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La video-intervista al prof. Matteo Di Minno: “Ci aspettiamo dal farmaco quello che abbiamo già osservato negli studi clinici: una modifica radicale nel pannello lipidico di questi pazienti”

In questi giorni, i medici dell'Università Federico II di Napoli saranno i primi in Italia ad utilizzare l'anticorpo monoclonale evinacumab. Il nuovo farmaco, approvato nel giugno 2021 dalla Commissione Europea, dal mese scorso è rimborsato in Italia come coadiuvante della dieta e di altre terapie per la riduzione del colesterolo LDL (lipoproteine a bassa densità) nel trattamento di adulti e adolescenti, di età superiore a 12 anni, affetti da ipercolesterolemia familiare omozigote (HoFH)

Come spiega Matteo Di Minno, Professore Ordinario di Medicina Interna all'Università Federico II di Napoli, per le patologie rare, e soprattutto per quelle che sono state fino a poco tempo fa orfane di un trattamento efficace, vale la regola secondo cui si cura meglio dove si fa ricerca. “Noi, a breve, utilizzeremo per la prima volta evinacumab nell'ambito del sistema sanitario nazionale, ma abbiamo già una storia, una tradizione: infatti, abbiamo avuto modo di partecipare agli studi clinici registrativi sul farmaco, quindi abbiamo già un'esperienza in diversi pazienti: sappiamo come usare questa molecola, cosa aspettarci e come ottimizzare la risposta terapeutica”, sottolinea Di Minno ai microfoni di OMaR (clicca qui o sull’immagine dell’articolo per guardare la video-intervista).

“Grazie anche al team che lavora nei trial clinici nell'ambito del Laboratorio per le Dislipidemie, è stato possibile individuare una serie di pazienti ideali per questo tipo di trattamento. Per loro non nutriamo solo una speranza utopistica, ma ci aspettiamo quello che abbiamo già osservato, ovvero una modifica radicale nel loro pannello lipidico. Finalmente siamo riusciti a gestirli, per la prima volta, in maniera adeguata, mantenendo nel tempo i risultati. Questo consentirà realmente di poter fare una prevenzione vascolare in questi pazienti, che sono ad altissimo rischio sia per eventi pregressi, sia per gli elevati livelli di colesterolo che presentano in questo momento”, conclude il prof. Di Minno.

Soddisfazione anche per le dottoresse Gabriella Iannuzzo e Ilenia Calcaterra, ricercatrici di Medicina Interna presso il Dipartimento di Medicina Clinica e Chirurgia della Federico II. “I pazienti con ipercolesterolemia familiare omozigote, come tutti quelli affetti da malattie rare, sono perfettamente edotti sulla patologia da cui sono affetti e sui rischi ad essa legati”, ha dichiarato la dr.ssa Iannuzzo. “Alcuni di loro, nel corso della vita, hanno fatto esperienza della morte in giovanissima età di fratelli affetti dalla stessa patologia, o si sono sottoposti a tante terapie, farmacologiche e non, con vari effetti collaterali e con risultati parziali. In questo contesto, evinacumab si presenta come un farmaco efficace e sicuro: la sua somministrazione endovenosa, in assenza pressoché totale di effetti collaterali, determina una riduzione significativa del colesterolo LDL, risultato percepito a pieno dal paziente”.

Seguo i pazienti con ipercolesterolemia familiare omozigote sin dall’inizio del mio percorso di specializzazione”, conclude la dr.ssa Calcaterra. “Ho imparato a conoscere le loro storie e insieme abbiamo affrontato un percorso terapeutico che spesso ha comportato interventi invasivi come l’aferesi lipoproteica. La possibilità che abbiamo offerto ai nostri pazienti con l’accesso ai programmi di sperimentazione di evinacumab è stata unica. Per la prima volta abbiamo avuto la possibilità di comunicare che il loro colesterolo aveva raggiunto valori comparabili a quelli di soggetti sani e che potevano sospendere le procedure invasive. È stato un momento indimenticabile”.

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