Intervista al prof. Luzzatti sul favismoTutti gli altri legumi sono assolti. E la crisi emolitica per inalazione di pollini è solo una leggenda

Dar es Salaam (Tanzania) – Quod aliis cibus est aliis fuat acre venenum (Quello che per alcuni è cibo, per altri è un aspro veleno), scrisse il poeta e filosofo Lucrezio. Ma già 500 anni prima, nel V secolo a.C., Pitagora fu il primo a dichiarare che le fave possono essere pericolose e addirittura letali per gli esseri umani. La carenza di glucosio-6-fosfato deidrogenasi (G6PD) è il più comune deficit enzimatico umano, presente in oltre 500 milioni di persone nel mondo e 400 mila in Italia.

“Ma non chiamiamola malattia”, avverte il prof. Lucio Luzzatto, raggiunto telefonicamente a Dar es Salaam, in Tanzania, dove dal 2015 svolge attività clinica e insegna presso la facoltà di Medicina e la scuola di specializzazione in Ematologia della Muhimbili University. “Non si tratta di una malattia, ma di una variante genetica che comporta il rischio, in determinate condizioni, di anemia acuta: più esattamente di una crisi emolitica, ovvero distruzione dei globuli rossi”.

Ematologo, oncologo e genetista di fama mondiale, Luzzatto è fra i maggiori esperti di deficit di G6PD, oltre che di anemia drepanocitica e di emoglobinuria parossistica notturna. Per 10 anni a capo dell'Istituto Toscano Tumori e precedentemente dell'Istituto di genetica e biofisica del CNR di Napoli, ha diretto in passato anche il Dipartimento di Genetica Umana del Memorial Sloan-Kettering di New York, uno dei più importanti centri di ricerca sul cancro del mondo. Autore di oltre 300 pubblicazioni in riviste scientifiche internazionali, ha esercitato la professione medica in Italia, Regno Unito, Nigeria e nello Stato di New York.

Sul deficit di G6PD Luzzatto, con il collega Paolo Arese dell'Università di Torino, ha recentemente pubblicato un articolo sul prestigioso New England Journal of Medicine, per fare una messa a punto sull'argomento e per sgombrare il campo da alcune leggende che girano intorno a questo difetto.

Professore, partiamo da un'importante distinzione: io ho sempre detto di essere fabico, ma non ho mai avuto una crisi emolitica. Ho sbagliato a definirmi così?

“Sì, lei è G6PD enzimopenico, ha cioè il genotipo di una variante enzimatica, ed è – come avviene quasi sempre – asintomatico. Se dovesse avere una crisi emolitica, allora potrebbe dire di essere fabico: altrimenti lo è solo potenzialmente”.

Da quali sintomi si riconosce una crisi emolitica?

“L’anemia acuta del favismo provoca spossatezza, febbre, tachicardia, dolori addominali, urine scure e ittero. Il favismo è pericoloso soprattutto nei bambini: se l'attacco è grave deve essere curato non solo con l'idratazione ma anche con trasfusioni di sangue”.

In Sardegna, dove vivo, il deficit di G6PD è estremamente diffuso.

“In Italia le aree con maggiore frequenza sono la Sardegna, il Delta del Po e parte del Meridione. In Sardegna, nell'arco di 20 anni, l'incidenza del favismo è diminuita del 75% dopo l'introduzione dello screening neonatale e dell'educazione sanitaria. Resta comunque la zona nel Mediterraneo dove è più diffuso in assoluto: nel 13% della popolazione, la stessa percentuale che si registra qui in Tanzania, anche se le varianti genetiche sono diverse. In Nigeria la prevalenza è intorno al 22%, in alcune zone del sud-est asiatico si arriva addirittura al 30%. Il deficit di G6PD è più frequente nelle zone colpite dalla malaria: è proprio un'impronta che ci dice che lì la malaria è o è stata endemica. Tra le persone G6PD enzimopeniche, le donne sono maggiormente protette dalla malaria, che qui in Africa c'è ancora: grazie a questa caratteristica genetica sono quasi immuni dalla forma mortale della malattia. Inoltre, in Africa tropicale non si coltivano le fave (popolari invece nel Nord Africa), perciò qui non si rischia il favismo”.

Come avviene la trasmissione del deficit?

“Il gene della G6PD è sul cromosoma X. Pertanto nei maschi, se il loro unico cromosoma X ha il gene enzimopenico, tutti i loro globuli rossi saranno enzimopenici; nelle donne invece vi è di solito un cromosoma X affetto e uno normale (si chiamano eterozigoti): quindi, in media, se avranno il favismo sarà in forma più lieve. Le femmine portatrici del gene anomalo possono trasmettere il deficit a tutti i loro figli, i maschi solo alle figlie”.

Molti sostengono che – oltre alle fave – sia opportuno stare alla larga da altri legumi come piselli, fagioli, ceci, lenticchie, lupini e soia. Altri aggiungono alla lista il vino rosso, i mirtilli e le bevande che contengono chinino, come l'acqua tonica e alcuni amari. Personalmente, a parte le fave, non ho mai rinunciato a nulla di tutto ciò: ho rischiato?

“Ha fatto benissimo, perché le fave sono l'unico alimento a poter provocare un'emolisi. Qui entriamo nel campo dell'aneddotica: non vi è alcun dato pubblicato che documenti emolisi a seguito di qualunque degli altri cibi e bevande che ha elencato. Fino a qualche decennio fa le fave erano come dei sacchetti contenenti materiale ignoto: si sapeva che potevano essere pericolose, ma si ignorava il perché. Oggi invece sappiamo che i fattori scatenanti dell'emolisi nel favismo sono due sostanze che hanno nomi e struttura chimica ben precisa: vicina e convicina. Queste sostanze sono presenti solo nelle fave; gli altri legumi non le contengono, o le contengono solo in tracce trascurabili. È un peccato che su vari siti web, soprattutto negli Stati Uniti, si stia facendo quello che chiamerei quasi terrorismo psicologico riguardo alla soia, che come additivo si trova un po' ovunque: si tratta di un allarme ingiustificato”.

Diverse persone raccontano di aver avuto un malore mentre si trovavano nei dintorni di un campo di fave. Anche i pollini possono creare dei problemi o si tratta di un'altra leggenda?

“In cinquant'anni di professione non ho mai visto una sola cartella clinica di un paziente che ha avuto una crisi emolitica acuta per aver inalato pollini di fave (senza averle anche mangiate!). Il motivo è che la vicina e la convicina non sono sostanze volatili, per cui la loro inalazione non è possibile. Anni fa, ho passeggiato per 15 minuti in un bellissimo campo di fave in fiore in compagnia di un pediatra sardo che ha egli stesso enzimopenia G6PD, e chiaramente non è successo nulla: anche questo è un aneddoto, ma è vero. Se i genitori di un ragazzo con favismo acuto affermano che ha appena attraversato un campo di fave senza mangiarle, ci sono due possibili spiegazioni: o il ragazzo le ha mangiate di nascosto, o i genitori sono imbarazzati a riferire che le ha mangiate. È possibile che qualcuno sia allergico al polline: ma ciò non causa una crisi emolitica e non ha a che fare con l'enzimopenia G6PD”.

Fino a pochi anni fa, i G6PD carenti venivano esclusi dal servizio militare: io stesso sono stato riformato per questo motivo.

“Non mi pronuncio su questo, perché potrebbero esservi circostanze particolari: ad esempio, in zone malariche, i militari ricevono profilassi con primachina, che potrebbe causare emolisi in chi è enzimopenico. Negli ultimi anni ho sostenuto le richieste di persone enzimopeniche per entrare nei Vigili del Fuoco o nella Guardia di Finanza, e le richieste hanno avuto successo”.

La lista dei farmaci proibiti è nota (qui l'elenco) fornito dall'Istituto Superiore di Sanità). Ci sono altre sostanze da evitare?

“Una sostanza chimica che, al contrario delle fave, può provocare delle crisi anche solo per inalazione è la naftalina, fortunatamente sempre meno utilizzata, negli armadi, per proteggere gli abiti dalle tarme. C'è poi l'henné, usato per tatuaggi temporanei e tinture per capelli: assolutamente da evitare perché può essere assorbito dalla cute e scatenare una crisi emolitica”.

I G6PD carenti possono donare il sangue?

“La Società Italiana Talassemie ed Emoglobinopatie (SITE) sottolinea che non vi sono normative nazionali o internazionali che facciano escludere donatori G6PD enzimopenici. Nelle aree ad elevata prevalenza di enzimopenia G6PD – aggiungono le raccomandazioni della SITE – unità di sangue G6PD enzimopenico sono usate correntemente e non vi sono evidenze di eventi avversi. Qui in Tanzania le scorte di sangue sono spesso carenti, e non potremmo permetterci di scartare questi donatori. Inoltre, è da notare che, come si è detto, la maggior parte di loro sono asintomatici e perciò non sanno di esserlo. Se un Centro Trasfusionale non fa il saggio della G6PD su tutti i donatori, avrà certo unità di sangue enzimopeniche: in altre parole, unità di sangue G6PD enzimopeniche vengono trasfuse ogni giorno all'insaputa di riceventi e di medici. Sarebbe strano allora escludere solo i donatori che sanno già di essere enzimopenici. Molto importante invece fare il saggio della G6PD su ogni unità di sangue destinata a trasfondere un neonato”.

Ho conosciuto diverse persone che dopo aver trascorso la vita a mangiare fave, hanno scoperto in tarda età di avere un deficit di G6PD. Come si spiega?

“La quantità di vicina e convicina nelle fave varia anche di dieci volte da coltivazione a coltivazione; inoltre, quelle più ricche di queste sostanze sono quelle più piccole e giovani, soprattutto se mangiate crude (personalmente sono quelle che, con olio e sale, trovo più squisite!). Le fave più grosse ne contengono meno, e con la cottura le sostanze vengono ulteriormente diluite. Inoltre, come è stato dimostrato in uno studio con l'utilizzo della primachina (un anti-malarico pericoloso per i G6PD carenti), l'insorgere e il decorso di crisi emolitiche è molto dose-dipendente: con una dose alta, l'anemia è più grave, mentre con una dose molto bassa può passare inosservata. Quindi, l'assaggio di una sola fava non è rischioso come quello di un piatto intero”.

A tale proposito, ho letto che nel suo articolo ha riportato un esperimento curioso...

Si tratta di uno studio, ora riportato sulla rivista Blood, del gruppo di Paolo Arese (Torino): curioso e incoraggiante. Sette uomini G6PD carenti hanno mangiato un piatto di fave da mezzo chilo, e nessuno di loro ha avuto conseguenze di alcun tipo, perché si trattava di fave “mutanti”, selezionate ad hoc perché contenevano un centesimo di vicina e convicina rispetto alle fave che troviamo di solito al mercato. Se si coltivasse solo questa varietà, si risolverebbe il problema del favismo in tutto il mondo.

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