Anoressia - Immagine esemplificativaIntervista alla dott.ssa Laura Della Ragione, responsabile della prima struttura pubblica residenziale in Italia per i Disturbi del Comportamento Alimentare, il Centro Francisci di Todi (Perugia)

Affrontare l’anoressia significa fronteggiare vita e morte insieme. Anoressiche non si nasce, si diventa: è qualcosa che richiede dedizione, tempo e costanza. Si tratta di un lungo percorso, in cui impari a controllare mente e corpo: ci si sente maledettamente forti quando si resiste alla fame e non si prova attrazione per il cibo”. Sono queste le parole con cui Manuela (nome di fantasia) descrive la sua condizione. Manuela soffre di anoressia nervosa, uno dei più importanti disturbi del comportamento alimentare.

“In questo momento, i disturbi alimentari principali sono tre: l’anoressia nervosa, la bulimia nervosa e il disturbo da alimentazione incontrollata”, spiega la dott.ssa Della Ragione, responsabile del Centro Disturbi del Comportamento Alimentare Palazzo Francisci di Todi. “L’anoressia nervosa è caratterizzata da tre sintomi principali: vi è un’ossessione molto intensa nei confronti del cibo e delle forme corporee, con una conseguente dispercezione corporea, ovvero le persone hanno un’immagine distorta di sé, anche se sono magrissime. In secondo luogo, si ha una perdita di peso importante, ottenuta per lo più con una restrizione o l’iperattività fisica. Infine, per le donne, si ha l’amenorrea, ovvero l’assenza di mestruazioni. Al momento, esistono forme di bulimia nervosa che possono assomigliare a una vera e propria anoressia. Contrariamente a quello che si pensa, la bulimia non è l’opposto dell’anoressia, è semplicemente una forma diversa della malattia: i pazienti mangiano elevate quantità di cibo (anche fino a 4000 calorie al giorno), ma non assimilano nulla perché ricorrono a vomito autoindotto e a lassativi e/o diuretici. In questo momento, prevalgono le forme di bulimia nervosa (70%) sull’anoressia nervosa (30% circa). Le due patologie sono collegate: i pazienti spesso iniziano con un’anoressia nervosa, ma dopo qualche tempo non riescono più a osservare un regime alimentare così restrittivo; spesso, questi casi si trasformano poi in bulimia nervosa”.

Un importante studio, condotto in Austria e pubblicato online, lo scorso maggio, sulla rivista The American Journal of Psychiatry, ha confermato l’esistenza di una componente genetica correlata all’insorgere di questa malattia, già precedentemente ipotizzata da alcuni studi. Altre ricerche su gemelli omozigoti avevano infatti indicato che la componente genetica influisce fino al 60% nel possibile sviluppo di questa patologia. Il locus genico rilevante per questa influenza si trova sul cromosoma 12, in una regione associata al diabete di tipo I e ai disturbi autoimmuni, nonché al metabolismo insulinico.

“Oggi, la dicotomia tra ambiente e genetica è stata superata”, prosegue Dalla Ragione. “Ora, la comunità scientifica accetta che ci sia una componente epigenetica, oltre a quelle familiare, psicologica e traumatica, che contribuisce all’espressione del disturbo. C’è concordanza sul fatto che una vulnerabilità genetica possa far sì che la persona esposta agli altri fattori sviluppi più facilmente un disturbo alimentare. Anche noi stiamo effettuando uno studio di questo genere, il quale sta confermando il ripetersi di alcuni markers specifici. Questi studi ci aiuteranno nella prevenzione di questi disturbi: oggi, di anoressia e bulimia si guarisce, ma non si riescono a pianificare adeguati interventi di prevenzione”.

La vera e propria 'epidemia' di anoressia, cominciata alla fine degli anni novanta, sta continuando a crescere a macchia d’olio, inglobando fasce d’età sempre più giovani. “Oggi si ammalano bambini di 11-12 anni; fino a dieci anni fa, il picco era attorno ai 16 anni. La percentuale dei bambini che si ammalano sotto i 14 anni è di circa il 20%”, puntualizza Dalla Ragione. Su questa fascia d’età, le conseguenze dell’anoressia possono essere particolarmente severe, con blocchi dell’accrescimento osseo e cognitivo non sempre reversibili. “L’abbassamento della fascia d’età è da collegare al fatto che i disturbi alimentari hanno sostituito altre patologie”, continua la dottoressa. “La depressione del bambino, oggi, può esprimersi tramite il disturbo alimentare, mentre fino a 10-15 anni fa, avremmo assistito allo sviluppo di un quadro depressivo più complesso. Si ha, comunque, una prevalenza di disturbi che insorgono su origine traumatica e collegati alla situazione familiare. Per fattore traumatico non intendiamo un evento necessariamente drammatico, ma ci possiamo anche riferire a un lutto, alla separazione dei genitori, persino alla nascita di un fratellino”.

Presso il centro di Todi, i pazienti effettuano un percorso che può durare dai 3 ai 5 mesi, e che comprende attività utili alla mente e al corpo; solo in rari casi si ricorre a psicofarmaci. “I pazienti vengono poi seguiti ambulatorialmente, perché per guarire servono almeno due anni. Dal punto di vista sintomatico, ovvero il recupero di un buon tono d’umore e di un peso non patologico, il paziente guarisce dopo 6-7 mesi, ma la scomparsa dell’ossessione del proprio corpo richiede più tempo”, spiega Dalla Ragione.

Il vero problema, oggi, è non riuscire a fermare quest’epidemia, perché i fattori di diffusione di rischio del disturbo sono tanti, anche dal punto di vista culturale. “I modelli culturali della magrezza, ad esempio, influiscono sulla diffusione ma non sono la causa del disturbo. Il valore della magrezza, in questo momento, è un valore assoluto: ragazzi e ragazze che sono oggetto di bullismo per le loro forme fisiche rischiano di cadere nell’anoressia”, aggiunge la dottoressa. Il tema della forma fisica è introiettato anche da bambini molto piccoli, in fascia prescolare. Esperimenti condotti su alcune sagome di Topolino sono riusciti a dimostrare che i bambini associano un livello di intelligenza superiore alla figura più magra. “L’Italia ha recentemente superato la Grecia e la Spagna per il tasso di obesità infantile: una sana alimentazione e uno stile di vita equilibrato possono aiutare a prevenire queste situazioni. I genitori, inoltre, non dovrebbero enfatizzare un'eventuale modificazione fisica del piccolo, perché è una tematica su cui oggi c’è molta sensibilità. Infine, la vera prevenzione passa attraverso il fatto che i ragazzi si sentano accettati e amati”, conclude Dalla Ragione.

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