La dr.ssa Silvia Maitz: “se nel corso del tempo si presentano altre anomalie associate, la patologia potrebbe rientrare in una sindrome genetica”
Monza – Se un bambino, alla nascita, presenta una o più dita della mano o del piede più grandi delle altre, si pone diagnosi di macrodattilia. In realtà, come ha spiegato la dr.ssa Silvia Maitz, dell'Ambulatorio di Genetica Clinica Pediatrica presso l'Ospedale San Gerardo di Monza, l'inquadramento diagnostico della macrodattilia non è così immediato. Spesso, per poter capire se il problema è isolato o sindromico, occorre attendere l’evoluzione del quadro clinico: col tempo, infatti, potrebbero comparire altre alterazioni associate, e se ciò non accade, si ha per esclusione una diagnosi di macrodattilia isolata.
Se invece si presentano ulteriori anomalie di tipo osseo o vascolare, lipomi, anomalie nella circonferenza della testa, ritardo nello sviluppo o altre problematiche, il quadro diventa più complesso. “A differenza del gigantismo o dell'acromegalia – forme generalizzate di iperaccrescimento che riguardano tutto il corpo o tutte le estremità – la macrodattilia è una malformazione congenita che provoca un iperaccrescimento segmentale”, spiega la dr.ssa Maitz, che ha approfondito gli aspetti di inquadramento diagnostico della patologia in occasione della prima Giornata Nazionale sulla Macrodattilia, svoltasi lo scorso 16 dicembre proprio al San Gerardo di Monza.
“Se ai segni tipici della macrodattilia - prosegue l'esperta - se ne aggiungono altri, come un accrescimento progressivo della parte interessata, si potrebbe trattare della sindrome Proteus”. Questa sarebbe l'ipotesi più preoccupante: la sindrome, estremamente rara (in tutto il mondo sono risultate affette solo circa 200 persone), può dare gravi problematiche di salute. Identificata per la prima volta dal dottor Michael Cohen nel 1979, è stata chiamata così nel 1983 dal dottor Hans-Rudolf Wiedemann, con riferimento al dio Proteo della mitologia greca, in grado di trasformare il proprio aspetto fisico: probabilmente, la scelta del nome della malattia è dovuta al fatto che le sue manifestazioni erano ogni volta differenti nei vari pazienti a cui era stata diagnosticata.
La macrodattilia, fortunatamente, è meno disabilitante, ma il bambino affetto deve spesso affrontare interventi chirurgici. L'Ambulatorio di Genetica Clinica Pediatrica dell'Ospedale San Gerardo di Monza si occupa di inquadrare la diagnosi e di monitorare i pazienti, circa uno o due nuovi casi ogni anno: un numero esiguo, dovuto alla rarità della condizione. I bambini con macrodattilia, una volta ottenuta la diagnosi, vengono indirizzati verso un chirurgo della mano o del piede.
“Dopo aver raccolto le informazioni sulla storia clinica familiare (utili perché alcune forme sindromiche possono essere ereditarie), passiamo all'esame obiettivo – conclude la dr.ssa Maitz – per poi eseguire degli accertamenti, come un'ecografia dell'addome e/o della zona interessata, una radiografia per la parte ossea e un eventuale test genetico, da effettuare preferibilmente non sul sangue, ma sul tessuto della parte iperaccresciuta, ottenuto mediante biopsia cutanea o durante un intervento chirurgico”. Questa necessità è legata al fatto che nella maggior parte dei casi la macrodattilia è associata a una mutazione a mosaico, ossia presente nelle cellule della parte corporea colpita ma non in altre zone o tessuti del corpo. Le mutazioni a mosaico non sono ereditate dai genitori, ma rappresentano degli eventi avvenuti durante lo sviluppo embrionale.
L'intervento della dottoressa Maitz alla prima Giornata Nazionale sulla Macrodattilia
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