A metà degli anni ’80 i Van Halen hanno fatto scatenare un’intera generazione sulle note della loro hit, "Jump", e oggi a far ballare di gioia molti pazienti con mielofibrosi sono i risultati dello studio "JAK Inhibitor Ruxolitinib in Myelofibrosis Patient" - più semplicemente, JUMP - pubblicati sulla rivista Haematologica, che evidenziano il livello di efficacia e tollerabilità di Ruxolitinib anche nei pazienti affetti da mielofibrosi classificati come Intermedio-1 secondo il modello prognostico IPSS.
Del vantaggio derivato dalla somministrazione di Ruxolitinib a questa categoria di pazienti si discute da qualche tempo ma la presentazione dei dati di JUMP al 23° Congresso EHA di Stoccolma ha conferito un’aura di ufficialità al dibattito. Sono state discusse, infatti, le analisi di efficacia e sicurezza di questo studio clinico di Fase III dal nome accattivante, che va a completare in modo naturale l’opera avviata con i trial clinici COMFORT 1 e 2. “Gli studi COMFORT sono quelli registrativi che hanno confrontato due popolazioni di pazienti, una trattata con Ruxolitinib e una trattata con placebo o con la migliore terapia disponibile”, spiega il prof. Guido Finazzi, responsabile Unità Semplice Malattie Mieloproliferative Croniche della U.O.C. di Ematologia dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo. “Essi rappresentano il gradino più alto dell’evidenza medica accettata e hanno certificato il miglioramento derivato dall’uso di Ruxolitinib in due aspetti importanti della mielofibrosi che sono il controllo della splenomegalia e dei sintomi sistemici della malattia”. Tuttavia, i pazienti inclusi in questi due trial hanno continuato ad essere osservati anche all’interno di altri studi che hanno indicato come Ruxolitinib sul lungo periodo possa produrre un miglioramento statisticamente significativo anche della sopravvivenza. Lo studio JUMP si colloca esattamente in questo contesto.
“È uno studio in aperto, senza una randomizzazione, dotato di un solo braccio di trattamento, quello con Ruxolitinib”, continua Finazzi. “Lo studio, supportato da Novartis, è nato con la finalità di consentire ai pazienti di ricevere Ruxolitinib nel corso di un arco temporale più lungo, compreso tra l’elaborazione dei risultati dei due studi COMFORT e l’approvazione commerciale del farmaco. È, pertanto, uno studio che completa il percorso dei COMFORT e rivela la sua utilità includendo oltre mille pazienti. Inoltre, il JUMP è stato eseguito nella realtà clinica di tutti i giorni, arruolando pazienti non selezionati”. Nello studio JUMP sono stati infatti inclusi 1144 pazienti di età superiore a 18 anni, con una diagnosi di mielofibrosi primaria o secondaria, classificati a rischio alto, Intermedio-2 e, per la prima volta, Intermedio-1, secondo il sistema IPSS (International Prognostic Scoring System). Sono stati arruolati anche pazienti con un conteggio delle piastrine basale di 50 x 109/L e proprio le differenze nella conta piastrinica sono stati determinanti nella scelta della dose di farmaco iniziale.
L’obiettivo principale dello studio è stata la valutazione della sicurezza e della tollerabilità di Ruxolitinib e i dati analizzati hanno confermato anche in questa coorte di soggetti quanto rilevato nella popolazione degli studi COMFORT: anemia e trombocitopenia sono stati i principali eventi avversi di tipo ematologico registrati, tuttavia essi sono stati gestiti senza l’insorgenza di ulteriori problematiche nella routine clinica. Alle settimane 24 e 48 di studio, rispettivamente il 57% e il 62% dei pazienti ha mostrato una riduzione delle dimensioni della milza uguale o superiore al 50% rispetto ai valori di partenza. Circa due terzi dei pazienti ha mostrato una riduzione del volume della milza uguale o superiore al 25% e quasi l’80% dei pazienti ha presentato questa riduzione dopo circa 4 settimane. Tali risultati sono anche migliori nei pazienti che hanno ricevuto una terapia a base di farmaci che stimolano l’eritropoiesi. Parallelamente è stato osservato anche un miglioramento dei sintomi generali della malattia (stanchezza, perdita di peso, sudorazione notturna e prurito) che si è mantenuto nel tempo. Infine, per la prima volta l’analisi si è rivolta ai pazienti IPSS a rischio Intermedio-1. L’età mediana in questo sottogruppo di pazienti è stata di 62 anni (circa 6 in meno rispetto alla popolazione generale) e il profilo degli eventi avversi osservati si è confermato in linea con quello degli altri pazienti. Il livello medio di emoglobina nei pazienti Intermedio-1 è sceso rispetto al valore di base nel corso delle prime 8-12 settimane ed è tornato a salire intorno alla settimana 24, mentre il conteggio delle piastrine è sceso fin dalle prime 4 settimane ed è rimasto costante nel tempo. Anche in questo gruppo di pazienti è stata registrata una diminuzione delle dimensioni della milza (alla settimana 72, il 78% dei pazienti ha evidenziato una riduzione del volume della milza uguale o superiore al 50%) con miglioramento del quadro sintomatico.
Tra i fattori che, nei pazienti con mielofibrosi in terapia con Ruxolitinib, possono determinare una migliore risposta sotto il profilo delle dimensioni della milza, c’è proprio un trattamento precoce a un dosaggio più elevato. “E’ importante indagare gli effetti del farmaco su una popolazione che comprenda anche pazienti a rischio Intermedio-1”, conclude Finazzi. “Inoltre, lo studio JUMP, pur non occupandosi specificamente della sopravvivenza dei pazienti, afferma chiaramente che i benefici del farmaco sulla splenomegalia e sul contenimento dei sintomi sistemici osservati in coorti di pazienti selezionati si possono applicare anche ai pazienti non selezionati”. Un messaggio che sicuramente farà saltare di gioia tanti malati.
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