Esther Natalie Oliva

Un aggiornamento di “Blood and Beyond” evidenzia la necessità di ottimizzare e rendere più sostenibile l’approvvigionamento di sangue in Europa

“La pandemia di COVID-19 ha reso evidenti la vulnerabilità e l’instabilità del sistema di afflusso del sangue in Europa”, spiega la dottoressa Esther Natalie Oliva, dirigente medico presso la divisione di ematologia del Grande Ospedale Metropolitano Bianchi Melacrino Morelli di Reggio Calabria. “Per questo motivo, è stato necessario rivedere, ampliare e aggiornare le raccomandazioni politiche già fornite nel 2020 per una migliore gestione del sangue e dei servizi trasfusionali”. Il 26 marzo del 2020, infatti, era stato presentato il rapporto multistakeholder “Blood and Beyond - Rethinking Blood Use”, contenente una serie di suggerimenti utili per salvaguardare la raccolta e ottimizzare l’impiego di sangue in Europa. La nuova versione del documento, aggiornata tenendo conto del forte impatto che l’emergenza COVID-19 ha avuto sui servizi trasfusionali, è stata discussa in un simposio ad hoc lo scorso 14 giugno, in occasione della Giornata Mondiale del Donatore di Sangue (World Blood Donor Day) promossa dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.

Nella nuova stesura del report vengono messe in evidenza le criticità, in parte dovute alla pandemia, nella gestione dell’approvvigionamento di sangue nei vari Paesi dell’Unione Europea, con l’obiettivo di sensibilizzare le autorità pubbliche in merito all'impatto delle trasfusioni sui pazienti, sui sistemi sanitari e sulla società in generale.

Nonostante i comprovati benefici, infatti, le trasfusioni a lungo termine comportano anche rischi e complicanze, come reazioni avverse e sovraccarico di ferro, nonché costi ragguardevoli per il sistema sanitario. “Sono molti i pazienti che non possono farne a meno, soprattutto in Italia, dove l’incidenza della beta talassemia è molto alta”, sottolinea la dott.ssa Oliva. “I pazienti trasfusione-dipendenti sono persone affette da emoglobinopatie ereditarie, come appunto la talassemia nella sua forma omozigote (talassemia major o malattia di Cooley), oppure da insufficienza renale cronica o da malattie ematologiche come le sindromi mielodisplastiche. Spesso, queste persone hanno ricevuto in passato una terapia con farmaci eritropoietici, ma non rispondono più al trattamento oppure sono resistenti”.

“Proprio per far fronte alle esigenze di questi pazienti, le trasfusioni in Europa devono essere organizzate in modo che ci sia sempre un buon approvvigionamento di sangue e che i prodotti ematici vengano utilizzati in maniera corretta: questo è l’obiettivo di Blood and Beyond”, dichiara la dott.ssa Oliva, membro del comitato scientifico che si è occupato di redigere il nuovo documento. “Purtroppo, con l’emergenza COVID-19, il sistema, già fragile, è entrato in crisi. I servizi trasfusionali sono stati profondamente colpiti dalla pandemia e i problemi preesistenti sono stati amplificati: il numero di donazioni è calato drasticamente e molti pazienti hanno dovuto fare i conti con la carenza di emoderivati”.

Le cause sono molteplici”, prosegue l’ematologa. “Prima tra tutte la paura del contagio: i donatori non si presentano e i pazienti stessi hanno paura a recarsi nei centri di trasfusione. Inoltre, sebbene attualmente la trasmissione del SARS-CoV-2 attraverso il sangue sia considerata improbabile, si tratta di una possibilità che non può essere completamente esclusa. Per questa ragione, ai classici controlli per la tutela del paziente (HIV, HBV, HCV, ecc.) è stato necessario aggiungere anche un tampone per la verifica dell’infezione da SARS-CoV-2. Poi c’è stata la cancellazione di alcune campagne di informazione e dei classici ‘raduni dei donatori’, il dirottamento del personale sanitario verso i centri COVID e l’impiego di molto sangue per la produzione del cosiddetto plasma iperimmune. Infine, le restrizioni dettate dalla pandemia hanno interrotto la catena di approvvigionamento del sangue, grazie alla quale i Paesi dell’Unione Europea importavano ed esportavano emoderivati. Se il sistema non è andato completamente in crisi è solo perché, durante la pandemia, anche la richiesta di sangue è diminuita: meno interventi chirurgici, meno cicli di chemioterapia e meno incidenti stradali”. 

In generale, l’emergenza COVID-19 ha sottolineato la necessità di pensare al buon utilizzo del sangue come ad una priorità e di incrementare approcci innovativi in tutta Europa. “Questa sfida ha un nome preciso”, spiega la dottoressa Oliva. “Si chiama Patient Blood Management (PBM)”. Questo termine, usato dal 2012, serve ad indicare la strategia multidisciplinare e multimodale che ha come scopo la corretta gestione del sangue del paziente. Patient Blood Management si traduce nella sostenibilità delle forniture di sangue, in un maggiore coinvolgimento dei pazienti, in una migliore organizzazione dei servizi trasfusionali. A queste necessità, già importantissime, si aggiungono quelle messe in luce dalla pandemia: la facilitazione dell’accesso alle terapie (ad esempio tramite assistenza domiciliare o unità mobili), il potenziamento di strumenti informatici come la telemedicina o il monitoraggio a distanza, nonché la messa a punto di nuovi modelli volti a prevedere l’impatto delle minacce pandemiche sull’equilibrio tra domanda e offerta di sangue. 

Un ultimo aspetto da considerare, non meno importante, è l’innovazione terapeutica”, conclude la dott.ssa Oliva. “Negli ultimi anni si stanno mettendo a punto farmaci in grado di aumentare la produzione autologa di emoderivati. Proprio quest’anno, la Commissione Europea ha approvato il luspatercept, un agente di maturazione eritroide, e ci sono altri farmaci in sperimentazione, come ad esempio l’imetelstat, un inibitore della telomerasi che dovrebbe ridurre il fabbisogno di trasfusioni di globuli rossi nei pazienti con sindromi mielodisplastiche”.

Blood and Beyond” è un’iniziativa multistakeholder che coinvolge esperti provenienti da diversi campi, dall’ematologia all’economia sanitaria, dalle associazioni dei pazienti alla gestione ospedaliera, ed è stata promossa dall’azienda farmaceutica Celgene, ora parte di Bristol Myers Squibb.

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