Una revisione della letteratura ha messo in luce un altro dato interessante: nel 18% dei casi la condizione è dovuta ad amiloidosi da catene leggere
Ferrara – Il 14 ottobre 2022 cessava di battere il cuore del prof. Claudio Rapezzi, a causa di un arresto cardiaco avuto mentre stava per collegarsi da casa per una lettura congressuale sull’amiloidosi cardiaca, l’ultima delle sue grandi passioni scientifiche, professionali e di ricerca clinica. Il cardiologo era diventato uno dei maggiori esperti di questa patologia a livello mondiale e, a un anno dalla sua scomparsa, continuano a comparire sulle riviste scientifiche, postumi, tanti suoi studi. In uno degli ultimi paper pubblicati quando era ancora in vita, Rapezzi ha guidato un team di esperti che ha approfondito la prevalenza di questa malattia, con particolare attenzione all'età e al sesso dei pazienti.
Finora, la conoscenza dell'epidemiologia dell'amiloidosi cardiaca si è basata principalmente su studi 'real-world', che utilizzano dati provenienti dal mondo reale: da pazienti interni o ambulatoriali, o da registri di soggetti diagnosticati. Questi dati hanno portato a classificarla come una malattia rara, vale a dire come una condizione che colpisce meno di 5 persone su 10.000. Negli ultimi anni, però, due importanti progressi – lo sviluppo di un algoritmo per la diagnosi non invasiva dell'amiloidosi cardiaca da transtiretina e l'avvento di nuove terapie modificanti la malattia – hanno spinto i medici a ricercare sempre più attivamente questa condizione in diversi contesti clinici.
Nello studio pubblicato sulla rivista European Journal of Heart Failure, il team coordinato da Rapezzi ha eseguito una ricerca sistematica nella letteratura scientifica per selezionare 31 studi di screening sull'amiloidosi cardiaca: 6 avevano un disegno retrospettivo, 21 un disegno prospettico e 4 erano serie forensi.
La prevalenza della malattia nei diversi contesti (ovvero in soggetti con uno o più 'campanelli d'allarme' per la patologia, o in individui non selezionati) è risultata la seguente: 1% in persone sottoposte a scintigrafia ossea per motivi non cardiaci; 12% in individui con insufficienza cardiaca con frazione di eiezione conservata; 10% in persone con insufficienza cardiaca con frazione di eiezione ridotta o lievemente ridotta; 2% nei casi di disturbi della conduzione che giustificano l'impianto di pacemaker; 7% nei casi di intervento chirurgico per sindrome del tunnel carpale; 7% in persone con cardiomiopatia ipertrofica; 8% in individui con stenosi aortica grave; 21% in autopsie eseguite su individui anziani non selezionati.
L'età media dei pazienti affetti da amiloidosi cardiaca variava da 74 a 90 anni e la prevalenza della patologia aumentava con l'età. La percentuale di uomini affetti andava dal 45% nelle serie di autopsie fino al 100% nello scompenso cardiaco con frazione di eiezione ridotta o lievemente ridotta. Le donne affette rappresentavano il 27% dei pazienti con insufficienza cardiaca con frazione di eiezione conservata e il 36% di quelli con sindrome del tunnel carpale (due contesti con una preponderanza femminile), ma anche il 33% dei pazienti con stenosi aortica grave. Queste osservazioni richiederanno ulteriori indagini sulla relazione biologica fra sesso e amiloidosi cardiaca.
Come ampiamente previsto, la maggior parte dei pazienti era affetto da amiloidosi da transtiretina (ATTR), ma la percentuale media di pazienti con amiloidosi da catene leggere (AL) arrivava sorprendentemente fino al 18%, una quota tutt'altro che trascurabile. Il percorso diagnostico dovrebbe quindi includere la ricerca di una proteina monoclonale, affinché anche questi pazienti ottengano una diagnosi: la forma AL non trattata, infatti, ha una prognosi infausta e una sopravvivenza molto più breve rispetto alla forma ATTR.
La ricerca attiva dell'amiloidosi cardiaca in contesti specifici consente dunque di identificare un numero relativamente elevato di casi che possono essere eleggibili al trattamento se la diagnosi è inequivocabile, e questo dato è in accordo con l'idea che non si tratti di una malattia rara. “È ragionevole concludere che le strategie di screening hanno maggiori probabilità di rilevare l'amiloidosi cardiaca in uomini e donne di 70 o 80 anni che mostrano sintomi di insufficienza cardiaca o disturbi della conduzione, sindrome del tunnel carpale con indicazione alla chirurgia, ispessimento del ventricolo sinistro inspiegabile o sproporzionato, oppure stenosi aortica grave”, sottolineano gli autori dello studio.
“È fondamentale identificare le strategie più convenienti per l'identificazione della malattia nei diversi contesti. Indagini su larga scala, che considerino il fenotipo clinico ed ecocardiografico e la combinazione di segnali d'allarme, come lo studio AC-TIVE oggi in corso a livello nazionale, sono cruciali per raggiungere questo obiettivo”.
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