Lo studio, che ha coinvolto i ricercatori dell’ISS, è stato fatto solo sulle scimmie: servirà tempo prima di arrivare all’uomo.
Un farmaco contenente oro, già conosciuto nel trattamento dell’artrite reumatoide, potrebbe essere la chiave di volta nella messa a punto di una cura efficace contro l’HIV/AIDS. L’auranofin – questo il nome del principio attivo – riesce infatti a stanare il virus proprio nelle sue ‘stanze più segrete’, in una sorta di magazzino virale in cui l’Hiv si annida, perché al riparo da farmaci e anticorpi. La notizia è stata pubblicata proprio oggi su 'Aids’, la maggiore pubblicazione scientifica nel campo e finanziata dalla Fondazione Roma. Lo studio internazionale ha come principale autore Andrea Savarino dell’ISS – Istituto Superiore di Sanità e ha coinvolto altri ricercatori dello stesso Istituto.
“Si tratta di un’importante scoperta che individua per la prima volta un approccio promettente di possibile eradicazione dei “reservoir” virali – afferma Enrico Garaci, presidente dell’ISS, che per primo ha intuito e suggerito l’utilizzo dell’auranofin – Le attuali terapie antiretrovirali infatti non sono state in grado finora di identificare questo magazzino del virus, motivo per cui, non appena le terapie vengono sospese, il virus si riattiva prepotentemente. Inoltre, più grande è questo serbatoio, più è difficile per il sistema immunitario tenere l’infezione sotto controllo. La grande sfida sarà ora tentare di ridurre l’ampiezza di questo magazzino, mantenendola sotto una certa soglia e vedere se questo permetterà al sistema immunitario di tenere l’infezione sotto permanente controllo”.
L’HIV oggi non è, purtroppo, una malattia rara: condivide, però, con molte di queste il fatto che attualmente non vi sia ancora una terapia in grado di portare alla guarigione. Inoltre in alcuni rari casi l’HIV può dar luogo a forme di malattia associata che rientrano nella categoria di quelle rare, come ad esempio la sindrome di deperimento da AIDS o la lipodistrodia hiv associata.
Lo Studio
Lo studio – che vede coinvolti, oltre a ricercatori dell’ISS, la Prof. Anna Teresa Palamara dell’Università di Roma “La Sapienza”, il gruppo del Prof. Antonello Mai della stessa Università, il Vaccine and Gene Therapy Institute della Florida, e la company Bioqual nel Maryland (USA) – è stato condotto nelle scimmie infettate con un virus molto vicino all’HIV, in cui si è visto che in questo magazzino virale nascosto, così inafferrabile (che gli scienziati chiamano “reservoir”), l'HIV è presente fisicamente, ma in una forma latente ovvero inespressa, all’interno di un tipo particolare di cellule immunitarie, chiamate cellule T CD4 della memoria. Queste cellule sono longeve e non possono essere bersaglio né di farmaci né delle difese immunitarie, proprio perché il virus è qui nascosto, dunque invisibile. Se le terapie antiretrovirali vengono sospese, prima o poi, il virus si risveglia e ricomincia la progressione della malattia. Per liberare dunque l’organismo dall’HIV, le cellule che ospitano il virus latente devono essere distrutte.
“Questo è stato, negli ultimi anni, l’obiettivo della ricerca sull’AIDS, una sorta di ‘Santo Graal’ – spiega Savarino – perseguito dagli scienziati con diverse strategie, tra cui le cosiddette “shock and kill” (“colpisci e uccidi”), con cui si tenta di stanare il virus latente e quindi attaccarlo. Proprio mentre stavamo valutando l’auranofin come candidato per la strategia “shock and kill”, ci siamo accorti che il farmaco era quello giusto perché causava la morte delle cellule T della memoria centrale, lasciando però le cellule precursori, ovvero le T CD4 vergini, praticamente intatte. E tutto questo senza risvegliare il virus e il relativo pericolo. Le scimmie hanno mostrato una migliore capacità di mantenere l’infezione sotto controllo e una di loro ha mantenuto per un anno una carica virale bassa, oltreché un livello alto di CD4, proprio le cellule immunitarie vergini che l’HIV decima”.
Una sorta di remissione dell’infezione, dunque, sebbene non ancora una cura, poiché gli acidi nucleici virali rimangono rilevabili, sebbene i loro livelli siano bassi.
“Dobbiamo ancora esplorare tutti gli effetti dell’eliminazione di queste cellule, ma l’approccio sembra promettente anche perché sappiamo che le cellule possono essere rimpiazzate dall’organismo a partire da una nuova sorgente di cellule vergini”.
Un ulteriore approfondimento di questi effetti sulle scimmie sarà necessario. Solo dopo questo, si potrà pensare a un eventuale sperimentazione clinica sull’uomo.
“Nel frattempo - conclude il ricercatore - il consiglio è quello di non comprare il farmaco su e-Bay né di seguire trattamenti fai-da-te”.
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