Ricerca scientifica

Le prospettive relative al trattamento della rara malattia genetica con le terapie avanzate

Uno dei tratti salienti della sindrome di Rett è dato da uno spettro di manifestazioni piuttosto eterogeneo da persona a persona, dal momento che sono centinaia le mutazioni che interessano il gene MECP2 coinvolto nella genesi di patologia: questo significa che non esistono due pazienti con un profilo patologico perfettamente sovrapponibile. Oltre a costituire un problema in chiave diagnostica - servono esperienza e una robusta consapevolezza di come la malattia si presenti per indurre nel medico il sospetto clinico - questo rappresenta un forte limite allo sviluppo di nuove terapie. Tuttavia, l’avvio di due studi clinici su una nuova terapia genica sta accendendo le speranze delle famiglie che si trovano ad affrontare la patologia.

Nel corso di un webinar promosso da AIRETT, l’associazione italiana dedicata alla sindrome di Rett, si è discusso in maniera approfondita delle novità terapeutiche in arrivo, con particolare riguardo per la terapia genica conosciuta come TSHA-102, messa a punto dall’azienda di biotecnologie Taysha Gene Therapies, che da anni è impegnata nello sviluppo di nuovi trattamenti contro alcune patologie genetiche del sistema nervoso centrale.

LA GENETICA DELLA SINDROME DI RETT

“La sindrome di Rett è una malattia a ereditarietà dominante provocata da mutazioni nel gene MECP2 posto sul cromosoma X”, spiega Ilaria Meloni, Professore Associato all’Università degli Studi di Siena. “Ciò significa che ne sono affette quasi esclusivamente le femmine, anche se sono stati segnalati rarissimi casi tra i maschi, spesso in associazioni ad altre condizioni come la sindrome di Klinefelter. Nei maschi la patologia si presenta in forma severa limitando notevolmente la sopravvivenza. Nelle femmine, invece, lo sviluppo prosegue normalmente sino ai 7-18 mesi di vita, poi si comincia ad osservare una perdita dei traguardi acquisiti”. Il deterioramento che segue al normale sviluppo neurologico si traduce in un ritardo sul piano fisico oltre che mentale. “A partire dai 18 mesi circa la patologia evolve nelle bambine con il prodursi di deficit cognitivi e con la perdita della capacità di parlare e mantenere il contatto visivo”, prosegue Meloni. “In un momento successivo, si instaura una grave disabilità cognitiva e, in fase avanzata, buona parte delle pazienti perde le capacità motorie, dovendo ricorrere alla sedia a rotelle”.

Ciononostante, l’aspettativa di vita delle pazienti può raggiungere la quarta o quinta decade di vita quando subentrano complicazioni o infezioni correlate a un incremento della mortalità: perciò si rende necessario individuare nuove forme di trattamento che si accompagnino alla terapia fisica e all’utilizzo dei dispositivi correttivi per sostenere l’andatura e limitare i problemi di scoliosi. Ridurre l’impatto della sindrome di Rett sulla qualità di vita delle pazienti rimane fondamentale nel presente ma la futura chiave di cura per questa malattia può provenire solo dalle terapie avanzate.

TERAPIE AVANZATE PER LA SINDROME DI RETT

“I farmaci tradizionali agiscono sugli aspetti fisiopatologici e sui sintomi di una malattia, le terapie avanzate [in gergo tecnico si chiamano ATMP, Advanced Therapy Medicinal Products, N.d.R.] invece agiscono sulla causa stessa della malattia”, spiega Alessandra Renieri, Professore Ordinario di Genetica Medica all’Università degli Studi di Siena e Direttore dell’U.O.C. di Genetica Medica dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Siena. “Tra le terapie avanzate la terapia genica permette di fornire alle cellule una copia sana del gene della malattia in modo tale da ristabilire le funzioni perdute col prodursi della mutazione. Esistono terapie geniche ex vivo che implicano un prelievo di cellule dal midollo osseo del paziente. Queste cellule vengono poi modificate per esprimere la correzione e reinfuse nel paziente stesso. Un esempio rappresentativo di questa categoria è dato da Strimvelis, la terapia genica contro l’ADA-SCID sviluppata nei laboratori dell’Istituto San Raffaele Telethon per la Terapia Genica di Milano. Diversamente, nelle le terapie geniche in vivo la correzione della mutazione si realizza nell’organismo del paziente, senza dover prelevare e reinfondere le cellule”. In Europa sono state approvate cinque terapie geniche in vivo, contro la distrofia retinica ereditaria, l’atrofia muscolare spinale (SMA), il deficit di decarbossilasi degli L-acidi aromatici e le ultime due, rispettivamente contro l’emofilia A e B. TSHA-102 - uno dei due approcci di terapia genica in studio contro la sindrome di Rett - appartiene a questa categoria.

LA TERAPIA GENICA

“Il problema principale del gene MECP2 è legato alla sua attività di regolatore trascrizionale”, spiega Meloni, che lavora nell’Unità di Genetica Medica diretta dalla prof.ssa Renieri e che da molti anni si è dedicata allo studio della sindrome di Rett. “Infatti, MECP2 innesca svariati processi biologici che conducono all’accensione o allo spegnimento di vie di segnalazione che sottendono un equilibrio essenziale per il buon funzionamento del cervello. Pertanto, se l’assenza di MECP2 è causa della sindrome di Rett, una quantità eccessiva dello stesso gene porta alla sindrome da duplicazione di MECP2, una patologia contraddistinta da grave ritardo mentale”. Fornire il gene corretto attraverso la terapia genica è una delle possibilità di curare la malattia all’origine ma riuscire a dare alle cellule la giusta dose del gene è un’impresa assai complessa.

TSHA-102 è una terapia genica che sfrutta un virus adeno-associato di tipo 9 (AAV9) per fornire alle cellule una copia corretta del gene malato. “Essa si basa su un sistema in grado di auto-regolarsi”, precisa ancora Meloni. “In questo modo, l’espressione di MECP2 a livello dei neuroni si manterrà sempre entro un certo livello, evitando una sovraespressione del gene”. Nello studio di Fase I/II REVEAL avviato presso il CHU Sainte-Justine, il centro ospedaliero universitario per madri e bambini dell’Université de Montréal, in Canada, si stanno testando l’efficacia e soprattutto la sicurezza di TSHA-102 su un gruppo di 12 pazienti adulte. “La principale incognita dello studio REVEAL è se il gene MECP2 fornito dall’esterno arriverà a un numero sufficiente di cellule da suscitare un effetto positivo”, afferma la ricercatrice toscana commentando la notizia dell’arruolamento della prima paziente del trial.

Un secondo approccio di terapia genica è quello sviluppato dalla biotech Neurogene, che ha progettato e dato avvio a un altro studio clinico di Fase I/II su 5 giovani donne, di età compresa tra 4 e 10 anni, affette da sindrome di Rett. “NGN-401 - questo il nome della terapia genica sperimentale di Neurogene - utilizza un sistema di controllo dell’espressione genica di MECP2 simile a quello di TSHA-102 ma prevede una somministrazione del farmaco direttamente nel cervello delle pazienti”, aggiunge Meloni. “Lo studio valuta attualmente una singola dose di terapia genica e ha come obiettivo principale la verifica della sicurezza della terapia genica”.

“Dopo tanti studi di genetica sulla sindrome di Rett svolti su modelli animali, l’intera comunità Rett nutre grandi speranze per sperimentazione clinica su pazienti affette da questa patologia rara e complessa”, afferma Maria Grazia Donato, rappresentante di AIRETT e mamma di una ragazza con sindrome di Rett. “Siamo tutti costantemente interessati agli aggiornamenti che saranno forniti sui dati raccolti dopo la somministrazione alla prima paziente presso l’ospedale di Montreal. Ma siamo anche consapevoli che ricercatori e clinici abbiano ancora molto da approfondire per ottimizzare la terapia prima che essa diventi realmente disponibile per tutti gli individui colpiti dalla sindrome di Rett. Tuttavia, continuiamo a credere nella scienza e nei successi che riuscirà a cogliere per giungere a trattare radicalmente questa malattia”.

LA VIA DELL’EDITING DEL GENOMA

La speranza della Comunità delle pazienti è che presto uno di questi approcci sia disponibile anche in Europa e in Italia ma, nel frattempo, altre strategie contro la sindrome di Rett sono in fase di studio e, tra queste, anche quelle basate sull’editing del genoma. “A differenza della terapia genica, che agisce per aggiunta o sostituzione del gene mutato, l’editing del genoma permette di correggere la mutazione specifica, ripristinando la giusta sequenza di basi che formano il gene”, spiega Renieri. “Le tecniche di editing del genoma, come CRISPR-Cas9, costituiscono la più moderna frontiera delle biotecnologie e la punta di diamante delle terapie avanzate”.

Una collaborazione internazionale che vede protagonisti l’Università di Siena, l’Istituto per lo Studio la Prevenzione e la Rete Oncologica (ISPRO) con sede a Firenze, il Centre Européen de Recherche en Biologie et en Médecine di Strasburgo, il Central Institute of Mental Health di Manheim e la Fundacio Vall d’Hebron Institut de Ricerca (VHIR) di Barcellona sta lavorando su un sistema di correzione per quattro delle più comuni mutazioni del gene MECP2.

Stiamo ancora valutando il tasso di correzione del sistema e la sua sicurezza sia sulle colture cellulari classiche sia in modelli tridimensionali noti come organoidi”, conclude Meloni. “Entro la conclusione del progetto - fissata per la fine del 2024 - contiamo di aver fatto il passaggio nel modello murino per almeno una delle quattro mutazioni. L’obiettivo è poi di proseguire il lavoro sulle altre e arrivare nel prossimo futuro a disporre di farmaci basati sull’editing del genoma per trattare la gran parte delle pazienti affette da sindrome di Rett”.

Per un ulteriore approfondimento delle terapie geniche e delle ricerche sull’editing genomico per la sindrome di Rett è possibile leggere l’articolo pubblicato su Osservatorio Terapie Avanzate.

Leggi anche: “Sindrome di Rett, approvata la prima terapia farmacologica

 

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