Da medici e pazienti un appello alle istituzioni, per una rete che favorisca un accesso più rapido ai trattamenti
Eliminare l’epatite C dal nostro Paese è l’obiettivo fissato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità entro il 2030. Esistono terapie in grado di eradicare il virus in poche settimane, efficaci nel 98% dei casi, senza effetti collaterali. Ad oggi, sono stati affrontati con successo 196 mila casi, ma i pazienti ancora da trattare, secondo le ultime stime, sarebbero almeno 200mila, di cui molti ancora da diagnosticare. Specialisti e pazienti sono attualmente focalizzati sull’emersione del “fisiologico” sommerso e sull’identificazione dei più idonei e funzionali modelli di screening, fondamentali anche per la definizione degli adeguati budget specifici da parte del Servizio Sanitario Nazionale (SSN).
A circa due mesi dalla conferenza stampa di presentazione del position paper congiunto delle Società Scientifiche e dell’Associazione pazienti, si è tenuto martedì 5 novembre a Roma, presso l’Auditorium “Cosimo Piccinno” del Ministero della Salute, il convegno “Alleanza contro l’Epatite: “Uniti, insieme: pazienti, clinici e istituzioni, per la concreta eradicazione del virus”. L’evento, organizzato da MA Provider, è stato promosso da AISF (Associazione Italiana per lo Studio del Fegato) e SIMIT (Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali), con il patrocinio di EpaC onlus, con il contributo non condizionato di Abbvie e Gilead.
L’accesso agli screening e alle terapie deve essere più semplice e immediato; le difficoltà ancora presenti per ottenere i trattamenti vanno superate. “Possiamo agire su diversi punti”, evidenzia il Dott. Salvatore Petta, Segretario AISF. “Un primo risultato è stato raggiunto proprio nelle ultime settimane, grazie anche alla richiesta fatta da AISF ad AIFA nel dicembre 2018: non è infatti più obbligatorio il Fibroscan come esame estensivo per la valutazione della fibrosi epatica. Questo provvedimento rende possibile l’utilizzo, in alternativa al Fibroscan, di strumenti non invasivi semplici e facilmente disponibili per valutare la severità della malattia epatica laddove vi siano ostacoli socio-assistenziali che limitano l’accesso al Fibroscan. Ciò favorisce un più facile accesso alle terapie a bacini ad alta prevalenza di infezione da HCV quali SerD e carceri, che rappresentano realtà critiche che non sempre hanno a disposizione questo strumento diagnostico. Ciononostante, non vi è un Piano Nazionale per l’eliminazione delle infezioni da epatiti virali ancora funzionante e dotato di fondi autonomi; non c’è un PDTA nazionale; manca un sistema di rete efficiente che faciliti l’accesso ai farmaci da parte dei pazienti”.
“Un’organizzazione di rete, in particolare, è fondamentale per mettere in contatto i centri abilitati all’erogazione dei trattamenti e quelli ancora non autorizzati, e per creare un network attivo con i Medici di Medicina Generale per i quali sarebbe anche ipotizzabile un uso diretto di test salivari, per poter effettuare loro stessi test di screening ai pazienti a rischio”, prosegue Petta. “Auspichiamo anche di poter trasformare le farmacie in centri di informazione: la maggior parte dei soggetti con un’infezione da HCV sono over 60 e sono questi i più assidui frequentatori delle farmacie. Serve poi nelle carceri e nei SerD personale che sia direttamente in grado di gestire all’interno delle strutture stesse lo screening e le fasi diagnostica e terapeutica. Infine, è necessario un Piano Nazionale dotato di fondi dedicati, che sostengano non solo l’acquisto dei farmaci ma anche le strategie di screening e la formazione di personale adeguato”.
L’emersione del ‘sommerso’ continua a rappresentare una sfida fondamentale per poter raggiungere l’eradicazione dell’infezione nel nostro Paese. “Un percorso ineludibile, anche se non il solo, passa per programmi di eliminazione del virus in popolazioni speciali, quelle che possono essere indicate come popolazioni chiave, quelle in cui è più probabile che si verifichino nuovi contagi, sia al loro interno, sia nella popolazione generale”, sottolinea il Prof. Massimo Galli, Presidente SIMIT. “Si tratta in particolare di persone con una storia di tossicodipendenza, molte delle quali sono ancora in contatto con i SerD o sono in carcere. Garantire gli screening nei SerD e in carcere è fondamentale. Attualmente il conseguimento di questo risultato è ancora lontano”.
“Va inoltre ricordato che in Italia vivono oltre 5 milioni di immigrati, i cui Paesi d’origine sono più o meno colpiti dall’epatite C”, continua il Prof. Galli. “Dal numero di stranieri residenti coinvolti nelle terapie per HCV, risulta evidente una ridotta attenzione al problema. Meno del 4% dei primi 10.000 arruolati nello studio PITER risulta infatti composto da stranieri. Più che una popolazione chiave, si tratta quindi di una popolazione negletta, dimenticarsi della quale può avere un elevato costo in termini di sanità pubblica. È quindi opportuno favorirne l’accesso agli screening e al trattamento. L’eliminazione del virus in gruppi definiti è un risultato perseguibile. Lo dimostra il successo nelle persone con confezione HIV/HCV. Abbiamo modo di stimare che in oltre il 95% dei casi seguiti presso i Centri di Malattie Infettive il trattamento con DAA sia stato attuato e abbia portato alla eradicazione individuale del virus. Ma il punto fondamentale per l’emersione del sommerso di HCV non riguarda una popolazione speciale, a meno che si vogliano considerare tali i cittadini con più di 55 anni. La maggioranza di chi non sa di convivere con HCV - così come i molti che più o meno vagamente sanno di esserne portatori, ma che non sono mai venuti ai centri a farsi curare - è infatti tra loro. Che i pazienti già diagnosticati, ma non ancora trattati, che sono ancora numerosi, vengano indirizzati ai Centri per il trattamento sembra un concetto ovvio: nella pratica, purtroppo, ancora molti di questi pazienti mancano all’appello. Bisogna fare di più perché l’informazione li raggiunga”.
L’accesso alle cure, che normalmente si palesa con la realizzazione di micro e macro PDTA di linkage to care, presenta ancora diverse criticità. “La nostra associazione, analizzando i dati divulgati settimanalmente da AIFA, ha rilevato come un paziente su tre (molto spesso già con diagnosi di malattia da diversi anni) giunga in una struttura autorizzata alla cura con una malattia del fegato avanzata, e, in oltre la metà dei casi già evoluta in cirrosi”, dichiara Ivan Gardini, Presidente EpaC Onlus. “Tali dati testimoniano che genere di danni alla salute può procurare il non agire tempestivamente. E proprio dalle stesse regioni - fatta eccezione per alcune di esse - che ci si aspetterebbe una più attenta analisi della costo-efficacia degli attuali farmaci, e quantità di risparmi e anni di vita guadagnati che produce la guarigione dal virus HCV. Con tali dati, che tutti noi conosciamo bene, la eliminazione dell’epatite C dovrebbe essere resa, su base immediata, una priorità di salute pubblica Regionale. Ma, ancora oggi, non si riesce a guarire rapidamente quantomeno tutti i pazienti diagnosticati, nonostante la disponibilità di farmaci innovativi dai tassi curativi vicini al 100%, senza effetti collaterali e l’alta specializzazione dei clinici e strutture di riferimento”.
“Ci sono ancora migliaia di pazienti diagnosticati e viremici al di fuori dalle strutture autorizzate e rappresentano vite umane da salvare, inderogabilmente, subito”, sottolinea Gardini. “In tal senso, i decisori politici devono fare di più e, pertanto, auspichiamo un rapido accordo tra Governo e Conferenza Stato-Regioni, per avviare strategie di eliminazione con risorse adeguate, omogenee ma declinabili alle realtà regionali. È necessario oggi dare nuovo impulso all’eliminazione del virus HCV per evitare che, come avvenuto nel corso dell’ultimo anno, circa 5mila pazienti sono giunti al trattamento innovativo con un’infezione già evoluta in cirrosi. In un tale scenario, che noi definiamo ancora di emergenza, troviamo importante che sia prevista una deroga alla normativa vigente sull’innovazione dei farmaci, e che tale status particolare di innovatività – in casi eccezionali di salute pubblica, progetti di salute internazionali, o altre motivazioni adeguate – possa e debba essere rivalutato e alcuni casi confermato anche dopo i 36 mesi attuali. Le norme possono e devono essere modificate se incidono negativamente su evidenti ricadute benefiche a favore di centinaia di migliaia di pazienti ma, anche, cospicui risparmi per il SSN. Tali ricadute benefiche potrebbero essere ampiamente minimizzate se non si mantiene il medesimo status di innovazione che garantisci fondi dedicati, forse l’elemento più importante e che fa parte integrante dello schema vincente che ci ha consentito di curare quasi 200.000 pazienti sinora, molti dei quali malati molto gravi”.
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