oro in medicinaUno studio dell'Università di Cagliari ha esaminato gli attuali filoni d'indagine incentrati sull'utilizzo medico di composti chimici a base d'oro, soprattutto in oncologia

Non è azzardato affermare che l’impiego dell’oro in medicina abbia avuto inizio con la storia della medicina stessa. Infatti, sono stati gli Egizi a riconoscere per primi le potenzialità di questo nobile metallo, giungendo a usarlo per curare fistole e verruche, oltre che per trattare condizioni di natura psichica. Tra alchimia e realtà scientifica, l’uso dell’oro nella pratica medica si è protratto per secoli, ma solo all’inizio del '900 l’auroterapia (o crisoterapia) ha assunto una dimensione a dir poco eclatante nel trattamento dell’artrite reumatoide e della tubercolosi.

Come spiegato in una review pubblicata da un gruppo di studio dell’Università di Cagliari sulla rivista Current Medicinal Chemistry, l’uso dei sali d’oro per la terapia dell’artrite reumatoide è partita dall’idea che essi riuscissero a fermare la crescita del Mycobacterium tuberculosis, che si riteneva essere associato a questa condizione. Per tale ragione, essi vennero adoperati per trattare anche pazienti affetti da tubercolosi: in particolare la sanocrisina, un tiosolfato doppio di oro e sodio, fu ampiamente usata dai clinici danesi degli anni '20 per la cura dei pazienti affetti da tubercolosi, almeno fino a quando un trial clinico destinato a fare la storia mise fine all’utilizzo dei sali d’oro, evidenziando i pesanti effetti tossici a cui andavano incontro i pazienti a fronte di benefici clinici irrisori, se non proprio del tutto assenti.

Ma se non è tutto oro quel che luccica in reumatologia e infettivologia, il giusto filone di utilizzo del metallo più famoso al mondo è stato scoperto in oncologia, dove sembra che le particelle auree di un nuovo composto chimico siano state in grado di esercitare una sostenuta attività antitumorale in combinazione a una marcata riduzione della tossicità renale. Le nanoparticelle d'oro colloidale sembrano aumentare in maniera significativa la capacità di alcuni anticorpi monoclonali di prendere a bersaglio le cellule tumorali in alcune forme di leucemia. Inoltre, i coniugati a base d'oro hanno prodotto effetti importanti anche nel trattamento del cancro alla prostata. Il successo di questi composti è stato sancito dall’abilità delle nanoparticelle d’oro di portare all’interno delle cellule cancerose i farmaci antitumorali, aumentando così l’efficacia di trattamenti come quelli usati contro il cancro del colon. Inoltre, le particelle d’oro si sono rivelate di grande utilità in abbinamento alla terapia a radiofrequenza contro alcune forme di tumore: nel trattamento dell’epatocarcinoma, ad esempio, le nanoparticelle d’oro si accumulano nel citoplasma delle cellule cancerose e, una volta attivate dall’esposizione a onde di radiofrequenza, provocano un aumento di temperatura che distrugge queste cellule.

Tuttavia, il valore dell’oro non è tale solo in fase terapeutica, ma è cresciuto molto anche nella fase diagnostica. Le soluzioni d'oro colloidale sono state impiegate anche per la costruzione di test utili all’identificazione di micotossine, per l’individuazione degli anticorpi specifici di classe M (IgM) anti-Treponema Pallidum in soggetti con sospetto di sifilide o per la messa a punto di test quantitativi per la ricerca di sangue occulto nelle feci.

Naturalmente, non va scordato che l’oro è un metallo che può comportare effetti collaterali importanti, quali dermatite o eczema. In particolare, le nanoparticelle d’oro sono legate a un certo livello di tossicità renale ed epatica che va tenuta sotto controllo in studi clinici specifici. Tale tossicità è spesso correlata ai materiali impiegati per la realizzazione dei composti a base d’oro. Ad ogni buon conto, i ritrovati più moderni, recentemente messi a punto e introdotti in oncologia – e in modo particolare nel settore della fototerapia – hanno evidenziato una sostanziale riduzione dei livelli di tossicità e una ben maggiore specificità d'azione, aprendo un fronte di ricerca di grande attrazione per medici e biologi di tutto il mondo. Con questa prospettiva, l’Età dell’Oro in oncologia è una definizione che potrebbe assumere un significato molto più letterale di quello usato per evidenziare i tanti traguardi tagliati dalla medicina oncologica.

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