Dott. Piero BarboniIn occasione della Giornata Mondiale della Vista, abbiamo intervistato il dott. Piero Barboni, specialista in neuropatie ottiche ereditarie presso lo Studio oculistico d'Azeglio di Bologna e consulente al San Raffaele di Milano

È con gli occhi che osserviamo il mondo, riconosciamo le persone che amiamo e ci muoviamo con sicurezza nell’ambiente circostante. Eppure, nonostante la vista sia così importante nel determinare la nostra qualità di vita, si parla poco di malattie dell’occhio, e spesso non in modo adeguato. Poco spazio a livello mediatico e di ricerca occupano, ad esempio, le neuropatie ottiche ereditarie, le cui due principali forme sono la neuropatia ottica ereditaria di Leber (LHON) e l’atrofia ottica dominante.

La prima forma colpisce prevalentemente maschi giovani e adulti, tra i 15 e i 35 anni (con un rapporto uomo donna pari a 5:1), mentre la seconda ha solitamente un esordio precoce, verso i 10 anni. Entrambe le patologie possono comunque colpire il soggetto a qualsiasi età, ma si distinguono per il decorso della perdita visiva, che per la Leber è più rapido e per l’atrofia più graduale.

“Spesso, i genitori si accorgono che il bambino vede meno e non partecipa adeguatamente a scuola, ma non lo portano in un centro specialistico. Oggi possiamo individuare queste malattie, ma di solito, quando ci accorgiamo di un caso, è già troppo tardi”, spiega Piero Barboni, specialista in neuropatie ottiche ereditarie presso lo Studio oculistico d'Azeglio di Bologna e consulente al San Raffaele a Milano. Le due patologie, che colpiscono circa un soggetto ogni 25.000, vengono spesso confuse con la neurite ottica retrobulbare, un’infiammazione del nervo ottico spesso associata alla sclerosi multipla. “Le diagnosi arrivano tardivamente e questo può condizionare il decorso della malattia”, aggiunge lo specialista.

Pur facendo parte delle malattie mitocondriali, LHON e atrofia ottica dominante rimangono ancora ai margini della ricerca e destano scarso interesse. “Alcune malattie mitocondriali colpiscono i neonati e possono causare il decesso prematuro del piccolo. Chiaramente, si tende a investire molto sulla ricerca per queste forme. Bisogna comunque ricordare che il sintomo visivo è molto debilitante, perché causa difficoltà scolastica e lavorativa, e spesso l’impossibilità per il soggetto di rendersi indipendente: è quindi importante investire maggiormente sulla ricerca”, continua il dott. Barboni.

Queste malattie non causano una completa cecità, ma portano a quella che gli Americani definiscono “cecità legale”. “Per la mancanza della parte centrale del campo visivo, il soggetto è in grado di orientarsi nell’ambiente, ma non riesce a leggere o firmare documenti”, spiega Barboni. In ogni caso, è importante chiarire come anche in questi casi si parli di forme di cecità a tutti gli effetti, ossia di condizioni invalidanti che impediscono alla persona di vivere una vita pienamente indipendente. A volte, la scarsa conoscenza delle malattie dell'occhio e la mancanza d'informazione sui diversi problemi visivi correlati, insieme all'errata assimilazione del concetto di 'cecità' a quello di 'cecità assoluta', può dare adito a tutta una serie di fraintendimenti che coinvolgono i pazienti persino sul piano legale, come dimostrano anche recenti fatti di cronaca (clicca qui per maggiori informazioni).

Ad oggi, per la LHON e l'atrofia ottica dominante non esistono trattamenti risolutivi, ma per la Leber sono attualmente in corso alcuni trial clinici su approcci di terapia genica. “Con una puntura, viene iniettato nell’occhio il gene modificato, che va in competizione con quello malato e consente alle cellule di funzionare meglio. In Italia, stiamo portando avanti uno studio a Bologna, ma sono coinvolti altri Paesi, tra cui Francia, Inghilterra e Germania. Ci sono altri due trial internazionali attualmente in corso, uno americano e l’altro cinese. Per avere i primi risultati bisognerà attendere ancora un anno”, precisa Barboni.

Nelle neuropatie ottiche ereditarie, la presa in carico dell'intera famiglia, e non soltanto del paziente, è un elemento essenziale. “La Leber ha un’eredità matrilineare: è quindi chiaro che bisogna offrire supporto psicologico anche ai genitori del soggetto colpito, che spesso sono oppressi dal senso di colpa. Inoltre, attorno a queste malattie bisogna creare una vera e propria rete, che comprenda oculisti e neurologi: ci vuole più comunicazione e informazione. Infine, le famiglie e i pediatri devono assicurare al bambino controlli medici e oculistici costanti durante tutte le varie fasi dello sviluppo. È un’abitudine che si è andata perdendo e che sarebbe giusto ristabilire”, conclude il dott. Barboni.

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