HIV e AIDS sono fra le patologie più pericolose e distruttive con cui l’umanità si è confrontata, con gravi conseguenze non solo dal punto di vista della salute pubblica, ma anche a livello sociale ed economico. Dall’inizio della pandemia, 30 anni fa, ad oggi, sono 25 milioni le persone che hanno perso la vita a causa dell’AIDS e delle malattie ad essa correlate, e si stima che siano 33,3 milioni gli individui che convivono con l’HIV (PLHIV).
HIV
Sta per Virus da Immunodeficienza Umana ed è l’agente eziologico dell’AIDS. Il virus distrugge le cellule del sangue che sono indispensabili per il corretto funzionamento del sistema immunitario, la cui funzione è di difendere l’organismo dalle malattie.
AIDS
È l’acronimo di Sindrome da Immunodeficienza Acquisita e si manifesta quando il sistema immunitario è talmente indebolito dall’HIV che l’individuo è soggetto a un gran numero di malattie o infezioni, denominate “opportunistiche”.

Il test HIV
Il virus può essere individuato tramite l’analisi di un campione di sangue o di mucosa orale: se il campione contiene gli anticorpi HIV – proteine prodotte dall’organismo nel tentativo di vincere l’infezione – l’individuo è considerato sieropositivo o positivo all’HIV. Attualmente sono disponibili diversi test per l’HIV rapidi, in grado di fornire i risultati in meno di 30 minuti, ma la conferma della sieropositività richiede gli esami del sangue. Un adeguato consulto antecedente e posteriore al test può aiutare la persona a individuare il proprio livello di rischio e a sviluppare strategie di adattamento a un eventuale risultato positivo1.
Nel caso l’individuo sia consapevole di essere infettato dal virus HIV, può eseguire un test del carico virale per determinarne il materiale genetico e la sua quantità nel sangue. Tale test rappresenta uno strumento importante nella gestione clinica della malattia da HIV.

La trasmissione dell’HIV
Il virus non sopravvive fuori dall’organismo, per cui non può essere trasmesso attraverso contatti casuali e ordinari, nè è trasmesso da zanzare o altri insetti. L’HIV si propaga primariamente tramite rapporti sessuali non protetti, vaginali o anali, con una persona sieropositiva, usando aghi, siringhe o altri strumenti iniettivi contaminati e, meno comunemente, via trasfusione di sangue infetto o di agenti coagulanti, nei Paesi dove il sangue non è sottoposto al controllo degli anticorpi HIV. I bambini nati da madri sieropositive possono a loro volta essere contagiati prima o durante la nascita e anche attraverso l’allattamento.

Le infezioni opportunistiche (OLS)
Sono patologie causate da microrganismi che normalmente non colpiscono le persone con un sistema immunitario sano. Le più comuni nelle persone che convivono con l’HIV e l’AIDS sono:
* Candidosi, infezione fungina che colpisce bocca, gola, polmoni e vagina;
* Criptosporidiosi, infezione parassitaria che colpisce le cellule epiteliali del tratto gastrointestinale, l'epitelio dei condotti biliari e del tratto respiratorio;
* Meningite criptococcica, infezione fungina delle membrane che avvolgono il cervello e il midollo spinale;
* Citomegalovirus, virus della famiglia degli herpes che può causare infezioni in molti organi del corpo umano, sebbene le persone con HIV siano più suscettibili ad infezioni alla retina;
* Herpes simplex, infezione frequente, che può causare herpes genitale, ma che per gli individui con HIV può essere ancor più frequente e grave;
* Mycobacterium avium complex, infezione batterica che dà febbre ricorrente, problemi digestivi e grave perdita di peso;
* Polmonite da Pneumocystis carinii, conosciuta anche come polmonite da Pneumocystis iiroveci, un’infezione fungina ai polmoni che può essere fatale;
* Toxoplasmosi, infezione parassitaria che può colpire diverse parti del corpo e più frequentemente il cervello;
* Tubercolosi, infezione batterica che attacca i polmoni e può causare meningite, principale causa di morte fra coloro che sono colpiti dal virus: circa un terzo delle persone che convivono con l’HIV sono affette da questa patologia.

HIV/AIDS: i numeri
Ogni giorno più di 7.000 individui nel mondo contraggono l’infezione HIV e più di 4.900 muoiono a causa dell’AIDS e delle patologie ad essa correlate: dall’inizio dell’epidemia nel 1981, oltre 60 milioni di persone sono state infettate e circa 30 milioni sono decedute.
Alla fine del 2008 le nuove infezioni da HIV hanno registrato un declino del 30 per cento rispetto al picco epidemico del 1996. Anche il numero dei decessi ad esse correlate è diminuito, grazie alla maggiore disponibilità delle terapie antiretrovirali.
Rispetto ai dati del 2001, le nuove infezioni sono rimaste stabili in: America Latina, Caraibi, Medio Oriente, Nord America, Nord Africa ed Europa occidentale. Va rilevato che l’Asia orientale ha visto declinare del 25 per cento il numero delle nuove infezioni. L’Europa e l’Asia centrale sono le uniche regioni che registrano una prevalenza dell’HIV in crescita, con un incremento del 66% del numero di persone che convivono con il virus (PLHIV, people living with HIV) nel periodo tra il 2001 e il 2009: l’Ucraina e la Federazione Russa sono quelle maggiormente colpite, quest’ultima con 980.000 PLHIV.
Secono i dati UNAIDS, UNICEF, WHO, quasi il 97 per cento delle persone colpite dal virus vivono in Paesi a reddito basso e medio. L’Africa sub-sahariana continua ad essere la più gravemente colpita a livello globale, con il 68 per cento delle PLHIV, delle quali il 61 per cento sono donne, e il 72 per cento dei decessi nel 2008. Dei circa 16,6 milioni di minori di 18 anni che sono rimasti orfani a causa dell’AIDS, intorno ai 14,8 milioni vivono in questa regione africana, così come il 92 per cento dei 2,5 milioni di bambini che sono stati colpiti dal virus nel mondo.

Le terapie
La medicina ha fatto importanti passi avanti nell’ambito del trattamento e della prevenzione ma l’eradicazione del virus non è ancora disponibile. Tuttavia, esistono dei farmaci che interferiscono con la replicazione del virus, chiamati antiretrovirali (ARV), riuscendo ad abbassare il livello della carica virale nel sangue, fino al punto di non essere più individuabile attraverso le analisi cliniche.

Attualmente sono disponibili cinque tipi di ARV:
* Inibitori Nucleosidici della Trascrittasi Inversa (NRTIs, Nucleoside Reverse Transcriptase Inhibitors): bloccano la replicazione dell’HIV interferendo con una proteina chiamata Trascrittasi Inversa (RT, Reverse Transcriptase), essenziale per la riproduzione del virus.
* Inibitori Non-Nucleosidici della Trascrittasi Inversa (NNRTIs, Non-Nucleoside Reverse Transcriptase Inhibitors): anche questi inibitori bloccano la RT ma con modalità lievemente differenti.
* Inibitori della Proteasi (PIs, Protease Inhibitors): bloccano le funzioni di una proteina, la proteasi, indispensabile alla riproduzione dell’HIV.
* Inibitori d’Entrata (EIs, Entry Inhibitors)): bloccano il virus impedendo che entri nelle cellule target. Esistono due Inibitori d’Entrata in commercio: un Inibitore della Fusione e un antagonista del corecettore CCR5, presente su molte cellule che il virus può infettare.
* Inibitori delle Integrasi (IIs, Integrase Inhibitors): impediscono all’HIV di integrare il suo messaggio genetico nel genoma della cellula ospite, convertendo il proprio RNA in DNA. Attualmente nessun inibitore delle integrasi è in commercio.
* Terapia Antiretrovirale Altamente Attiva (HAART, Highly Active Antiretroviral Therapy): è una modalità terapeutica antiretrovirale che si giova di tre o più ARV nel medesimo regime. HAART interferisce con l’abilità del virus di replicarsi, consentendo al sistema immunitario dell’organismo colpito di recuperare la sua capacità di produrre le cellule bianche necessarie a rispondere adeguatamente alle infezioni opportunistiche. L’uso del regime terapeutico HAART ha prodotto un sensibile abbassamento della morbilità e della mortalità connesse al virus HIV e alle sue complicanze2.

Per ognuno di questi trattamenti farmacologici, la compliance del paziente e la sua stretta aderenza al programma terapeutico è un fattore essenziale per preservare più a lungo possibile le opzioni di cura.
Alla fine del 2009, circa 5,2 milioni di persone residenti in Paesi a basso o medio reddito, corrispondenti a un terzo delle persone che hanno bisogno di trattamento medico, hanno avuto accesso alla terapia antiretrovirale.
Nel medesimo anno il 53 per cento delle donne in gravidanza, sempre di Paesi a basso o medio reddito, hanno ricevuto ARV per prevenire la trasmissione dell’infezione ai loro figli: nel 2004 la percentuale era solo del 10 per cento. Ciononostante, solo il 25 per cento delle donne incinte hanno avuto accesso al test HIV.
Sempre nel 2009, c’è stato un ulteriore aumento della percentuale dei bambini che sono stati trattati con ARV: dal 7 per cento del 2005, al 22 per cento nel 2008, per arrivare al 28 per cento attuale.
Il problema della diffusione del test HIV permane: nel 2009, in 54 Paesi, solo il 15 per cento dei bambini nati da madri sieropositive ha eseguito il test nei primi due mesi di vita. La proporzione delle persone che affermano di aver eseguito un test HIV è più alta tra gli adulti rispetto ai bambini, e la conoscenza del virus rimane inadeguata, dal momento che neanche il 40 per cento degli individui con HIV è a conoscenza del suo stato.
Si stima che 30 dei 60 milioni di infezioni previste entro il 2015 potrebbero essere individuate attraverso il test.

L’annoso problema della presentazione tardiva (late presentation)

Una delle caratteristiche peculiari e preoccupanti del quadro epidemiologico relativo all’HIV è la mancata consapevolezza della patologia: nella letteratura clinica i late presenters sono pazienti che presentano una bassa percentuale di cellule CD4 (meno di 200/mm) o che fanno passare più di 6 mesi tra l’individuazione del virus e l’inizio del trattamento o, più semplicemente, coloro che accedono alle cure in notevole ritardo.
Sono ancora numerose le persone colpite dal virus che non eseguono il test fino a che la malattia si manifesta e i risultati positivi delle cure divengono difficili da raggiungere.
In Europa occidentale, oltre il 45% delle persone con HIV non esegue un controllo se non quando la malattia è ormai in essere.
Queste le percentuali dei Paesi europei:
* Spagna: il 28 per cento dei pazienti esegue il primo test HIV immediatamente prima della diagnosi di AIDS;
* Germania: il 30 per cento dei pazienti riceve una diagnosi con un numero di cellule CD4 inferiore a 200/mm; nella stessa condizione si trovano il 33 per cento dei pazienti nel Regno Unito, il 38 per cento in Francia, e il 39 in Italia;
* Svezia: il 45 per cento dei pazienti esegue un test HIV meno di tre mesi prima di ricevere una diagnosi di AIDS.
Percentuali che purtroppo sembrano in incremento, a testimonianza del perdurare della percezione di stigma connessa alla malattia e della mancanza di consapevolezza dei benefici e dei risultati positivi ottenuti con le nuove terapie antiretrovirali.

L’uso non convenzionale dei farmaci antiretrovirali
“La terapia è prevenzione”: in questa frase di Julio Montaner, ex Presidente dell’International AIDS Society e Direttore del British Columbia Centre for Excellence in HIV/AIDS di Vancouver, sta il cuore della rivoluzione che parte da Roma e che indica la via da seguire.
La rivoluzione infatti consiste nell’assoluta evidenza del fatto che oggi non è più pensabile trattare e concepire in modo disgiunto la strategia di prevenzione dalla strategia di terapia. La via maestra per il futuro risiede in quello che può esser definito l’uso non convenzionale del farmaco, cosa che non esclude ma integra gli altri sistemi “storici” di prevenzione, quali il mezzo di barriera – l’utilizzo del preservativo – e l’impatto positivo della circoncisione maschile.
È stato calcolato che la sola diffusione estensiva dei mezzi di prevenzione abituali potrebbe esser in grado di ridurre del 50 per centol’incidenza dell’HIV. Ma in zone ad elevata endemia – ma anche ovunque – sono necessari e oggi individuabili nuovi strumenti di prevenzione per contrastare la diffusione del virus.
I nuovi strumenti di cui parliamo sono costituiti dai microbicidi, dalla cosiddetta PrEP (profilassi pre-esposizione) e dalla strategia “treatment as prevention”.
A partire da osservazioni in animali, si è notato che sarebbe stato possibile ridurre il rischio di trasmissione assumendo antiretrovirali prima di esser esposti al virus. Al momento sono 8 le sperimentazioni cliniche in corso per valutare l’efficacia degli antiretrovirali nel ridurre il rischio di trasmissione.
I microbicidi sono composti che possono avere diversa formulazione, ma per lo più si tratta di gel. Molti di questi microbicidi in fase di studio sono pensati per un uso vaginale, ma sono in fase di messa a punto anche microbicidi rettali.
Tra gli studi “storici” e di successo nelle sperimentazioni dei microbicidi, lo studio CAPRISA che ha utilizzato un gel vaginale a base di tenofovir all’1 per cento ha dimostrato la possibilità per le donne di ridurre il rischio di contrarre il virus del 39 per cento e del 54 per cento se l’uso del gel era continuativo.
Lo studio CAPRISA ha mostrato l’efficacia concettuale duplice dell’approccio: l’impiego degli antiretrovirali per prevenire la trasmissione sessuale dell’HIV (come accade quando vengono impiegati per impedire la trasmissione verticale del virus da madre a figlio) e l’efficacia dell’uso di un gel vaginale a tal fine. Ulteriori studi daranno forma a questo tipo di strategia.

Un altro approccio è costituito dall’assunzione preventiva per via orale di antiretrovirali, ad esempio in coppie discordanti. Al Congresso di Roma questo tipo di approccio verrà discusso presentando i risultati, già anticipati ai media di tutto il mondo, di due studi condotti in Kenya, in Uganda e Botswana nel contesto del progetto "Partners PrEp". I risultati mostrano che l’impiego di antiretrovirali usati sino ad ora per trattare l'infezione, se somministrati ai sieronegativi partner di persone sieropositive, sono in grado di prevenire dimezzando e più le possibilità di contrarre l’HIV durante i rapporti sessuali. Le sperimentazioni hanno mostrato efficacia notevole nel ridurre la trasmissione del virus, ma resta il problema di un’esposizione preventiva e continuativa al farmaco, sia pure con un buon profilo di tollerabilità: problemi di natura etica e anche finanziaria.
Altra strategia diversa e forse di più diretto impatto è detta “treatment as prevention”. Molto semplicemente – ma come tutte le cose semplici, in modo rivoluzionario – la terapia antiretrovirale abbattendo la carica virale nel singolo soggetto in terapia riduce fino quasi ad azzerare l’infettività della persona trattata con la HAART. Ancora una volta il “laboratorio naturale”, o se si preferisce il contesto di real life, è costituito dalle coppie discordanti. Sulla base di queste osservazioni nel 2008 un team di ricercatori dell’OMS ha definito un modello che ipotizzava un uso combinato dell’offerta del test su base annuale e l’offerta contestuale delle terapie a tutti i risultati HIV positivi: il risultato di questo intervento avrebbe, secondo il modello, abbattuto incidenza di HIV in modo netto, fornendo le basi per una sua possibile eliminazione.
L’avvio precoce della terapia in tutti coloro che risultassero sieropositivi all’HIV di fatto provocherebbe una riduzione notevole dell’incidenza di nuove infezioni e un aumento conseguente della copertura terapeutica in un dato territorio, abbattendo la quantità di virus “circolante” in una data popolazione: è il concetto della community viral load. Ma per ottenere questo risultato occorre impostare importanti campagne di offerta del test, al fine di risalire la corrente del flusso dei contagi, offrendo le terapie a tutti il più precocemente possibile.

I dati in tal senso offrono evidenze concrete che vanno oltre il modello matematico. L’analisi degli effetti di una strategia di questo genere in British Columbia condotta da Julio Montaner vanno in tal senso. Ma anche i risultati dello studio HTPN 052 mostrano chiaramente il fatto che in coppie sierodiscordanti la terapia precoce con antiretrovirali riduce del 96 per cento il rischio di trasmissione del virus. Per precoce si intende un’assunzione molto anticipata rispetto a quanto le linee guida attuali raccomandano. Questo studio e ulteriori evidenze saranno oggetto di discussione a Roma. Così come hanno occupato la parte centrale dell’ultimo numero di The Lancet, che sottolinea la necessità di combinare in modo armonico e coerente i diversi approcci preventivi, in cui il test e l’uso estensivo dei farmaci schiudono orizzonti impensabili e solo insperati sino a ieri. Come ben sintetizzato da Anthony Fauci, Direttore del NIAID di Bethesda, in un recente editoriale su Science "l’opportunità, per la prima volta nella storia dell'HIV/AIDS di controllare e porre fine all’epidemia è fattibile a condizione di un reale impegno sia sul piano sociale, sia sul piano politico, sia su quello finanziario”, dice Fauci. Problemi comuni al mondo, e particolarmente in dibattito qui in Italia, che ospita la conferenza IAS e che però vede ridotti i fondi per la ricerca e azzerati i finanziamenti al Global Found per la lotta contro l’AIDS, la tubercolosi e la malaria. Scrive Julio Montaner nel numero di The Lancet: “l’evidenza sta tutta in questo: il trattamento antiretrovirale è prevenzione. La terapia previene in modo marcato la mortalità e la morbilità, la trasmissione dell’HIV e la tubercolosi. Inoltre la terapia previene la trasmissione verticale del virus, la trasmissione per via sessuale, e nel contesto dell’utilizzo di droghe la trasmissione per via iniettiva”.









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