Prof. Yvàn Torrente

Si tratta di patologie complesse che necessitano di una presa in carico multidisciplinare: Distinguerle è difficile ma fondamentale per fornire ai pazienti il giusto approccio terapeutico

Le distrofie muscolari dei cingoli (LGMD) sono in realtà un gruppo ampio ed eterogeneo di patologie rare, note anche come sarcoglicanopatie, calpainopatie, disferlinopatie, laminopatie ed altre ancora. Sono accomunate da un sintomo: il deficit stenico a carico del cingolo scapolare e pelvico. Le persone che ne sono affette quindi mostrano difficoltà ad alzare le braccia, sollevare pesi, fare le scale, ma il decorso clinico delle varie forme patologie è decisamente variabile. Alcune forme si manifestano nella prima infanzia, sono progressive ed estremamente invalidanti. Altre comportano sintomatologie lievi e non compromettono l’autonomia motoria di chi ne è affetto.

In anni recenti la comunità scientifica ha avvertito l’urgenza di introdurre una nuova nomenclatura per le varie forme di malattia rientranti sotto questo cappello. Una necessità dettata anche dal fatto che nuove terapie avanzate sono in fase di sviluppo, come spiega Yvàn Torrente, Professore di Neurologia all’Università degli Studi di Milano, neurologo presso la Fondazione IRCCS Cà Granda Ospedale Maggiore Policlinico di Milano e Direttore della Struttura Semplice di Terapie Cellulari e Geniche del Policlinico di Milano.

BIOLOGIA MOLECOLARE DELLE DISTROFIE DEI CINGOLI

“Negli ultimi anni abbiamo imparato molto circa le proteine difettose (o mancanti) che inficiano la funzionalità muscolare”, afferma Torrente. “In particolare, mettendo a fuoco il ruolo che esse svolgono anche in altri organi o distretti dell’organismo è stato possibile ragionare su soluzioni per curare le patologie scatenate dalla loro assenza o dalle aberrazioni che le riguardano, sviluppando nuovi ed efficaci trattamenti, tra cui le terapie geniche” Tutto ciò ha indotto i medici a rivedere il sistema di classificazione delle distrofie muscolari dei cingoli le quali, a partire dal 1954 - quando per la prima volta J.N. Walton e F.J. Nattrass usarono l’acronimo LGMD (Limb Girdle Muscular Dystrophy) per descrivere il quadro clinico di pazienti intorno ai trent’anni di età in cui si manifestava un drastico stato di debolezza muscolare, accompagnato da atrofia dei muscoli prossimali degli arti - sono diventate un autentico contenitore per una lunga sequenza di disturbi, tutti accomunati da analoga presentazione clinica: un calo della forza a livello dei cingoli scapolare e pelvico accompagnato da manifestazioni muscolari ed extramuscolari diverse e sostenuto da varie mutazioni. Infatti, se l’aspetto esteriore presenta similitudini, sotto il cofano emergono chiare distinzioni riconducibili alla sfera della genetica.

“Le LGMD osservano un’ereditarietà di tipo autosomico dominante, recessiva e, in alcuni casi, legata al cromosoma X”, continua Torrente. “Nel corredo di queste forme di malattia, i geni che si contraddistinguono come patologici codificano per proteine deputate al mantenimento dell’integrità delle membrane muscolari: alcuni geni sono correlati all’espressione di proteine nel sarcolemma (alfa-, beta-, delta- e gamma-sarcoglicani), altri sono coinvolti nella glicosilazione del complesso del distroglicano (FKRP, POMT1 e POMT2, FKTN, GMPPB, POMGnT1 e POMGnT2). In altri casi ancora si tratta di geni codificanti proteine coinvolte nello scambio di elettroliti (in particolare il calcio), nella rigenerazione della membrana del muscolo o nell’attivazione di percorsi che regolano l’omeostasi o l’apoptosi cellulare”. Per ognuno dei geni citati sono state identificate centinaia di mutazioni complicando notevolmente il quadro clinico.

UNA NUOVA CLASSIFICAZIONE

Secondo quanto riportato dal prof. Corrado Angelini in una review dedicata alle LGMD e pubblicata sulle pagine della rivista Acta Myologica, il momento di discussione in seguito a cui è stata introdotta la nuova nomenclatura è coinciso con il secondo workshop dello European NeuroMuscular Centre (ENMC), svoltosi a Naaden (Paesi Bassi) nel 2017.

Sulla base della modalità di trasmissione le distrofie dei cingoli sono state divise in due gruppi, identificati rispettivamente dalle lettere D (comprendenti cinque formea trasmissione autosomica dominante, da 1 a 5) e R (comprendenti un gruppo a trasmissione autosomica recessiva composto da 23 malattie, designate con una numerazione progressiva da 1 a 23).

Con la nuova nomenclatura sono state anche rimosse dall’elenco delle distrofie dei cingoli otto forme storiche, ricollocate nell’ambito di altre miopatie o distrofie congenite”, precisa Torrente. “Questo ha determinato una rivoluzione nel concetto delle distrofie dei cingoli nelle quali la manifestazione sintomatica prevalente è a carico dei cingoli scapolare e pelvico, cioè di quelle strutture che collegano rispettivamente gli arti superiori e inferiori allo scheletro assile. Oltre al danneggiamento di tali strutture muscolari la nuova nomenclatura considera anche le problematiche cardiache, tipiche di alcune LGMD, e quelle polmonari, riguardanti l’attività diaframmatica dei muscoli respiratori e pertanto collegate al deficit respiratorio. Inoltre, vengono considerati anche i problemi connessi al corretto funzionamento del sistema nervoso centrale, la presenza di neuropatie o le eventuali deformazioni della colonna vertebrale. È stata una scelta fondamentale, soprattutto in relazione alla ricerca sui geni che causano l’insorgenza delle varie forme di malattia e sulle proteine coinvolte”.

DALLA DIAGNOSI A NUOVI POTENZIALI TRATTAMENTI

Le prime scoperte genetiche relative alle LGMD risalgono all’inizio degli anni Novanta del secolo scorso quando è stata identificata sul cromosoma 15 la posizione del gene CAPN3 associato alla LGMD2A/R1. Negli anni successivi altri geni collegati a forme recessive e dominanti sono stati mappati su distinti cromosomi e oggi, grazie ai progressi nelle tecniche di sequenziamento del DNA e alle conoscenze acquisite, è più facile arrivare a una diagnosi specifica. Tuttavia, a dispetto dell’uniformità del danno muscolare, neurologi e ricercatori hanno compreso l’esistenza di peculiarità genetiche correlate all’espressione di determinate proteine che aggiungono nuovi elementi di valutazione.

“Ad esempio, l’espressione del beta-sarcoglicano [che nella nuova classificazione è legato alla forma LGMD2E/R4, N.d.R.] a livello del diaframma ha a che vedere con la rigenerazione cellulare perciò in sua assenza si instaurano problematiche respiratorie”, precisa il neurologo lombardo. “Al contrario, nelle cellule del muscolo cardiaco questa proteina partecipa alla conduzione dell’impulso e alla contrattilità delle fibre, pertanto, in presenza di mutazioni che lo coinvolgono, si instaura soprattutto una problematica cardiaca associata a una meno grave di natura muscolare. Similmente, un’altra proteina nota come alfa-sarcoglicano, collocata sulla membrana cellulare nei pressi del beta-sarcoglicano determina una malattia [la LGMD2D/R3, N.d.R.] con interessamento del cingolo scapolare e pelvico e di ulteriori distretti muscolari ma associata a manifestazioni prevalentemente polmonari e non cardiache”.

A coloro che non si fossero ancora fatti venire un gran mal di testa nel tentativo di capire il senso della nuova classificazione val la pena ricordare che quanto appena riportato corrisponde appena a una sbirciatina nell’universo delle LGMD ma per i neurologi che visitano i pazienti e per i ricercatori impegnati nello sviluppo di nuove possibili trattamenti queste informazioni sono preziose e confermano l’eterogeneità della risposta clinica all’esordio, considerata direttamente proporzionale alla funzionalità dei geni (e delle proteine da esse codificate).

“Comprendere ciò ha aumentato sensibilmente le nostre conoscenze di questo gruppo di malattie”, conclude Torrente. “Quanti sono affetti da LGMD necessitano di adeguato supporto assistenziale, con una presa in carico multidisciplinare che comprenda, oltre al neurologo, lo psicologo, il neuropsichiatra infantile, lo pneumologo, il cardiologo, il fisiatra, un medico internista e un endocrinologo. Tutte queste figure devono lavorare di concerto per supportare il malato nella sua quotidianità. Al contempo, conoscendo la reale funzione non solo nel muscolo ma anche in altri distretti delle proteine mancanti o malfunzionanti, è possibile pensare di elaborare trattamenti efficaci per curarle alla radice”.

L'ASSOCIAZIONE ITALIANA DEI PAZIENTI

Segnaliamo che in Italia è attiva l'associazione Gruppo Familiari Beta-Sarcoglicanopatie Odv, nata da un gruppo di famiglie con persone affette da beta-sarcoglicanopatia (LGMDR4 o LGMD2E) e altre distrofie dei cingoli. Il gruppo è partito da alcune famiglie residenti in Lombardia, poi si è esteso a persone residenti in Italia e all’estero.

GFB ONLUS nasce per finanziare progetti di ricerca mirati alla cura della malattia. Vuole rispondere alla carenza di informazioni e attività di ricerca specifiche per questa particolare patologia. La missione dell'associazione è rappresentare le persone affette da Beta-sarcoglicanopatia (LGMDR4 o LGMD2E), di fronte alle istituzioni, agli enti di ricerca, alle altre associazioni, ai pazienti. L'associazione ha dato vita a un gruppo di auto-mutuo-aiuto, per condividere i vari aspetti del dover vivere ogni giorno con questa malattia, aspetti clinici, legislativi, logistici, organizzativi, legati alla ricerca scientifica e all’utilizzo dei vari ausili. 

In Italia sono circa 50 le famiglie con distrofie dei cingoli che afferiscono al GFB Odv.

Leggi anche: "Distrofie muscolari dei cingoli, a che punto è la terapia genica?"

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