Sir Marmot: “Ci sono determinanti innaturali, non legati a motivi biologici ma economici e sociali”

Tra le donne giapponesi e quelle dello Zimbabwe ci sono circa 44 anni di aspettativa di vita di differenza, non ci sono motivi biologici per spiegare un così ampio divario. Proprio di questo e dunque degli elementi che incidono su aspettative di vita e salute, si è parlato domenica 3 Luglio nel corso dell’appuntamento ‘Geografie della Salute’  all’interno di Spoletoscienza il festival annuale organizzato dalla Fondazione Sigma Tau. Questo argomento in particolare è stato affrontato da Sir Micheal Marmot professore di Epidemiologia e Sanità pubblica all’University College London. 

Da 30 anni Michael Marmot dirige un gruppo di ricerca sulle disuguaglianze sanitarie. È capo ricercatore dei Whitehall studies of British civil servants, che indagano sullo straordinario gradiente sociale inverso della morbilità e della mortalità. Dirige l’English longitudinal study of ageing (ELSA) e partecipa a vari studi internazionali sui determinanti sociali della salute. Presiede lo Scientific reference group del ministero della salute britannico sulle disuguaglianze sanitarie. Per sei anni è stato membro della Royal commission on environmental pollution.

“Ci si preoccupa molto del benessere economico come misura del successo di una società – ha detto nel corso del suo intervento Sir Marmot -  A mio avviso, la salute è un metro migliore e le sue disuguaglianze ci dicono molto di più sulla nostra società e sulla nostra comunità globale. Se osserviamo le differenze tra i vari Paesi, scopriamo che ci sono 44 anni in più tra l’aspettativa di vita delle donne giapponesi e di quelle dello Zimbabwe e dell’Afghanistan. Non esiste alcun motivo biologico valido per questo. Queste enormi e drammatiche differenze sono dovute alle nostre scelte economiche e sociali. Anche all’interno dei Paesi esistono disuguaglianze di salute altrettanto inaccettabili. A Londra, per esempio, facendo una passeggiata in bicicletta di mezzora si può passare da un quartiere in cui l’aspettativa di vita degli uomini è di 74 anni a un altro in cui è 92. Possiamo drammatizzare questa differenza confrontando i più ricchi con i più poveri, ma otterremmo un quadro incompleto. La salute segue il gradiente sociale. Vale a dire, se classifichiamo le persone in base al reddito, il livello di istruzione o qualche altro metro di tipo sociale, le persone che sono quasi in cima alla piramide sono meno sane di quelle in cima, quelle nel mezzo sono meno sane di quelle vicino alla cima e così via”.    

Che cosa possiamo fare per modificare questo gradiente della salute che esprime una profonda disuguaglianza?
“Per rispondere a questa domanda – dice Marmot - l’Organizzazione mondiale della sanità ha istituito la Commissione sui determinanti sociali della salute, della quale sono stato presidente. Nel nostro rapporto abbiamo messo in evidenza l’importanza dei sistemi sanitari e della possibilità di accedervi per tutti, ma siamo giunti alla conclusione che i principali determinanti della salute non dipendono dal sistema sanitario. Le condizioni in cui le persone nascono, crescono, vivono, lavorano e invecchiano sono responsabili della maggior parte delle disuguaglianze di salute che riscontriamo. Le cause delle diverse condizioni di vita sono strutturali. Siamo quindi giunti alla conclusione che un’iniqua distribuzione di potere, denaro e risorse sia il motivo principale dell’ingiusta distribuzione della salute tra i Paesi e al loro interno. Il rapporto della Commissione sui determinanti sociali della salute ha riscosso molto interesse in tutto il mondo. In Gran Bretagna, per esempio, il governo mi ha chiesto di condurre un’indagine sulle disuguaglianze di salute in Inghilterra. In pratica, si trattava di vedere come un Paese poteva applicare i suggerimenti della Commissione. Il mio rapporto è stato pubblicato nel 2010 con il titolo Fair society healthy lives (Una società giusta per una vita sana). Questo titolo non è stato scelto a caso. Il nostro giudizio era che se la giustizia fosse stata alla base di tutte le decisioni, la salute dei cittadini sarebbe migliorata e le disuguaglianze sarebbero diminuite. Poi abbiamo proceduto a fornire alcune raccomandazioni dividendole in sei sezioni: il primo sviluppo; l’istruzione e l’educazione permanente; l’occupazione e le condizioni di lavoro; il reddito minimo per garantire una vita sana; comunità sane e sostenibili; un approccio alla prevenzione a partire dai determinanti sociali. I risultati e le indicazioni dell’indagine hanno suscitato molto interesse a livello locale e in tutta l’Europa. La conclusione è che dobbiamo creare una società che garantisca a tutti una migliore qualità di vita, e, in particolare, creare le condizioni che consentano a tutti una vita dignitosa. In questo modo, la salute migliorerà, le disuguaglianze diminuiranno, le società saranno più coese e funzioneranno meglio”.


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