Le inadempienti sono Friuli, Abruzzo, Basilicata, Puglia e Sardegna

Mentre le associazioni dei pazienti e buona parte della comunità scientifica chiedono che gli screening neonatali vengano allargati oltre le tre malattie previste per legge (ipotiroidismo congenito, fibrosi cistica e fenilchetonuria) si scopre una amara verità: ci sono 5 regioni in Italia in cui questo obbligo è disatteso. Nello specifico a non essere fatto è lo screening per la fibrosi cistica.  Questo esame fu  reso obbligatorio dalla L. 104/1992 e dalla L. 548/1993 per tutte le regioni, che avrebbero dovuto attivarsi per offrire a tutti i nuovi nati lo screening gratuito, sia che volessero farlo dotandosi in proprio di laboratori e centri sia che, in particolare per le Regioni meno popolose, volessero attuare il programma consorziandosi con realtà vicine.Molte si sono date da fare per mettersi subito in regola: le Marche furono tra le prime Regioni ad agire e già nel 1995 il programma di screening era in funzione c/o il Centro Regionale di Screening Neonatale dell’Ospedale di Fano in collaborazione con il Centro regionale Fibrosi Cistica di Ancona ed il Laboratorio di Genetica del Presidio Ospedaliero Salesi. Altre si sono aggiunte dopo.
Ma a distanza di 18 anni, ancora oggi sono 5 le Regioni – ed alcune di grandi dimensioni – che non attuano lo screening: il Friuli Venezia Giulia (che lo abbandonò a fine anni ’90 per presunte ragioni di inadeguatezza costi/benefici per una regione piccola), la Puglia, la Sardegna e le più piccole Basilicata e Abruzzo (dove ora sembra ci siano aperture per avviare lo screening nel 2012).


“Sono anni che denunciamo questa situazione – dice Vincenzo Massetti, coordinatore della LIFC delle Marche – eppure non si è mosso nulla. Più volte abbiamo proposto di consorziare le realtà più piccole alle maggiori, come la Valle D’Aosta fa con il Piemonte, come il Molise fa con il Lazio o l’Umbria con la Toscana (la Toscana e in parte il Lazio garantiscono anche lo screening allargato), ma di fronte a questa ipotesi di sinergia scattano disegni politico-campanilistici che impediscono di fatto l’attuazione di quanto previsto dalle normative vigenti”.

Ma lo screening della FC, che è ormai una malattia abbastanza nota ai medici, serve davvero?

"Assolutamente sì e lo dimostrano i dati. Da poco abbiamo presentato uno studio fatto nelle Marche sui risultati di 15 anni di screening (1995-2010). Quello che si può osservare è l’impennata nella curva grafica dei casi di malattia dovuti alla diagnosi da screening che prima sfuggiva.
Alcuni probabilmente ne sfuggono ancora perché lo screening – per evidenti ragioni di economicità - non può essere effettuato su tutte le mutazioni possibili (1893 quelle identificate a fine ottobre 2011), ma solo su quelle più diffuse tipiche del ceppo caucasico che comunque rappresentano circa l’80 per cento dei casi. Ma dai dati che abbiamo presentato, si può evincere che se nel periodo che va dall’80 al ’95, quando lo screening non c’era, si erano registrati circa 50 casi di malattia, nel periodo dal ’95 al 2010 i casi sono saliti a 152: lo screening ha triplicato le diagnosi. Riuscire ad intercettare precocemente la più diffusa patologia genetica, significa curare meglio il paziente e migliorarne le aspettative di vita; significa anche razionalizzare la spesa sanitaria e risparmiare sul ‘costo sociale’.
Anche perché c’è ancora tanto da fare – in termini di conoscenza e di corretto approccio – proprio con medici e pediatri: non dimentichiamo che solo dalla fine degli anni ’80 si è compreso che la fibrosi cistica è una patologia genetica. Per questo è auspicabile ovunque una Rete ‘concertata’, tra Centro regionale Fibrosi Cistica, Centro Screening ed operatori sanitari sul territorio, proprio come avviene nelle Marche”.

Credete sia meglio che le regioni più piccole si appoggino sulle grandi o che ognuna si organizzi autonomamente?
“Intanto il primo obiettivo è che tutti i bambini e soggetti a rischio possano avere accesso a questo esame, anche usufruendo dell’opportunità di consorziare più Regioni su un unico Centro Screening. Tuttavia crediamo che in una situazione ottimale ogni Regione dovrebbe dotarsi di programmi di screening completi ed autonomi, che non vuol dire solo eseguire il test, ma anche tutte le procedure successive che vanno avviate dal Centro regionale Fibrosi Cistica, dalla conferma della malattia e della sua tipologia, alla comunicazione della diagnosi – che è un passaggio molto delicato - fino al percorso di presa in carico del paziente.
Un iter ancora difficile da completare, al quale debbono necessariamente concorrere le Istituzioni, il mondo scientifico e quello del volontariato che rappresenta pazienti e familiari.
Ma occorre in ciò avviare un percorso virtuoso che sappia superare logiche di campanile, di budget e di numeri da raggiungere ad ogni costo, anche cannibalizzando le realtà in fieri; che sappia avviare un nuovo modello assistenziale al quale possano concorrere tutti gli attori, per una corretta prevenzione ed informazione sul territorio, con il solo fine della qualità della vita e della pari dignità del nostro paziente”.






 

 

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