Sabrina e la sua passione per il volo

La passione per gli aerei si è rivelata la chiave per sfidare sé stessa e la condizione che le ha tolto la vista

Barra di comando dritta, manetta avanti e decollo. Il carrello dell’aereo si stacca da terra e Sabrina è in volo. Nelle cuffie la voce dell’istruttore ha un suono metallico. L’aereo vira lentamente e livella. Quasi dimenticavo un particolare essenziale: Sabrina è affetta da un forma di distrofia retinica che rientra nella grande famiglia delle retiniti pigmentose, una definizione che riunisce diverse patologie a carattere ereditario e ad esordio infantile, che tendono a progredire portando a una perdita della vista. In poche parole, Sabrina è cieca.

Sono nata con questa malattia, come pure mio fratello maggiore che ha cinque anni più di me”, spiega la stessa Sabrina, di Lecce. “Mia madre ha iniziato a notare che qualcosa non andava per la presenza del nistagmo oculare [un movimento oscillatorio, ritmico e involontario dei bulbi oculari, N.d.R.]. Mio fratello ha iniziato a manifestare deficit visivi fin dai tre mesi di vita mentre nel mio caso le problematiche sono comparse intorno al primo anno. Ho sempre avuto un residuo visivo leggermente migliore di lui ma limitato comunque alla sola distinzione tra luci e ombre. Riconosco i contrasti ma non i colori, tanto che quando guardo la televisione vedo solo delle macchie luminose. Attualmente, il mio occhio sinistro è completamente cieco mentre con il destro riesco a cogliere solo qualche differenza tra luce e ombra”.

I genitori di Sabrina inizialmente si sono dati molto daffare per sottoporre i figli alla valutazione dei migliori specialisti d’Italia e non solo. Sabrina è stata visitata anche dal celebre prof. Bietti, un luminare dell’oftalmologia e dell’oculistica, ma quando è stato chiaro che la malattia aveva un carattere irreversibile, il padre ha smesso di fare indagini sulle cause. Tuttavia, informato dell’esistenza di centri specializzati per ragazzi e ragazze che non potevano vedere, ha lottato per dare un’educazione ai figli. “I miei genitori sapevano che dovevamo frequentare la scuola dell’obbligo ma quarant’anni fa, specie nel Sud-Italia, un bambino cieco veniva il più delle volte nascosto in casa per un malcelato senso di vergogna”, prosegue Sabrina. “Mia madre e mio padre sono stati oggetto di critiche e battute taglienti da parte di certa gente del paese ma non hanno mai cambiato idea e, dopo aver visitato diversi istituti, hanno iscritto me e mio fratello all’Augusto Romagnoli di Roma, dove siamo stati accolti come in famiglia”. Separarsi dai genitori fin dalla tenera età era un evento traumatico per bambini come Sabrina che, di certo, non possono dire di aver avuto un’infanzia felice, ma all’interno di questo istituto specializzato lavoravano persone con competenze specifiche, in grado di seguire i bambini in tutte le loro esigenze fornendo loro un’educazione completa e mirata.

Oggi i bambini ciechi e ipovedenti frequentano classi di normodotati e il supporto che viene dalle insegnanti di sostegno spesso non è sufficiente. In un’epoca in cui la tecnologia sta diventando sempre più d’aiuto, le scuole non sempre si rivelano attrezzate e acquistare di tasca propria dispostivi di supporto per i figli risulta problematico per tanti genitori che non ricevono sufficienti aiuti economici dallo stato. “Ho fatto le scuole medie al Centro Regionale Sant’Alessio-Margherita di Savoia di Roma che, inizialmente, era un centro di studio con un convitto e una scuola media e che ora accoglie persone che hanno perso la vista e devono fare riabilitazione”, aggiunge Sabrina. “Nonostante tante difficoltà, oggi i ciechi che frequentano l’Università sono molti di più rispetto al passato, studiano le materie più disparate e pochissimi ormai sono costretti a fare solamente i centralinisti. In passato in collegio era tutto più semplice, mirato, curato, oggi un po’ meno ma i risultati sono comunque ottimi”.

Sabrina ha sempre dimostrato carattere e un’immensa vitalità, sostenute dal desiderio di fare attività sportiva e dal richiamo a stare all’aria aperta. Oltre che dalla sua profonda passione per il volo. “Al di là dell’ottimo programma di studio, l’istituto Romagnoli era parecchio attrezzato: aveva un campo di calcetto, la pista di pattinaggio, i campi da basket, una palestra per allenamento e un parco giochi”, ricorda la ragazza. “Gli insegnanti di educazione fisica ci prendevano per mano e ci guidavano nell’esercizio, senza lasciarci in disparte e trattandoci esattamente come gli altri bambini. Un atteggiamento che ci trasmetteva molta fiducia. Quando mi sono iscritta alle scuole superiori di Lecce, la prima cosa che gli insegnanti di educazione fisica hanno fatto è stata esonerarmi dalle lezioni ma io volevo partecipare. Se sai di poter fare qualcosa e anche quali sono i tuoi limiti non vuoi rinunciare”. Un po’ come è accaduto per l’approccio al volo in aereo.

Sergio, l’istruttore di volo di Sabrina, ha riconosciuto le potenzialità e la grinta di questa ragazza leccese e ha deciso di fidarsi di lei, facendola salire sul seggiolino anteriore dello Sky Arrow, un piccolo ultraleggero a due posti, e guidandola con il tocco della mano. Sabrina ha imparato a memoria la posizione di tutti gli strumenti di volo e di tutti i pulsanti del cockpit e delle leve e poi si è alzata in volo. “Sergio mi posava le mani sulle spalle e, col tempo, abbiamo messo a punto un metodo di comunicazione istantanea attraverso il quale lui mi forniva informazioni importanti quali assetto dell’aereo, rotta, quota, velocità, e io, con i comandi finalmente nelle mie mani, gestivo in autonomia l’aereo, dando inizio alla mia avventura”, racconta emozionata la ragazza. “La maggior parte della gente si stupisce di ciò che faccio ma se un non vedente ai comandi di un aereo può sembrare una rarità, ancora più raro è trovare qualcuno che si impegni per cercare una soluzione che consenta di fare qualcosa insieme al disabile piuttosto che vedere il disabile stesso che realizza quella cosa”.

Sabrina, oltre a volare con un ultraleggero si è cimentata con l’equitazione e ha fatto diverse arrampicate, alla continua ricerca di emozioni che la facessero sentire viva. “Intrinsecamente e inconsciamente è una sfida, ma prima di tutto desidero fare cose che mi permettano di essere in pace con il mio corpo”, conclude Sabrina. “La nostra è una società che conferisce un valore smisurato alla vista rispetto a tutti gli altri sensi i quali, invece, dovrebbero essere considerati in misura maggiore. Un normodotato ha cinque sensi ma ne usa sostanzialmente uno, mentre io ne ho quattro ma li uso tutti a pieno. Questo mi mette in una condizione di vantaggio”. Un modo di vedere il bicchiere mezzo pieno anziché mezzo vuoto, che ricorda come sia fondamentale, nel caso di malattie che spesso non hanno soluzione, elaborare idee originali e vincenti che aiutino i pazienti a vivere sempre meglio e sempre più a fondo.

L’avventura in volo di Sabrina è stata raccontata anche nel video-documentario “Chiudi gli occhi e vola”, diretto da Julia Pietrangeli, che sarà proiettato a Roma il 15 settembre 2019, alle ore 18:00, nella Sala Cinema del Macro Asilo in via Nizza 138, e il 16 ottobre 2019, alle ore 20:30, presso il Filmclub di Bolzano.

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