Professor Carlo Vancheri

Il prof. Carlo Vancheri: “La sicurezza del farmaco e la sua capacità di rallentare il decorso della malattia sono coerenti con gli studi di Fase III”

Catania – I dati real world sul trattamento con pirfenidone nei pazienti affetti da fibrosi polmonare idiopatica (IPF) sono estremamente limitati. Con l'obiettivo di colmare questa lacuna, un gruppo di esperti italiani ha valutato l'efficacia del farmaco in un'ampia coorte di pazienti nella pratica clinica di routine: lo studio osservazionale e retrospettivo, chiamato Italian Real-world Esbriet National Experience (IRENE), ha coinvolto ben 18 centri. La fibrosi polmonare idiopatica è una malattia progressiva, debilitante, irreversibile e fatale: i polmoni si riempiono di tessuto fibroso e la malattia toglie letteralmente il fiato, fino all'insufficienza respiratoria. Nelle coorti storiche, i pazienti senza trattamento hanno avuto una sopravvivenza media di 2-5 anni dal momento della diagnosi.

Il pirfenidone è un agente antifibrotico orale per il trattamento di pazienti con IPF, approvato in Europa nel 2011 e negli Stati Uniti nel 2014, ed è raccomandato dalle linee guida internazionali. Negli studi clinici di Fase III, il farmaco ha dimostrato di poter ridurre il tasso di declino della capacità vitale forzata (FVC) fino a 72 settimane, con un profilo di sicurezza gestibile, e in un'analisi aggregata di questi dati, il trattamento con pirfenidone per 52 settimane è stato associato a un rischio ridotto di mortalità per tutte le cause rispetto al placebo. Studi di follow-up a lungo termine, infine, hanno confermato l'efficacia e la sicurezza del farmaco.

Lo studio real-world IRENE ha incluso 379 pazienti, di età media 67,6 anni, per il 78,1% maschi e per il 68,9% ex fumatori. Dopo 12 mesi di trattamento con pirfenidone, la variazione media rispetto al basale nella FVC era di -81,8 mL e la percentuale di pazienti con almeno il 10% di declino assoluto nella percentuale di FVC prevista era del 16%; questi erano gli outcome primari di efficacia. La progressione della malattia era simile tra i sottogruppi prespecificati in base a sesso, età, presenza o assenza di enfisema, pattern di polmonite interstiziale usuale (UIP) su tomografia computerizzata ad alta risoluzione e funzione polmonare al basale. Complessivamente, si sono verificati 211 eventi avversi nel 39,3% dei pazienti, gravi nell'8,2% dei casi e più frequentemente di tipo cutaneo e gastrointestinale. Inoltre, si sono verificate 9 interruzioni del trattamento a causa di eventi avversi, e 15 pazienti (il 4%) sono deceduti.

“Le sperimentazioni cliniche, seppur fondamentali, hanno il limite di includere solo pazienti selezionati sulla base di specifiche caratteristiche: vengono quindi esclusi tutti quei pazienti che invece vediamo ogni giorno nei nostri ambulatori”, ha spiegato il prof. Carlo Vancheri, direttore del Centro di Riferimento Regionale siciliano per la Prevenzione, Diagnosi e Cura delle Malattie Rare del Polmone, primo autore dello studio pubblicato sulla rivista Respiratory Medicine. “È questo il motivo per cui oggi hanno sempre più importanza i cosiddetti studi di real life, dove i pazienti, le malattie e gli effetti dei farmaci vengono studiati in un contesto che meglio risponde alla normale realtà clinica. Nel nostro studio abbiamo valutato la sicurezza e l'efficacia del pirfenidone nella fibrosi polmonare idiopatica in una situazione di real life”, prosegue il prof. Vancheri. “Lo studio è stato condotto in diversi Centri italiani e ha sostanzialmente confermato i risultati degli studi sperimentali, sia per quanto riguarda il profilo di sicurezza del farmaco, sia soprattutto per la sua capacità di rallentare il decorso di una malattia così grave come la fibrosi polmonare idiopatica”.

Hai una domanda sulla fibrosi polmonare idiopatica? Puoi rivolgerla al prof. Carlo Vancheri, grazie al nostro servizio gratuito “L'esperto risponde”.

Clicca QUI per consultare la guida di O.Ma.R. ai centri italiani per la IPF.

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