Tra le patologie che potrebbero essere legate all’alcol in età fetale anche il deficit di attenzione

Non bere e non fumare, ad almeno queste due regole dovrebbero attenersi le donne che sono in attesa di un figlio, ma né per l’una né per l’altra cosa ancora si può dire che ci siano comportamenti ovunque corretti. Secondo una recente indagine dell’Istituto Superiore di Sanità in Italia su 100 neonati 7 hanno subito esposizione alcolica nel grembo materno. I dati sono strati diffusi venerdì scorso in occasione della giornata internazionale della consapevolezza sulla sindrome feto-alcolica. Lo studio multicentrico di prossima pubblicazione è stato condotto attraverso un biomarcatore, l’etilglucuronide, in grado di rilevare l’esposizione all’alcol nel meconio, le prime feci dei neonati. Il gruppo di studio, capeggiato dalla dottoressa Pichini ha messo in luce che c’è un consumo di alcol in gravidanza sottostimato o non riconosciuto da parte delle donne che partoriscono: l’analisi sul meconio di 607 neonati, infatti, ha rivelato un’esposizione media del 7.6 per cento di neonati. I dati però variano molto da città a città sintomo che ancora oggi le sensibilità, tanto delle donne quanto dei medici su questo tema, non sono del tutto uniformi. Se a Verona infatti la percentuale rilevata è dello 0 per cento per i nati all’Umberto I di Roma si arriva al 29 per cento. Alcuni ancora oggi credono che il bere in gravidanza sia soprattutto una questione di quantità, ma gli esperti non la pensano esattamente così.

"Noi non sappiamo quale sia la quantità di alcol che si possa assumere in gravidanza senza rischi e perciò indagini come questa sono estremamente importanti nel campo della prevenzione e della tutela della salute neonatale - afferma il Presidente dell’Istituto Superiore di Sanità Enrico Garaci - perché permettono di far luce su un fenomeno sommerso come quello delle patologie pediatriche sviluppate in relazione all’assunzione di bevande alcoliche durante la gravidanza. In Europa infatti - dice il Presidente Garaci - si hanno pochissimi dati sui disordini feto-alcolici, questo nostro studio è fra i primi e ha coinvolto anche la Spagna. A Barcellona i dati hanno rivelato addirittura il 45 per cento di esposizione neonatale. L’obiettivo di questa giornata è soprattutto l’informazione, alle donne prima di tutto sia quelle in gravidanza che quelle che decidono di avere un figlio che la quantità di alcol in questo periodo deve essere pari a zero".

Per aiutare i medici, neonatologi e pediatri a diagnosticare la sindrome è stata pubblicata dall’Osservatorio Fumo, Alcol e Droga dell’ISS la "Guida alla diagnosi dello spettro dei disordini feto alcolici". Una guida schematica che aiuta a diagnosticare la sindrome feto-alcolica (FAS) e lo spettro dei disordini feto alcolici (FASD), due patologie di difficile diagnosi. La Guida sarà distribuita a più di tremila medici italiani. Una diagnosi precoce, inoltre, può essere molto utile per individuare possibili rischi e agire tempestivamente.
"I neonati devono avere un follow-up specifico - spiega Simona Pichini - perché ancora non si sa che percentuale di loro svilupperà una sindrome feto alcolica e quanti di loro svilupperanno uno spettro di disordini feto alcolici. Si tratta principalmente di problemi neurologici, neuromorfologici, problemi di sviluppo cerebrale, disabilità serie. La sindrome di iperattività e deficit di attenzione, per esempio, è uno dei disordini che potrebbe manifestarsi nell’ambito di un’esposizione del feto all’alcol".

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