Grazie al suo meccanismo d’azione, questa nuova molecola potrebbe rivelarsi utile anche in altre malattie ematologiche, come talassemia e anemia falciforme
Il deficit di piruvato chinasi (deficit di PK o PKD) è uno dei numerosi difetti enzimatici che riguardano il globulo rosso ed è causa di un’anemia emolitica cronica di gravità variabile: in parole semplici, questa malattia determina una diminuzione di emoglobina nel sangue (anemia) associata a distruzione degli stessi globuli rossi (emolisi). Fino a qualche tempo fa, la terapia d’elezione per il deficit di PK era rappresentata dalle trasfusioni, ma l’avvento di una nuova categoria di farmaci, i cosiddetti attivatori allosterici dell’enzima piruvato chinasi, ha modificato i protocolli terapeutici per la patologia, garantendo alla gran parte dei pazienti una risposta sostenuta e duratura in termini di rialzo dell’emoglobina.
“Al momento attuale, sullo scenario mondiale sono disponibili due distinte molecole appartenenti a questa specifica tipologia farmacologica”, afferma Lucia De Franceschi, professoressa presso l’Università di Verona e in forza al Dipartimento di Medicina del Policlinico Giambattista Rossi, Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata di Verona. “Si tratta di etavopivat e mitapivat: quest’ultimo farmaco è il più studiato dei due e agisce come attivatore della piruvato chinasi, favorendone la permanenza in uno stato disponibile alla fosforilazione, cioè per la generazione di ATP alla fine della cascata glicolitica”. Infatti, la piruvato chinasi è l’ultimo enzima della lunga e complessa via metabolica della glicolisi, grazie a cui viene generata, sottoforma di ATP, l’energia necessaria al sostentamento del globulo rosso. Va da sé, quindi, che una classe di medicinali che sia in grado di iper-attivare la piruvato chinasi gioca un ruolo fondamentale in una patologia come il deficit di PK, in cui è proprio questo enzima a scarseggiare, con conseguente compromissione della funzionalità dei globuli rossi: infatti, per la sua comprovata efficacia, mitapivat è stato recentemente approvato in Europa e negli Stati Uniti per il trattamento della malattia.
Tuttavia, il particolare meccanismo di azione dei farmaci attivatori della piruvato chinasi rende questo tipo di molecole potenzialmente utile anche per altre patologie, come l’anemia a cellule falciformi o la talassemia, nelle quali si osserva un danneggiamento o un’inefficace produzione di globuli rossi. “In uno studio di Fase II, cosiddetto proof-of-concept, l’utilizzo di mitapivat ha prodotto un miglioramento nei livelli di emoglobina e negli indici di emolisi di pazienti affetti da anemia falciforme”, spiega De Franceschi. “L’impatto della molecola, però, non è stato valutato in relazione al dolore o alle crisi vaso-occlusive di cui soffrono i pazienti ma solo in relazione al grado di emolisi”.
In ambito talassemico, invece, uno studio apparso su The Journal of Clinical Investigation, condotto dall’equipe di ricerca della stessa prof.ssa De Franceschi, ha evidenziato, in un modello murino di beta-talassemia intermedia, la capacità di mitapivat di migliorare l’eritropoiesi [ossia la produzione di globuli rossi, N.d.R.] a livello del midollo e della milza. “Mitapivat agisce diminuendo il sovraccarico di ferro tipicamente osservabile nel paziente talassemico e migliorando la sopravvivenza dei globuli rossi in circolo”, conferma De Franceschi.
Il termine beta-talassemia, tuttavia, comprende un ampio e frastagliato gruppo di malattie causate da diverse mutazioni a livello del gene beta-globinico: come è dunque possibile che farmaci attivatori dell’enzima piruvato chinasi funzionino contro questo tipo di patologie? “La talassemia è una patologia con eritropoiesi inefficace e mitapivat, giacché contribuisce a fornire energia al globulo rosso, compensa tale meccanismo patologico”, precisa Silverio Perrotta, professore di Pediatria presso l’Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli” e Responsabile dell’Unità di Ematologia e Oncologia Pediatrica dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria “Luigi Vanvitelli” di Napoli. Infatti, in modelli murini di talassemia – e poi anche in pazienti affetti da beta talassemia intermedia e major – è stato dimostrato che l’aumentata espressione delle isoforme R e M2 della piruvato chinasi (PK) rappresenta un tentativo del globulo rosso di sopravvivere allo stress ossidativo. “Mitapivat agisce proprio attivando queste isoforme di PK, producendo un ambiente meno ossidato, che favorisce l’eritropoiesi, e consentendo al globulo rosso che entra in circolo di sopravvivere meglio”, precisa De Franceschi.
Sulla base di questi dati è stato possibile dare avvio alla sperimentazione clinica di mitapivat nella talassemia: un recente studio di Fase II, condotto su pazienti affetti da alfa e beta talassemia non trasfusione-dipendente, ha dimostrato come il trattamento con questo farmaco, allo stesso dosaggio usato per il deficit di PK, sia in grado di produrre un rialzo dei livelli di emoglobina superiore a 1 g/dL. Tali risultati hanno consentito di progettare due successivi studi clinici di Fase III rivolti a pazienti affetti rispettivamente da talassemia intermedia e talassemia major. “Il criterio alla base di queste sperimentazioni – sottolinea Perrotta – è la presenza di una malattia che non comprometta totalmente la sintesi della piruvato chinasi, perché mitapivat, per produrre benefici, deve poter svolgere la sua azione su questo specifico enzima”.
In conclusione, sebbene sviluppato e approvato per il deficit di PK, mitapivat sembra avere delle potenzialità terapeutiche più ampie che potrebbero portarlo a inserirsi negli odierni protocolli di trattamento di diverse patologie ematologiche. “Nello scenario medico attuale, questo farmaco ha un valore integrativo e non sostitutivo – conclude De Franceschi – e potrebbe rivelarsi utile per i pazienti affetti da anemie gravi che non trovano risposta in altri farmaci, come ad esempio luspatercept”.
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