Da un'analisi di studi non randomizzati emerge una maggiore incidenza di eventi cerebrovascolari associata all'uso di agalsidasi alfa

Lo scorso 29 giugno, su Osservatorio Malattie Rare abbiamo pubblicato i risultati di una revisione della Cochrane Library del 2016 (Clicca qui per leggere l'articolo), che aveva selezionato alcuni trial clinici nei quali venivano discussi i risultati prodotti dall'impiego della terapia di sostituzione enzimatica (ERT) in pazienti affetti da malattia di Fabry. Dall'indagine non era emersa una sostanziale differenza tra l'uso di ERT a base di agalsidasi alfa o agalsidasi beta, due distinte forme ricombinanti dell'enzima alfa-galattosidasi A.

Nella revisione Cochrane gli autori avevano sottoposto a valutazione i risultati di 9 studi clinici randomizzati e controllati con placebo, ottenendo un pool di 351 pazienti da cui estrapolare informazioni preziose sull'efficacia e la sicurezza della terapia di sostituzione enzimatica, che, ad oggi, risulta essere l'opzione di trattamento più innovativa e potenzialmente promettente per questa malattia rara.

La malattia di Anderson-Fabry è un raro disordine del metabolismo dei glicosfingolipidi innescato dal deficit dell'enzima alfa-galattosidasi A, e può avere severe conseguenze a danno di organi di fondamentale importanza, come il cuore, i reni o il sistema cerebrovascolare. Nei pazienti affetti da questa patologia sono stati registrati miglioramenti significativamente rilevanti grazie all'impiego della terapia di sostituzione enzimatica (ERT), tramite la quale viene infuso al soggetto l'enzima deficitario. Le moderne tecniche di ingegneria genetica hanno permesso di mettere a punto due forme distinte dell'enzima, denominate agalsidasi alfa e beta, oggetto di intensi studi in merito alla loro capacità di ridurre i depositi lisosomiali di globotriaosilceramide (Gb3) che sono alla base della sintomatologia e di migliorare la qualità di vita dei pazienti.

Come complemento alla citata revisione Cochrane, a marzo di quest'anno è stata pubblicata, sulla rivista PLoS One, un'ulteriore indagine, che ha fornito nuove conferme dell'efficacia della ERT. Rispondendo alla necessità di approfondimenti in materia, un'equipe internazionale di studiosi, della quale hanno fatto parte anche ricercatori che avevano partecipato al precedente studio della Cochrane, ha deciso di allargare la casistica di individui da esaminare, rivedendo un maggior numero di studi clinici al fine di fornire informazioni più dettagliate sulla sicurezza e sull'efficacia di questa rivoluzionaria terapia.

Nel nuovo lavoro, i ricercatori hanno selezionato 77 studi clinici, per un totale di 15.305 soggetti con malattia di Anderson-Fabry che avessero già riportato almeno un risultato clinico significativo in seguito a trattamento. I ricercatori hanno selezionato gli studi escludendo i trial randomizzati e controllati (RCT), già valutati dagli analisti della Cochrane, ed eseguito un'analisi di regressione lineare e una pooled-analysis dei dati. Gli studi presi in esame sono stati realizzati in diverse aree geografiche (Europa, Stati Uniti, Asia, America Centrale e Meridionale e Canada) e hanno messo insieme perlopiù soggetti di sesso maschile (la malattia osserva un meccanismo di trasmissione legato al cromosoma X) tra i 30 e i 40 anni, la maggior parte dei quali in terapia con agalsidasi beta (3.598 pazienti in 31 studi vs. 2.840 pazienti in 29 studi su agalsidasi-alfa e 8.865 pazienti in 20 studi di controllo).

I ricercatori sono giunti alla conclusione che l'impiego di agalsidasi beta si associa a un minor tasso di complicazioni, a livello renale, cardiovascolare e cerebrovascolare, rispetto all'assenza di trattamento, e a una più bassa incidenza di eventi avversi a livello cerebrovascolare rispetto all'uso di agalsidasi alfa. Al contrario, non è stata osservata una differenza statisticamente significativa nei tre bracci di trattamento rispetto alle cause di mortalità e al periodo di follow-up.

Nonostante la difficoltà di reperire pazienti e le differenze di dosaggio di agalsidasi alfa e beta, il risultato di maggior rilievo è senza dubbio l'efficacia della terapia di sostituzione enzimatica, che riduce sensibilmente i danni a carico dei maggiori organi toccati dalla malattia. Studi come questo affrontano molti ostacoli legati alla natura eterogenea della malattia, alla scarsità di pazienti e alla difficoltà di valutare nella stessa maniera i risultati di tutti i trial clinici coinvolti, ma contribuiscono a portare all'attenzione la necessità di continuare le indagini sulle nuove opzioni terapeutiche per le malattie rare. Allargando la casistica di indagine rispetto al lavoro precedentemente apparso sulla Cochrane Library, sono venuti a galla risultati che sottolineano la validità di questa strategia terapeutica e che, pur non evidenziando significative differenze nel tasso di eventi avversi tra agalsidasi alfa e beta, mostrano una ridotta incidenza di problematiche correlate alla malattia nel braccio di pazienti trattato con agalsidasi beta, a conferma del valore delle analisi di raffronto tra vari protocolli terapeutici.

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