Il prof. Eugenio Mercuri (Roma) illustra le più importanti novità nel trattamento della patologia
“Negli ultimi due anni c’è stata una vera e propria rivoluzione nel campo dell’atrofia muscolare spinale (SMA)” afferma, senza mezzi termini, Eugenio Maria Mercuri, Direttore dell’Unità Operativa Complessa di Neuropsichiatria Infantile, Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS. “Rispetto al passato stiamo assistendo all’arrivo di nuove opzioni di trattamento che hanno dimostrato nei trial clinici di poter cambiare in maniera significativa la storia della malattia”.
Il Prof. Mercuri è intervenuto sull’argomento durante il webinar "Atrofia muscolare spinale: storia clinica e rivoluzione terapeutica", organizzato dall’associazione Famiglie SMA, in collaborazione con Osservatorio Malattie Rare e con il contributo non condizionato di Novartis Gene Therapies. Durante l’evento, Mercuri ha fatto il punto sulle attuali soluzioni terapeutiche nei confronti di una patologia che rappresenta, ancora oggi, la prima causa genetica di morte infantile nel mondo.
L'atrofia muscolare spinale è una patologia genetica neuromuscolare, caratterizzata dalla progressiva morte dei motoneuroni: le cellule nervose del midollo spinale che impartiscono ai muscoli il comando di movimento. Colpisce circa un neonato su diecimila e può compromettere l’acquisizione delle capacità motorie, della respirazione e della deglutizione. La malattia, che si può presentare in tre forme differenti per esordio e gravità, è causata, nel 95% dei casi, da una mutazione del gene SMN1 che porta alla produzione di livelli insufficienti di una proteina chiamata SMN (Survival Motor Neuron), necessaria per la sopravvivenza e il corretto funzionamento dei motoneuroni.
Le nuove terapie si focalizzano proprio sui meccanismi genetici alla base della patologia e stanno rapidamente soppiantando il trattamento sintomatico. “La terapia genica, ad esempio - spiega il prof. Mercuri - permette di introdurre, attraverso un vettore virale adeno-associato, una copia corretta del gene SMN1 ‘difettoso’, in modo che l’organismo possa di nuovo sintetizzare la proteina SMN. Questo è il caso della terapia dal nome impronunciabile: onasemnogene abeparvovec-xioi”. Altri due farmaci, invece, il risdiplam e il nusinersen (già in commercio in Italia), agiscono sul gene SMN2, che, in condizioni normali, produce solo una piccola quantità della proteina SMN. Queste molecole sono in grado di incrementarne la produzione.
“Tutti gli studi effettuati danno risultati decisamente incoraggianti”, conclude Eugenio Maria Mercuri. “È necessario, però, sottolineare come per il trattamento della SMA giochi un ruolo fondamentale la diagnosi precoce: tutti gli studi condotti su bambini presintomatici, infatti, hanno dimostrato che prima si interviene, maggiori sono le possibilità di avere una risposta più completa”.
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