Intervista al prof. Vincenzo Leuzzi, ordinario di Neuropsichiatria infantile all’Università La Sapienza di Roma e Responsabile della UOC di Neuropsichiatria Infantile presso il Policlinico Umberto I
La fenilchetonuria (PKU) oggi non è più una malattia solo pediatrica. Anzi, i pazienti adulti in Italia e in Europa sono ormai la maggioranza grazie soprattutto allo screening neonatale esteso, in Italia obbligatorio per legge dal 1992. A spiegarlo durante la Conferenza Internazionale ES PKU svoltasi a Mestre (Venezia) dall’1 al 4 novembre 2018 è il prof. Vincenzo Leuzzi, ordinario di Neuropsichiatria infantile all’Università La Sapienza di Roma e Responsabile della UOC di Neuropsichiatria Infantile presso il Policlinico Umberto I di Roma.
“Lo screening neonatale ha cambiato la vita dei pazienti affetti da PKU, perché ora viene diagnosticata alla nascita. Una volta, quando la patologia veniva intercettata tardi, era la più frequente causa di disabilità intellettiva a carico di una malattia metabolica. Fortunatamente la fenilchetonuria è la prima malattia genetica che si è dimostrata curabile”.
“In Italia – prosegue – si contano all’incirca 5mila pazienti, ma è difficile avere una stima precisa perché manca un registro nazionale. Un passo avanti però è stato compiuto con la pubblicazione delle prime linee guida nel 2017, e a livello europeo si è già cominciato a lavorare per il loro aggiornamento che avverrà tra cinque anni. Ci sono infatti alcune novità, rispetto all’anno scorso: sono state scoperte nuove forme biochimiche associate all’aumento della fenilalanina, e di conseguenza i protocolli di diagnosi differenziale in fase di screening neonatale andranno aggiornati. C’è poi la speranza che vengano resi disponibili anche in sede europea i nuovi trattamenti per la patologia, come ad esempio la terapia di sostituzione enzimatica, ad oggi commercializzata solo negli Usa”.
“La PKU ha risultati estremamente soddisfacenti dal punto di vista terapeutico, è una malattia perfettamente trattabile. Ma c’è bisogno di una maggiore elasticità nel consentire i nuovi trattamenti, perché ad oggi devono rispettare dei criteri piuttosto rigidi: ogni nuova terapia deve dare risultati migliori di quelli ottenuti seguendo soltanto la dieta aproteica, e deve dimostrare non solo di essere più sicuro, ma anche di riuscire a migliorare la qualità di vita del paziente. Il problema maggiore però – continua il prof. Leuzzi – è che in Italia non esistono centri di riferimento per adulti. Ne sono presenti solo due in tutta Europa, in Francia e Gran Bretagna. Ma soprattutto mancano dei medici specializzati per la patologia dell’adulto. Mentre in pediatria la fenilchetonuria è seguita da medici specializzati in medicina interna del bambino, non esiste un corrispettivo per i pazienti adulti. E’ prioritario quindi che vengano formate nuove figure specializzate in malattie metaboliche nell’adulto. Io, ad esempio, pur essendo un neuropsichiatra infantile, seguo un centinaio di pazienti adulti, alcuni hanno anche 60 anni, e tra questi ci sono pazienti anziani non trattati in precedenza, quindi con gravi problematiche neurologiche e psichiatriche”.
La fenilchetonuria è dunque una malattia con la quale oggi si diventa adulti. La terapia però deve essere seguita per tutta la vita. Ad oggi la terapia è prevalentemente dietetica: si basa sull’assunzione di alimenti aproteici, integrando la quota proteica grazie a speciali integratori a base di aminoacidi specifici. “L’aderenza terapeutica – continua Leuzzi – per l’adulto è importantissima, anche se non si sa ancora in che misura: ci sono infatti adulti che riescono ad avere una vita normale senza dover seguire la dieta aproteica, e altri che altrimenti andrebbero incontro ad un veloce declino cognitivo. Ad oggi purtroppo non è possibile capire in anticipo chi andrà in una direzione e chi in un’altra, di conseguenza è fondamentale che tutti seguano la dieta finché non troveremo un marcatore che ce lo predica. Individuare questo marcatore in modo da personalizzare la terapia dev’essere la nuova sfida della ricerca”.
“L’aderenza terapeutica – conclude Leuzzi – è ancor più importante in situazioni ad elevata complessità, in particolare per le pazienti in gravidanza. Affrontare una gravidanza con la PKU è oggi assolutamente possibile, ma è necessario uno stretto monitoraggio perché le pazienti devono mantenere livelli di fenilalanina ancora più bassi rispetto allo standard consentito all’adulto, per evitare malformazioni del feto (fetopatie da fenilalanina)”.
La Conferenza ES PKU 2018 è stata organizzata dalla European Society for Phenylketonuria and Allied Disorders Treated as Phenylketonuria (E.S.PKU), in partnership con l’italiana Cometa A.S.M.M.E. Onlus, Associazione Studio Malattie Metaboliche Ereditarie Onlus, grazie anche al contributo incondizionato di Applied Pharma Research s.a (APR), azienda specializzata nello sviluppo di prodotti per la cura della salute ad elevato contenuto scientifico, che, ha sviluppato PKU GOLIKE®, nuova linea di alimenti a fini medici speciali per la fenilchetonuria.
Leggi anche: "Fenilchetonuria: la storia di Lisa, diventata mamma nonostante la malattia".
Seguici sui Social