Cervello

Nella malattia di Fabry il coinvolgimento del sistema nervoso centrale è stato riportato in circa un terzo dei pazienti, e tra i fattori di rischio per il Parkinson vi sono anche disfunzioni lisosomiali

Reggio Emilia – La malattia di Fabry è una sfingolipidosi, una patologia ereditaria da accumulo lisosomiale. La sua causa è un deficit dell'enzima lisosomiale alfa-galattosidasi A, codificato dal gene GLA, il quale è localizzato nel cromosoma X. È quindi una malattia legata all'X, che colpisce un maschio su 40.000, ma, a differenza di altre condizioni legate all'X, le donne portatrici di varianti patogene di GLA possono avere lo stesso coinvolgimento sistemico degli uomini e con la stessa gravità. Un altro problema che rende difficile stimare con precisione la prevalenza della patologia è che il grado di perdita della funzione di alfa-galattosidasi A può essere responsabile di due diversi fenotipi clinici: la malattia di Fabry “classica” e la forma “a insorgenza tardiva”.

Nella Fabry il coinvolgimento del sistema nervoso centrale non è raro: all'interno di uno studio di screening multispecialistico è stato riportato nel 34% dei pazienti. Le informazioni su questo coinvolgimento, però, sono per lo più indirette e si basano su eventi clinici (attacchi ischemici transitori, emorragie cerebrali, trombosi e infarti lacunari) e sugli esiti di neuroimaging. Finora, la ricerca scientifica si è concentrata in gran parte sulle manifestazioni cerebrovascolari della Fabry e molto meno sulle ulteriori manifestazioni neurologiche, che sono note anche in altre patologie lisosomiali, come la malattia di Gaucher.

Il progressivo aumento della sopravvivenza nei pazienti Fabry diagnosticati precocemente e le crescenti possibilità di trattamento hanno dato origine, in letteratura, ad alcuni report su una possibile associazione tra la stessa malattia di Fabry e un particolare fenotipo della malattia di Parkinson. Attualmente i dati in merito a questa teoria sono scarsi, ma è possibile ipotizzare i meccanismi molecolari di danno cellulare che supportano questa associazione: è ciò che ha fatto un gruppo di neurologi italiani in uno studio pubblicato sulla rivista Biomedicines. Si tratta di un tema che merita di essere approfondito, soprattutto in relazione alle attuali possibilità terapeutiche per la Fabry, che hanno modificato significativamente la storia naturale della malattia ma che non sono dedicate in modo specifico al sistema nervoso centrale.

Le terapie che sono state disponibili per un periodo di tempo più lungo, in particolare la terapia enzimatica sostitutiva (ERT), non attraversano la barriera emato-encefalica, con un'inevitabile implicazione per la gestione dei pazienti trattati, il cui coinvolgimento neurologico non è stato affrontato”, spiegano gli autori dello studio. “La terapia più recentemente approvata, il migalastat, ha invece il potenziale per attraversare la barriera emato-encefalica, ma i suoi effetti sul sistema nervoso centrale devono ancora essere approfonditi”.

La malattia di Parkinson è la patologia neurodegenerativa più frequente nella popolazione di tutte le età e lo studio dei fattori genetici che la determinano sta ampliando sempre più la definizione delle sue cause: il quadro che emerge dalle più recenti indagini è che specifiche varianti genetiche avrebbero un ruolo come fattori predisponenti, sui quali un 'second hit', genetico o non genetico, potrebbe agire come evento precipitante per lo sviluppo della malattia. “Le varianti patogene del gene GBA, che codifica per l'enzima lisosomiale glucocerebrosidasi (GCase), rappresentano il più comune fattore di rischio genetico per la malattia di Parkinson nella popolazione e rientrano in quest'ultimo gruppo”, proseguono i neurologi. “Alcune disfunzioni lisosomiali, comprese specifiche alterazioni enzimatiche come quella di GCase, risultano implicate nella patogenesi della malattia di Parkinson anche in assenza delle corrispondenti mutazioni geniche”.

La possibile associazione tra Fabry e Parkinson, basata su alterazioni lisosomiali e manifestazioni neurologiche che sembrerebbero accomunare entrambe le condizioni, resta comunque un tema da approfondire, anche alla luce di una maggiore prevalenza di segni e sintomi extrapiramidali osservati in un sottogruppo di pazienti con malattia di Fabry. Ulteriori studi dovranno quindi chiarire le dinamiche biologiche e fisiopatologiche di quest'ipotesi, che attualmente presenta ancora molti lati oscuri.

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