A testimoniarlo è Giampiero, che prima ha dovuto affrontare la policitemia vera e poi la mielofibrosi
Giampiero Garuti è uno dei molti pazienti affetti da neoplasie mieloproliferative, un gruppo di malattie oncologiche del sangue la cui origine è ascrivibile a un’aberrazione delle cellule staminali che generano i globuli rossi, i globuli bianchi e le piastrine. Per anni, Giampiero si è battuto con le conseguenze di questo gruppo di malattie, passando da un’iniziale diagnosi di trombocitemia essenziale a una di policitemia vera, fino a quella di mielofibrosi. “Il mio calvario clinico è iniziato circa venticinque anni fa, con dei semplici esami del sangue per la ricerca del Citomegalovirus”, spiega Giampiero. “I risultati emersi nel quadro generale hanno messo in evidenza un valore elevato di ematocrito e una marcata iperpiastrinemia (alto livello di piastrine nel sangue). Tuttavia, queste anomalie non furono considerate significative e, pertanto, furono ignorate dal mio medico di famiglia”.
Nel decennio successivo, Giampiero, seppure in buone condizioni di salute generale, iniziò a soffrire di forti cefalee, che si presentavano con sempre maggior frequenza e che neppure ricorrendo agli analgesici si risolvevano. In questo contesto, la sua attenzione si spostò sulle probabili cause del mal di testa, passando attraverso la consulenza di neurologi, gastroenterologi e osteopati, ma senza mai trovare riscontro. Fu soltanto quando, superata la soglia dei 50 anni, Giampiero decise di eseguire un controllo del PSA (antigene prostatico specifico) che la valutazione dell’esame emocromocitometrico, eseguito nel medesimo contesto, portò di nuovo alla luce una significativa iperpiastrinemia.
“Mi fu suggerito di sottopormi a una visita ematologica presso l’Istituto di Ematologia e Oncologia medica “L. e. A. Seragnoli” di Bologna, nel corso della quale mi fu diagnosticata la trombocitemia essenziale, diagnosi che in seguito fu corretta in policitemia vera”, prosegue Giampiero. “A quel punto, i medici decisero di somministrarmi la cardioaspirina e notai un netto miglioramento della cefalea che, nel giro di qualche tempo, scomparve”. Considerata l’età e la sua storia clinica, Giampiero fu inquadrato come paziente a basso rischio e avviato al trattamento con cardioaspirina, ma il successivo riscontro di un ingrossamento della milza (splenomegalia) determinò un cambiamento delle condizioni, richiedendo l’avvio di un ciclo di salassi, per contenere l’ematocrito, e il trattamento con idrossiurea.
La splenomegalia, col trascorrere degli anni, divenne via via più importante e iniziò ad accompagnarsi a un fastidioso senso di affaticamento, finché nel 2007 la malattia entrò in quella che viene definita 'fase spenta'. L’anno successivo, la diagnosi fu convertita in quella di mielofibrosi: infatti, nel 15-20% dei malati di policitemia vera, dopo un tempo mediano di 11 anni, si osserva l’insorgenza di mielofibrosi post-policitemia vera, una condizione contraddistinta dalla presenza di splenomegalia, anemia e un ampio ventaglio di sintomi costituzionali. “In quel periodo, i sintomi della malattia si fecero più distinti”, conferma Giampiero, che ricorda di aver sperimentato febbre alta, sudorazioni notturne, dolori articolari e calo di peso, oltre a un costante senso di spossatezza che accompagna questa classe di malati. “Nel 2009 iniziai una terapia con un farmaco sperimentale, tuttavia l’efficacia limitata e gli effetti collaterali importanti indussero i medici a sospenderla; nel 2011 iniziai una nuova sperimentazione con ruxolitinib che, fin dai primi mesi, dimostrò un’ottima efficacia nel ridurre la sintomatologia e, soprattutto, le dimensioni della milza, a fronte di effetti collaterali piuttosto contenuti”.
Purtroppo, dopo 7-8 mesi dall’inizio del trattamento con ruxolitinib, la milza di Giampiero tornò ad assumere dimensioni talmente preoccupanti da indurre i medici a proporre al paziente di sottoporsi al trapianto allogenico di cellule staminali ematopoietiche. “Prima di poter affrontare questa procedura fui sottoposto a splenectomia”, riferisce Giampiero. “Mi fu asportata una milza del peso di circa 7 kg”. Di per sé, questo dato basterebbe già a comprendere il tormento che il paziente ha sopportato nei vent’anni precedenti all’operazione. In seguito, Garuti fu sottoposto al trapianto di cellule staminali ematopoietiche, che non ebbe, fortunatamente, gravi complicanze. La scelta di effettuare questo intervento non è stata semplice, soprattutto per un paziente di 65 anni nelle condizioni di salute di Giampiero, poiché una procedura così invasiva rischia di accompagnarsi a effetti collaterali non trascurabili, quali la malattia da rigetto verso l’ospite (GHVD). “In seguito alle dimissioni dal reparto ho continuato ad assumere molti farmaci, soprattutto cefalosporine antirigetto e cortisonici”, conferma Giampiero. “I primi mesi dopo il trattamento non sono stati esenti da complicazioni, quali frequente stanchezza, episodi febbrili, malessere generale e anche uno stato anemico persistente. Ho inoltre sperimentato la comparsa di una bronchite cronica ostruttiva tutt’ora persistente, seppure in forma lieve”.
A quattro anni dal trapianto, le condizioni di salute di Giampiero sono decisamente migliorate, tanto che, di recente, ha potuto riprendere addirittura le escursioni in montagna. “Oggi non assumo più farmaci e ho una qualità di vita eccellente”, conclude Giampiero. “Riflettendo sulla mia esperienza, mi rendo conto di quale valore ricopra un dialogo esauriente, completo e confortante fra medico e paziente. Per questo sono convinto che l’attività svolta da AIL e dal Gruppo AIL Pazienti MMP PH- sia determinante per favorire questa comunicazione e colmare le distanze, incidendo profondamente sulla qualità di vita di noi pazienti”.
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