Stanganello e Clementi

Roberto Stanganello ha intrapreso un viaggio da Vigevano a Roma per sensibilizzare il pubblico nei confronti della patologia

Un viaggio in bicicletta di quelli che non si fanno dimenticare facilmente: mille chilometri da Vigevano (Pavia) a Roma e dieci tappe per un unico obiettivo, sensibilizzare l’opinione pubblica su una malattia tanto rara quanto sconosciuta, la malformazione di Arnold-Chiari di tipo 1, infondendo coraggio a quanti ne soffrono. Perché – questo è il messaggio – a volte la vita ti porta a tagliare traguardi che, senza un pizzico di follia, non avresti neanche osato immaginare. Il 31 marzo 2019, Roberto Stanganello intraprende un’impresa che in molti potrebbero definire temeraria: inforcare la bici e puntare verso la Capitale per dimostrare, appunto, che è possibile. Da quel viaggio è nata prima una pagina Facebook che racconta ogni singola tappa in presa diretta, e poi un diario scritto a quattro mani con Alberto Clementi, pubblicato per l’editore Infinito con il titolo di “Always Standing”.

“L’idea di questo viaggio nasce dalla malattia che ho scoperto di avere nel 2013, a seguito di un incidente in bici”, racconta Stanganello. “Proprio grazie a quell’incidente ho saputo di avere la Arnold Chiari di tipo 1, dando finalmente una spiegazione ai tanti sintomi indecifrabili che mi accompagnavano da sempre”. Nello specifico, parliamo di una malattia congenita del sistema nervoso che interessa il cervelletto, il tronco encefalico e la parte posteriore della scatola cranica, la cui gravità varia da persona a persona, passando dalla totale assenza di sintomi fino a veri e propri problemi del movimento.

Cosa voglia dire la patologia per Stanganello lo spiega lui stesso nel volume. Ripercorrendo gli anni dell’infanzia scrive: “Sentivo che qualcosa dentro di me non funzionava come avrebbe dovuto. Me ne resi conto per la prima volta quando avevo cinque anni. Mi capitavano spesso cose strane: ero, per esempio, terrorizzato dal colpire il pallone con la testa e dal compiere sforzi fisici estremi. Una paura inconscia data da un forte disagio fisico. Ma quando si è molto piccoli, come ci si può rendere conto di essere diversi?”. Le cose non migliorano col tempo e, nonostante una vita piena e ricca di soddisfazioni, Roberto continua a sentire che c’è qualcosa che non va: i momenti di euforia si alternano a episodi drammatici, con emicranie al limite della sopportazione, bruciore agli arti, nausee e apnee. Fino a che, il 15 maggio del 2013, un incidente in bici lo manda dritto in ospedale dove, per via di un nistagmo oculare, un neurochirurgo scrupoloso gli prescrive una risonanza magnetica che si rivela provvidenziale. “Signor Stanganello – gli dice il dottore – lei ha una malformazione all’altezza della scatola cranica, denominata Arnold-Chiari 1. Non ha mai sofferto di mal di testa nella sua vita?”.

Da lì un lungo percorso di comprensione e accettazione della malattia, compreso un intervento chirurgico in una clinica privata spagnola che, pur senza risolvere integralmente il problema, allevia i sintomi, rendendoli più gestibili. Ma è il ricordo dell’incidente del 2013 a indurre Stanganello a compiere il viaggio in bici fino a Roma, in compagnia dell’amico Alberto, che lo segue in Vespa facendo un po’ di tutto, dal supporto logistico e morale, fino all’addetto stampa e comunicazione. “Dopo l’incidente che mi ha permesso di scoprire l’esistenza della mia malattia sentivo il bisogno di sdebitarmi con la bicicletta, che è così importante nella mia vita e mi ha permesso di venire finalmente a conoscenza di un problema che avevo da sempre e a cui nessun medico era riuscito a dare un nome prima dell’infortunio” racconta ancora Stanganello. E così, un giorno, durante una vacanza in montagna con gli amici per fare rafting, arriva l’annuncio: “Ragazzi ho deciso di fare un viaggio in bici fino a Roma per mettermi a confronto con me stesso e spingermi oltre, andando a vedere quali sono i miei limiti”. Insomma, la decisione è presa e non c’è verso di tornare indietro.

È a questo punto che, grazie anche all’entusiasmo di Alberto, è nato il progetto “Always Standing” e una pagina social su Facebook che ha documentato l’intera impresa, dalla fase embrionale fino alla fine del viaggio. “Abbiamo avuto un grande seguito, è stato bello, è stato proprio bello – spiega Roberto, che non nasconde l’entusiasmo. “La preparazione delle singole tappe è venuta quasi da sé. Mille chilometri sono un numero simbolico, nel senso che per un ciclista allenato non rappresentano una distanza megagalattica. Peccato che un mese prima di partire abbia avuto un’infiammazione alle ginocchia che non dipendeva dalla malattia, ma che ha reso tutto molto più difficile”.

Attraverso i social sono stati anche raccolti dei fondi da destinare alla Fondazione dell’Ospedale pediatrico Meyer di Firenze, a cui andrà anche una parte delle royalties derivanti dalla vendita del libro. Ma sono stati soprattutto i tanti messaggi ricevuti a scaldare il cuore degli autori. “Le cose sono andate oltre le migliori aspettative”, precisa Stanganello. “Ogni sera trovavo tantissimi messaggi provenienti da persone affette anche loro dalla Arnold-Chiari. Molti mi chiedevano consigli e mi domandavano come potessi fare una roba del genere. Altri raccontavano che dove vivevano l’assistenza medica era insufficiente e avevano difficoltà economiche a curarsi altrove. Arrivavo a sera stanco morto, ma volevo comunque rispondere a tutti. È stata un’esperienza toccante anche sotto questo punto di vista”. Quello che però ha reso Roberto più felice è stata la certezza di essere riuscito a far passare il messaggio che intendeva trasmettere: “Rispettando me stesso e i miei limiti, io riesco a percorrere in bici fino a 10mila chilometri l’anno. Anche con una malattia come la Arnold-Chiari puoi arrivare a fare cose che non avresti pensato mai di poter fare”.

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