida e nelle raccomandazioni stilate dalle società scientifiche e dagli esperti di patologia.

Rimane tuttavia in piedi la questione relativa a quale livello di informazione il test metta in evidenza. Dato per scontato che dati e risultati di analisi genetiche debbano esser collocati nel contesto di una consulenza genetica condotta da un esperto genetista sia in fase precedente all’esecuzione del test che in quella di interpretazione dei risultati, ci sono referti che riportano solo le mutazioni driver - cioè quelle necessarie a innescare la trasformazione di una cellula normale in una cellula cancerosa - e altri che elencano le varanti non patogenetiche in una sorta di appendice. Quando le mutazioni si generano in geni coinvolti in processi cellulari essenziali, come la regolazione della crescita cellulare, la riparazione del DNA, il controllo del ciclo cellulare e la segnalazione cellulare, diventa importante ricavare tutte le informazioni sul loro significato: perciò occorre saper classificare bene le mutazioni che cambiano il senso di un aminoacido - e di conseguenza possono avere un significato clinico decisivo. Se si aggiunge che esse rappresentano circa il 75% di tutte le mutazioni codificanti nel cancro si capisce come rappresentino un problema interpretativo tutt’altro che semplice.

Secondo uno studio pubblicato sulla rivista JAMA Oncologyl’aggiunta del sequenziamento dell’RNA ai test genetici sul DNA è un ausilio indispensabile per aumentare il livello di conoscenza di ogni singola variante e distinguere quelle di significato incerto da quelle patogenetiche. Inoltre, vari gruppi di studio nel mondo hanno messo a punto linee guida per affrontare le complessità delle mutazioni driver. Tali documenti forniscono un indirizzo nella raccolta dei dati provenienti da varie e diverse fonti per giungere a una conclusione univoca sullo stato di una data mutazione. Le fonti raccomandate includono database di campioni clinici, database di mutazioni tumorali, strumenti di predizione proteica in silico (per valutare il probabile impatto della mutazione sulla funzione della proteina) e l’analisi della letteratura pubblicata. La sfida nell’attuale pratica clinica rimane legata a come integrare i risultati di ognuna di queste diverse fonti di dati per costruire una metodologia oggettiva, accurata e riproducibile con cui determinare lo stato di ogni mutazione.

Alle mutazioni occorre infine dare un significato clinico - di tipo diagnostico o prognostico - allo scopo di integrarle al meglio nel percorso di cura dei malati. “I risultati del sequenziamento devono essere interpretati nel contesto della storia clinica, personale e familiare complessiva del paziente”, chiariscono gli autori; per questo serve una combinazione strategica e studiata delle informazioni genetiche e cliniche con l’esperienza medica. Alcune mutazioni sono associate a specifici trattamenti, mentre altre sono in fase di valutazione nei trial clinici e altre ancora possono indirizzare verso possibili interventi preventivi perciò richiedono un’estensione della consulenza genetica ai familiari del portatore. Come si può osservare sono molte le questioni su cui dibattere per meglio giungere all’integrazione dell’oncologia di precisione nella pratica medica e, ovviamente, è impossibile pensare di farlo da una prospettiva unilaterale ma bisogna estendere la discussione sul versante multidisciplinare e coinvolgere oltre ai genetisti anche i clinici, gli oncologi e i ricercatori che possano fornire il contributo necessario a implementare al meglio le informazioni derivanti dalla ricerca e dall’uso di tutte queste tecnologie all’avanguardia per lo studio del genoma.

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