Jaqueline Veit (Associazione Italiana Endometriosi): "La diagnosi anche dopo 7 anni. La patologia è cronica e disabilitante, chiediamo un intervento legislativo a tutela delle donne che ne sono affette"
“Si stima che circa il 10-17% delle donne in età fertile, circa una donna su dieci, soffra di endometriosi: parliamo di 3 milioni di donne solo in Italia. – A spiegarlo è Jaqueline Veit, Presidentessa dell’associazione AIE (Associazione Italiana Endometriosi) fondata nel 1999 per rispondere alle tante richieste delle donne italiane - Rispetto alla fondazione dell’AIE, grazie al lavoro delle associazioni di pazienti, la conoscenza dell’endometriosi è migliorata, tuttavia rimane ancora un forte retaggio culturale e un certo imbarazzo rispetto ad una malattia che mina il ruolo biologico della donna.”
Qua 'è stato il punto di partenza dell'associazione e quali sono stati i vostri primi obiettivi?
"Come è capitato ad altre donne, l’endometriosi è entrata nella mia esistenza senza bussare alla porta. Ho dovuto guardarla in faccia e accettarla come compagna di vita. Mi sono chiesta: come posso trasformare qualcosa di apparentemente negativo in qualcosa di positivo? Mi resi conto che dovevano esserci là fuori migliaia di donne che avevano a loro volta bisogno di sostegno e di maggiori informazioni sull’endometriosi. Prima della fondazione dell’AIE infatti in Italia non esisteva nulla per noi donne affette dalla malattia. Dopo aver condotto una ricerca approfondita sui siti Internet italiani ed essermi ritrovata a mani vuote, decisi di creare un sito dedicato, non solo allo scopo di fornire informazioni di base sull’endometriosi, ma anche per raccontare le nostre storie e fornire suggerimenti su come affrontare le difficoltà giorno per giorno, nella speranza che altre donne nella mia stessa situazione potessero sentirsi meno sole. Le persone che mi contattavano attraverso il sito divennero sempre più numerose, e quindi da questo alla fondazione dell’Associazione Italiana Endometriosi (AIE) Onlus il passo è stato breve. Negli anni i risultati sono stati tangibili: abbiamo portato sostegno e informazioni a milioni di donne, abbiamo collaborato attivamente con la classe medica che è diventata più sensibile alle dinamiche emotive delle pazienti e abbiamo richiamato l’attenzione delle istituzioni sulla malattia, che è stata protagonista di un’indagine conoscitiva del Senato a cui abbiamo partecipato come consulenti per il punto di vista delle pazienti."
Quali sono le principali necessità delle donne affette da questa patologia?
"L’endometriosi è una malattia che interferisce con lo svolgimento delle normali attività quotidiane, con la carriera lavorativa, alcune ragazze non riescono a completare il percorso di studi, per diverse donne invece l’endometriosi è addirittura invalidante. Quello noi donne richiediamo con forza è una intervento legislativo che consideri questo e che sappia tutelarci, tenendo conto che l’endometriosi è una patologia cronica e in quanto tale necessita di percorsi diagnostico-assistenziali che possano assistere noi donne lungo tutto il nostro percorso con la malattia: dalla diagnosi, alle indagini mediche fino alle cure, tenendo conto anche della necessità di un supporto psicologico. Rispetto a quest’ultimo punto, per colmare il vuoto in questo momento lasciato vuoto dalle politiche sanitarie, abbiamo messo a punto dei programmi di self management che in tutta Italia stanno riscuotendo molto successo, utili per fornire a noi donne strumenti di gestione del corpo, oltre che della mente. Questi programmi fanno risparmiare molte risorse alle casse statali perché una donna sostenuta e messa nella condizione di avere gli strumenti per gestire al meglio la propria condizione di salute, ricorre meno all’intervento medico ed è più collaborativa."
Quali sono i vostri impegni attuali e gli obiettivi futuri?
"Continuare a lavorare affinché l’endometriosi venga sempre più conosciuta e diventi parte del patrimonio culturale di ogni persona, in modo che possa essere riconosciuta tempestivamente in caso di sintomi sospetti, infatti attualmente si stima un ritardo diagnostico di circa sette anni. Inoltre per noi è importante che ogni donna possa avere la migliore qualità di vita con cure adeguate, sostegno psicologico e una tutela completa."
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