La video-intervista al Prof. Francesco Passamonti (Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico di Milano)
Il midollo osseo può essere considerato la sede del rinnovamento dell’organismo, dal momento che contiene le cellule staminali che, maturando, finiscono per trasformarsi nei principali elementi del sangue (globuli bianchi, rossi e piastrine). Perciò non si deve sottovalutare una malattia come la mielofibrosi, che provoca la sostituzione del midollo osseo con tessuto fibroso, causando anemia e aumento delle dimensioni della milza (splenomegalia). Nel corso di un media tutorial tenutosi a Verona alla fine dello scorso aprile, il prof. Francesco Passamonti, Ordinario di Ematologia all’Università degli Studi di Milano e Direttore della S.C. di Ematologia presso la Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico di Milano, ha spiegato come si presenta la mielofibrosi e come effettuare correttamente la diagnosi (clicca qui o sull’immagine dell’articolo per guardare la video-intervista).
“Si tratta di una neoplasia mieloproliferativa, con caratteristiche di proliferazione delle cellule che vengono prodotte dal midollo osseo e poi vanno nella milza”, precisa Passamonti. “Ecco perché nei pazienti si osserva spesso la splenomegalia e insorgono fenomeni di leucocitosi o leucopenia. Il 40-60% di essi sviluppa anemia durante il follow-up e fino al 10% va incontro a piastrinopenia severa”. Tra i sintomi costituzionali spiccano la perdita di peso, la febbre, le sudorazioni notturne, il prurito e una generale debolezza, manifestazioni peraltro comuni anche ad altre neoplasie onco-ematologiche; ad essi si aggiungono anemia, leucocitosi, trombocitopenia e dolore osseo-articolare.
“Occorre riconoscere il paziente sospetto con questa presentazione clinica e giungere in maniera celere a una diagnosi definitiva”, prosegue Passamonti. “Il percorso diagnostico ha inizio con la valutazione delle caratteristiche dell’emocromo e dello striscio di sangue periferico. Fondamentale risulta la valutazione della biopsia osteo-midollare, che si caratterizza per una cellularità variabile, a volte aumentata altre ridotta, e per un’alterazione dei megacariociti [i precursori delle piastrine, N.d.R.]. Infine si guarda al grado di fibrosi, da cui deriva il nome della malattia”. Un passaggio obbligato - insieme a quello della valutazione istologica - è la ricerca delle principali mutazioni (nei geni JAK2, MPL e CALR) associate alla mielofibrosi, che determinano il fenotipo di malattia; nei pazienti che non presentino alcuna di queste alterazioni è opportuno procedere con un test di sequenziamento di ultima generazione (NGS) per ricercare eventuali altre mutazioni sospette (ad esempio nel gene ASXL1, che è presente nel 20-30% dei pazienti).
“Con questo pacchetto di informazioni si elabora il modello prognostico che tiene conto delle condizioni cliniche dell’individuo e dei risultati della biopsia osteo-midollare”, conclude Passamonti. “Così facendo siamo pronti a discutere il percorso terapeutico con il paziente”.
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