Ci sono  terapie ma il virus non è sconfitto, in Italia 160.000 sieropositivi, 30.000 ancora non lo sanno
Se ne parla in questi giorni allo IAS 2011 il più importante appuntamento mondiale sull’HIV

“Se pur con qualche cautela di fronte all’HIV oggi possiamo parlare di malattia virale cronica, l’80 – 85 per cento dei pazienti che ci sono noti hanno infatti una carica virale controllata e l’aspettativa di vita di una persona che contrae l’infezione oggi è comparabile, se non proprio uguale, a parità di altri fattori, a quella della popolazione generale. Un trentenne che si infetta oggi può attendersi altri 40 – 50 anni di vita”. A dirlo ieri, nel corso degli eventi collegati allo IAS 2011, il più importante convegno mondiale sull’HIV in corso proprio in questi giorni all’Auditorium di Roma, è stato il prof. Andrea Antinori, direttore di Malattie Infettive all’Istituto Spallanzani di Roma. Il panorama dunque è estremamente cambiato rispetto all’epoca in cui, ormai 30 anni fa, si scoprivano i primi casi di contagio e malattia, quando di fronte ad un diagnosi non si poteva avanzare alcuna ipotesi di terapia. Oggi di terapie ce ne sono, molte e diverse, con minori effetti collaterali di quelle di un tempo, tuttavia non esiste ancora una cura in grado di eliminare il rotavirus: lo si può silenziare, addirittura arrivare al punto in cui questo non si replica, ma ad eliminarlo non si è ancora riusciti.

E se sul fronte delle terapie le notizie sono buone non bisogna abbassare la guardia, perché il numero di contagi è ancora alto e sta cambiando anche il profilo di chi viene colpito dal virus: oggi il maggior veicolo di diffusione sono i rapporti  eterosessuali, un 40 per cento delle persone che scoprono di aver contratto l’HIV sono donne. Ma c’è ancora una larga parte  di persone che arriva alla diagnosi in periodo avanzato, molto tempo dopo aver contratto il virus: sono i cosiddetti ‘late presenter’, in cui talvolta la scoperta di sieropositività coincide con la diagnosi di AIDS.
“Sono persone che vengono a trovarsi in una posizione di svantaggio rispetto a chi invece ha una diagnosi precoce – ha detto Antinori – anche per loro ci sono terapie e hanno efficacia, ma non la stessa che hanno in chi comincia prima. Per questo sarebbe opportuno spingere maggiormente verso il test, soprattutto coloro che manifestano malattie che possono considerarsi correlate all’HIV, le altre malattie a trasmissione sessuale e l’infezione da epatite C, che spesso coesiste con l’HIV”
Che sulla diffusione della malattia sia necessario non abbassare la guardia è stato ribadito anche da Enrico Garaci, presidente dell’Iss, che ha partecipato ieri alla conferenza di apertura di IAS 2011 insieme a Stefano Vella, direttore del dipartimento del farmaco dell’ISS e co-chairman di IAS 2011.
“I nuovi dati del bollettino del Centro Operativo Aids confermano che sulla diffusione di questa infezione non bisogna abbassare la guardia – ha detto Garaci - I dati italiani, infatti, in linea con il trend europeo, indicano che, nonostante i progressi compiuti, l’Italia mostra fra i Paesi dell’Europa occidentale un’incidenza di nuove diagnosi di HIV medio-alta, con 2.588 nuove diagnosi pervenute nel 2009, per un totale di oltre 45 mila diagnosi di infezione di HIV negli ultimi 15 anni. La lettura di questi dati nel tempo ci racconta inoltre, come è cambiato negli anni il target dell’infezione: non più in maggioranza tossicodipendenti, ma persone che contraggono l’infezione o che sviluppano la malattia in seguito a rapporti sessuali, sia etero che omosessuali. Un altro problema è quello del ritardo della diagnosi, soprattutto negli eterosessuali e negli stranieri, che spiega come la percezione del rischio, in particolare fra gli eterosessuali sia ancora bassa. Aumenta inoltre l’età mediana alla diagnosi, che arriva ormai intorno ai 40 anni. Nel 2010 sono stati notificati al COA 1.079 casi di AIDS per un totale di poco meno di 63 mila casi di malattia dal 1985 al 2010, la maggior parte dei quali concentrati nella fascia di età 30-49 anni, ma con un aumento della la quota di casi nella fascia d’età 40-49 anni sia tra gli uomini che tra le donne. Un dato che ci spinge ancor di più ad affrontare l’AIDS a 360 gradi, come nella tradizione del nostro istituto, sia sul piano della sensibilizzazione e dell’informazione, come facciamo attraverso il telefono verde, sia a servizio dei cittadini e, ancor di più, attraverso la ricerca che da sempre portiamo avanti con i nostri dipartimenti e con il nostro Centro Antiaids, nel campo dei farmaci e in quello dei vaccini per conoscere e poter combattere più efficacemente la malattia senza perdere mai di vista l’obiettivo dell’eradicazione dell’infezione.”


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